“Siamo in un’epoca di decadenza? La fine della nostra
civiltà è prossima? Oppure i nostri figli vivranno meglio di noi, e i nipoti
meglio dei figli?”
Piero Ottone, “Il tramonto della nostra civiltà”
La tegola della decadenza si abbatte su di noi: morire di democrazia. Chi scrive ha un pallino: Oswald Spengler; del resto, l’opera di Piero Ottone “Il tramonto della nostra civiltà” edito da La Mondadori nel 1994 è un puntino delle proprie costellazioni. Gianni Agnelli, uomo di arcani istinti che non portò mai a termine un compito nella sua vita, telefonò a Ottone: “Lei ha scritto qualcosa di importante”. Lo disse con l’inconfondibile erre blesa, che era un capitolo del suo charme.
“Poi forse chiuse il libro e non lo riaprì mai”, mi rivelò Ottone. “Dubito che abbia mai letto un libro dalla prima all’ultima pagina”. Ma la sua velocità nel capire era impressionante, ed era al contempo la fonte del suo stesso limite.
Orbene, sono pressoché tutti d’accordo – da Francis Fukuyama a Robert Shiller passando per Joseph Stiglitz, tranne i Rampini del terzismo “né con Trump, né contro Trump” – che Donald Trump sia il punto più basso della democrazia americana. Può addirittura rovesciarla nell’ora del pericolo, con un’anti-socialità coatta a ripetere: questo modus operandi basato sull’imbroglio sostenuto dalla violenza – Trump ingoia l’Altro per sopravvivere, come mostra chiaramente una scena tremenda del film “L’avvocato del Diavolo” di Taylor Hackford girata nel suo appartamento a New York (un immobiliarista uccide i figli) – presenterà il conto a Donald, l’uomo senza inconscio. La “proiezione” nel senso di Sigmund Freud è la carne viva dell’opera. Trump, un po’ troia un po’ Icaro non è invincibile e la sua identificazione “proiettiva” con Charles Foster Kane ne “Citizen K” che ha scioccato Aldo Grasso lascia immaginare che sarà rovinato dalle sue stesse qualità. Forse finirà malissimo. Certamente, si sta servendo di Elon Musk per fare scacco matto alla superteste Ghislaine Maxwell, e probabilmente eliminerà lo stesso Musk, una volta raggiunto l’obiettivo.
Ma se un uomo con queste caratteristiche, cioè la versione degenerata di William Randolph Hearst, arriva alla Casa Bianca vuol dire che gli anticorpi della democrazia americana si sono indeboliti: parliamo di un soggetto che è al livello di Bugsy Siegel, forse sono addirittura identici. Negli anni Ottanta che Giancarlo De Cataldo definisce “dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere” non sarebbe stato possibile che l’uomo in questione arrivasse alla Presidenza, ma Reagan era un primo assaggio della debacle della democrazia: un attore di professione senza background tranne che la sua persona, diventava presidente (però difendeva i valori del libero mercato, a differenza di Trump che lo prende a picconate); Reagan era ostaggio di ricatti da parte delle forze oscure che trovavano in Gelli e Bush la loro sintesi e tentava di rimanere indipendente – però dovette piegarsi alla ragnatela dell’Iran Contras –, Trump non è estraneo alla tradizione dei Lucky Luciano e Meyer Lansky: la sua unica filosofia è la sospensione delle regole, perché tanto lo fanno tutti ma la sospensione delle “regole del gioco” è la cifra della fine di un’epoca, ed è scandaloso che Larry Summers, Bill Clinton e Donald Trump rivaleggino in parità nella Fiera della vanità senza dignità nell’isola di Jeffrey Epstein (mentre Ghislaine Maxwell certifica la crisi della giustizia americana); eppure nessuno rimane vergine alla fine di un’era, dalla Rivoluzione francese alla morte – morte violenta – dell’Illuminismo. Lo Zeitgeist del tramonto della civiltà occidentale viene incontro all’autocrate adolescente, distruggendo l’eredità della “Ricchezza delle Nazioni” di Adam Smith. Lucky Luciano, Joseph Patrick Kennedy e Donald Trump sono legati da una connessione diretta, sintetizzata dalla nomina di Robert Kennedy junior alla guida del dicastero della Salute. Salute o Spengler. Vedremo attentamente perché. Robert Kennedy è il maggior avversario della Opening Society delineata da George Soros come allievo prediletto di Karl Popper, nell’ambito di un attacco fascista alle tradizioni democratiche statunitensi.
