Napolitano e Riina. Il marcio su Roma

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Alla luce delle richieste della Procura di Palermo, quali sono le vere prerogative del Capo dello Stato?

Il mondo è grigio, come dice Angelo Panebianco. In Italia, a volte, è terribilmente dark come appare di plastica evidenza nel complesso “affaire Napolitano-Procura di Palermo”: da un lato è ravvisabile un narcisismo pericolosamente anarcoide sul piano delle compatibilità istituzionali da parte dei procuratori palermitani in nome dell’ossessione dell’obbligatorietà autoreferenziale dell’azione penale che tende a sovvertire la fisiologia istituzionale dei bilanciamenti e poteri separati nell’equiparare il Presidente della Repubblica a Totò Riina (sic!) come “testimone” della trattativa tra lo Stato e la Mafia, quando nel caso di specie occorre la “smoking gun”-pistola fumante-per sostenere una siffatta ricostruzione processuale così “tranchant”. E quindi ha ragione da vendere il costituzionalista Gianluigi Pellegrino a scrivere su “la Repubblica” che “è evidente come la presenza pur virtuale e catodica degli imputati al Quirinale avrebbe finito con l’assumere impropri e deteriori valori simbolici…
Ciò che non va è la volgare strumentalizzazione di chi (Scarpinato, ndr) usa questa vicenda per costruire una sua caricatura di verità, per raccontare una notte buia dove tutte le vacche sono grigie”:compresi gli estranei ai fatti.
Dall’altro lato, tuttavia, va detto e precisato senza tanti giri di parole che-Pellegrino docet-se la testimonianza di Napolitano è stata “richiesta forse pure con qualche malizia dagli inquirenti” al coperto dell’uso strumentale dell’art.112 della Costituzione, lo stesso Napolitano si è prestato a questo gioco al massacro istituzionale sollevando un surreale conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato dinanzi alla Consulta per chiedere la distruzione (affidata tra l’altro al pm e non al giudice) delle sue telefonate con l’indagato Nicola Mancino. Sulla base di una motivazione che ha dell’incredibile, come ha rilevato la contro-appellante Procura di Palermo:“Infatti il presupposto giustificativo della richiesta distruzione risiederebbe nell’esistenza di un divieto di intercettazioni anche casuali nei confronti del Presidente della Repubblica. E’ agevole replicare che la previsione di ogni divieto presuppone necessariamente che la condotta umana che ne costituisce oggetto sia caratterizzata da prevedibilità e prevenibilità, connotati questi che all’evidenza sono logicamente incompatibili con un evento che si è espressamente definito “casuale”. Insomma, per un verso c’è un Presidente che richiede virtù divinatorie ai pm, e dall’altro gli stessi pm che si sentono divinità in terra. Un vero pasticcio all’italiana. Sarebbe comico se non fosse tragico.
Come denuncia sarcasticamente Giuseppe Panissidi, “…culturalmente intercalando alla Crozza-Razzi, la Corte Costituzionale, pronunciando proprio nell’ambito di una controversia presidenziale con la Procura di Palermo, ha recentemente e inequivocabilmente chiarito che il nostro Capo dello Stato è (pressoché) onnipotente, ovvero (quasi) immune rispetto allo stesso dettato costituzionale”.
Due considerazioni finali:anche se il nostro Capo dello Stato ritiene che sia umanamente possibile un divieto alla casualità delle intercettazioni, non va sputtanato insieme a Totò Riina e Leoluca Bagarella in videoconferenza.

Alex Bush

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