Lettera aperta a Piero Ostellino: perchè Keynes è liberista

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Perché non adottare anche in Italia il “deficit spending” keynesiano?
Potrebbe essere un’altra soluzione anziché quella classica liberale dell’autoregolazione del mercato: un mercato che viene corretto dall’interno come fece Roosevelt con il New Deal.

Al maestro Piero Ostellino, persona di sensibilità e cultura, rivolgo il seguente appello: aderisci perché sei un liberale al “New Deal italiano”, che non è certamente quello di Maurizio Landini (affetto dall’“ossessione dell’identità” nell’intramontabile pan-sindacalismo italiota), ma è precisamente l’unica “exit strategy” al cupio dissolvi di un credit crunch-penuria del credito- che pare davvero inarrestabile tra lacrime e sangue e miopia tecnocratica.
La bruciante attualità della “Teoria Generale di John Maynard Keynes” sta paradossalmente nella descrizione fattuale, propria della validità della scienza economica, secondo la quale non esiste alternativa-“there is no alternative”-all’economia sociale di mercato. E’ questo il gigantesco paradosso del nostro tempo, grigio, stressato dallo spettro della Grande Contrazione globale del potere d’acquisto. Sì, è proprio così caro Ostellino: poiché non esiste realisticamente alternativa al capitalismo, vediamo di farlo funzionare bene quando entra nei momenti di crisi, cioè di deficit della domanda interna contestualmente all’ordine degli accadimenti naturali delle cose. Affermava pertanto l’attualissimo Keynes che in luogo dell’“intrinseca instabilità dei mercati finanziari” idolatrata dal laissez-faire (lasciar-fare sine die), essi sono incapaci di uscire motu proprio dalla crisi della domanda con un “istantaneo aggiustamento”. Sarebbe del resto folle pensarlo: dato che la crescita all’infinito del mercato non è possibile, come può lo stesso determinare un “istantaneo aggiustamento” dell’economia reale riequilibrando magicamente il rapporto tra la domanda e l’offerta, se è in crisi?
Fatta la diagnosi ecco la terapia: il deficit spending, cioè spesa pubblica in passivo che assegna allo Stato-non quello etico, non lo Stato canaglia, non quello sovietico-il ruolo di “arbiter emergentiarum” che spende passivamente per ripristinare l’occupazione e i conti pubblici tornano in ordine. In una concezione che più liberale non si può: facciamo funzionare il sistema correggendolo dall’interno. La prova, anzi la “smoking gun”? Così gli Stati Uniti, senza correre il rischio di diventare una repubblica sovietica sotto Franklin Delano Roosevelt, sono usciti dalla Prima Grande Depressione. E mi creda, Ostellino, ne è valsa la pena! La soluzione opposta è un’idea sbagliata, e se non vogliamo che l’Italia cada preda del populismo caudillistico di Beppe Grillo e Roberto Casaleggio.

Alex Bush

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