Scrive Giuseppe Carlo Marino, docente di Storia contemporanea all’Università di Palermo, nel bel libro “I padrini. Da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, da Calogero Vizzini a Stefano Bontate, fatti, segreti, e testimonianze di Cosa Nostra attraverso le sconcertanti biografie dei suoi protagonisti” edito da Newton and Compton Editori, nel capitolo “Lucky Luciano, un eroe d’America” quella che è una lezione magistrale sul declino degli Stati Uniti d’America nella versione “nichilista” o “organicista” di Spengler: ogni civiltà nasce, cresce, decade e muore: “L’operazione “Vespri siciliani”
Nel quadro di eventi segnato dalla grande crisi che dal 1929 sconvolse l’economia e la società degli Stati Uniti facendo dubitare, nel mondo, delle stesse sorti del capitalismo, Lucky Luciano conobbe il meglio e il peggio della sua vita: il successo negli “affari”, la perfetta realizzazione di un suo originale progetto (sul quale ci soffermeremo) per dominare sulla malavita con l’indiretto concorso della “legalità”, la “persecuzione” di un intransigente magistrato (il procuratore Thomas Dewey, ndr) e gli infortuni con la polizia e con la giustizia che decisero di una sua lunga detenzione a Sing Sing, ma anche la ininterrotta capacità di imporsi, persino da carcerato, in un sistema di relazioni di alto livello che avrebbero reso tanto rilevante quanto misteriosa la sua influenza sulla grande politica e persino sui destini militari degli States. Per la biografia del personaggio, si può anticipare il bilancio di quella sua complessa esperienza criminale, avvertendo che sarebbe stata un’esperienza destinata comunque a concludersi in attivo a dispetto di qualche severo colpo ricevuto dalla Legge. Per cogliere i motivi di un finale così sorprendente occorrerebbe, in via generale, fare riferimento alla particolare dinamica della storia americana in anni nei quali sarebbe diventata essenziale e salvifica per il sistema, a fronte della grande crisi, una radicale ristrutturazione dell’economia e della società su basi di massa sotto la direzione dello Stato (il New Deal del presidente Roosevelt); anni, quelli, dominati dal partito democratico che – oltre ad avvalersi dei finanziamenti di assai spregiudicati business-men (per esempio, i sedici milioni di dollari investiti da Joe Kennedy nella campagna elettorale del 1932) – riceveva una parte importante della sua forza elettorale dalle comunità popolari degli immigrati e soprattutto dai sindacati operai i quali, a loro volta, erano inclini a consegnare l’esercizio del loro potere contrattuale alle capacità organizzative e ai metodi di pressione e di “persuasione” di un personale di chiara mafiosa… “. Come Jimmy Hoffa.
Joe Kennedy e Lucky Luciano si sono confrontati più volte; il primo è riuscito con gli stessi metodi del secondo a passare dal “crony capitalism” – capitalismo di rapina – a quello legale (George Soros tenterà senza successo di fare la stessa operazione con Boris Berezovskij in Russia), ma il prezzo da pagare è stato l’eliminazione dei suoi figli John e Robert e la “maledizione dei Kennedy”; continuava Carlo Marino:
“… La fondazione del nuovo assetto organizzativo (di Cosa Nostra, ndr) avvenne a New York, nel corso di un summit dell’autunno del 1931 preceduto da un intenso giro di incontri e consultazioni tra i grandi boss regionali per l’interscambio dei pareri e delle informazioni necessarie e per l’aggregazione del consenso nell’intero orizzonte della criminalità statunitense (Kefauver, 1953; Powell, 1975). A dispetto dell’astuta e demagogica insistenza del Luciano nell’idea che Cosa Nostra dovesse funzionare il più possibile come una struttura “democratica” (fino al punto di impedire che qualcuno potesse auto-investirsi della funzione di capo e comunque arrogarsi a qualunque titolo un potere dominante), l’organizzazione aveva bisogno di una leadership ben strutturata, simile a quella che, per le aziende, è costituita dai consigli di amministrazione rispetto alle assemblee degli azionisti (ma non è questa l’evidenza probante che il capitalismo americano è in crisi?, ndr). Ma la soluzione concretamente adottata consente di andare persino al di là del paragone con le forme organizzative di un’azienda qualsiasi. Cosa Nostra fu strutturata come una holding super-territoriale governata da una “Commissione”, un organismo supremo di guida strategica e di coordinamento operativo al quale, intorno al Luciano, e sulla sua piattaforma programmatica, furono inizialmente chiamati Vincenzo Mangano (il già citato superboss di Brooklin sfuggito alla presa omicida di Salvatore Marangano), Joe Profaci (un altro notabile di Brooklin soprannominato “re dell’olio d’oliva”), Peppino Bonanno (anch’egli titolare di una borgata di Brooklin), Masi Gagliano (un siciliano doc oriundo di Corleone), Ciccio Milano di Cleveland e,
dulcis in fundo, nonostante la sua non brillante intelligenza, l’italo-napoletano Al Capone di Chicago.
Si noterà che la schiacciante presenza di siciliani in quell’organismo declassava a mera petizione di principio l’originaria progettualità interetnica che comunque avrebbe mantenuto una sua indiretta conferma per la solida alleanza del Luciano soprattutto con Lansky e con gli altri amici ebrei.
A subire un quasi radicale spiazzamento furono, invece, soprattutto gli irlandesi, che pagarono i conti di un’antica inimicizia, risalente ai tempi del proibizionismo, tra Lucky e Joe Kennedy, quest’ultimo nel frattempo inseritosi, fino a conseguire un’imponente autorevolezza, nei ranghi dell’alta società e prodigiosamente arricchitosi, ormai da business-man miliardario e in quello del cinema a Hollywood… “. Sembra di essere in “C’era una volta in America”.
Ci sono le ombre di Spengler nella raffinata osservazione del docente palermitano: “… Qui torna appropriato il richiamo della sua stupefacente pretesa di ottenere una sorta di legalizzazione della criminalità organizzata. In realtà, a pensarci bene, si trattava di una pretesa che era perfettamente in linea con una radicale versione liberista dell’economia e della società. Non diversamente da un Milton Friedman (il premio Nobel per l’economia ispiratore e teorico del neoliberismo degli anni Ottanta del secolo scorso) e di molti esponenti del liberalismo più radicale, anche il Luciano riteneva che non dovesse importare alla Legge il fatto che i cittadini gradissero, con consapevole scelta, di drogarsi o di rischiare le malattie nei bordelli e i loro patrimoni nelle bische… “.
Facciamo un passo avanti.
Perdonatemi la volgarità dell’autocitazione, ma è tutto vanità.
Nel mio libro “Psicologia di artisti maledetti e delinquenti” edito da Libertates nel luglio del 2021, avevo scritto ne “La vera trinità di Camelot era: piacere, spaccare il culo e scopare”:
“Al professor Nassir Ghaemi, l’affascinante direttore del dipartimento psichiatrico di Boston per il trattamento dei disturbi dell’umore, va il merito di aver posto la questione “A first rate-madness”: ma fu davvero una follia di prima qualità, quella dei Kennedy? Rimaniamo coi piedi per terra. Ha scritto con straordinaria efficacia Enrico Deaglio nel suo pezzo d’antologia “Il Padrino e l’avvocato”: “Quando, tra cinquant’anni, uno studente domanderà: “Ma quando fu che ci si rese conto che davvero era successo qualcosa alla democrazia americana?”, il prof risponderà: “Avvenne con la deposizione di Michael Cohen, avvocato di Trump… “; mi permetto di correggere Deaglio; il prof risponderà: “Avvenne con l’elezione di John Fitzgerald Kennedy alla Casa Bianca nel novembre del 1960. Fu un imbroglio senza precedenti. Perché in realtà aveva vinto il repubblicano Richard Nixon, ma i voti vennero truccati da un accordo sottobanco tra il boss di Cosa Nostra (erede di Al Capone) Sam Giancana e Jfk, che divenne presidente addirittura contro la sua volontà (per compiacere la megalomania del padre social climber Joseph Patrick Kennedy), e che a sua volta cominciò a perdere un corretto esame di realtà per sindrome di onnipotenza fino al suo assassinio a Dallas, nel Texas, il 22 novembre 1963”…
Da Kennedy a Trump, The end of American Dream.”
Feci queste considerazioni nel luglio del 2019, il libro venne pubblicato due anni più tardi.
Ad alcuni, potrebbero apparire paradossali. Ma i paradossi o le esagerazioni alla Massimo Fini, non appartengono al repertorio di chi scrive; non potevo immaginare che nel 2024 Robert Kennedy junior sarebbe diventato Ministro della Salute nell’amministrazione Trump.
Il commento dello scienziato Roberto Burioni su “la Repubblica” del 7 agosto 2025 “Se ignoranza e bugie valgono più della vita” induce a riflettere che la democrazia americana è in crisi, sulla linea di confine tra libertà e totalitarismo:
“La notizia che arriva dagli Stati Uniti è inquietante. Il segretario alla Salute Robert Kennedy ha annullato altre centinaia di milioni di finanziamenti per lo sviluppo di vaccini a mRna, motivando la sua decisione con il fatto che la pandemia Covid ha dimostrato che questi vaccini non sono efficaci contro le infezioni delle vie aree superiori.
La decisione di Kennedy da un lato avrà conseguenze gravissime per tutti noi, dall’altro si basa su una premessa oggettivamente falsa. Prima di tutto il vaccino a mRna contro il Covid si è dimostrato sicuro oltre ogni aspettativa. A dispetto di quello che alcuni irresponsabili raccontano mettendo in pericolo la salute pubblica, i numeri dimostrano in maniera inoppugnabile che la vaccinazione non ha causato alcun aumento di morti improvvise, tumori, ictus, eventi vascolari o qualunque altra patologia, se non una rarissima miocardite quasi sempre nei giovani adulti. Dire che il vaccino contro il Covid è sicurissimo, dunque, non rappresenta un’opinione, ma descrive un dato di fatto. Quando Kennedy afferma che il vaccino è stato inefficace dice una bugia ancora più grossa. Il vaccino a mRna è stato efficacissimo non solo nell’evitare le forme gravi della malattia, ma – fino all’arrivo della variante omicron – anche nell’ostacolare la trasmissione del virus. Di nuovo sono i numeri a dirlo, e non si tratta di opinioni ma di una realtà oggettiva: l’unica discussione in corso tra gli esperti è su quanti milioni di vite siano state salvate dal vaccino. Secondo alcuni sarebbero state 3 milioni, secondo altri 20 milioni: possiamo dibattere, ma l’aggettivo “inefficace” è comunque sbagliato.
La decisione di Kennedy, oltre a basarsi su false premesse, è estremamente dannosa perché pregiudica la messa a punto di nuovi vaccini efficaci che potrebbero avere un impatto profondo sulla salute di ognuno di noi. Il successo del vaccino contro il Covid ha infatti aperto per la ricerca medica orizzonti fino a poco tempo fa inimmaginabili. Per fare un esempio, si è recentemente scoperto che il virus che causa la mononucleosi (Edv) è un fattore causale della sclerosi multipla, una malattia neurologica molto seria. Contro questo virus, anche se lo conosciamo da 60 anni, non abbiamo ancora un vaccino efficace, e si sta tentando di metterlo a punto con la tecnica dell’mRna. Se si scoprisse il vaccino si potrebbe impedire l’infezione e di conseguenza si eviterebbe l’insorgenza di molti casi di sclerosi multipla negli anni a venire. La scellerata decisione di Kennedy certamente non spinge in questa direzione…
Riassumendo, ricerche che in un prossimo futuro potrebbero evitare gravi conseguenze e salvare vite vengono penalizzate da una decisione politica basata sulla bugia e sull’ignoranza: qualcosa che pochi di noi avrebbero potuto immaginare si potesse verificare in una nazione come gli Stati Uniti. Goya disse che “il sonno della ragione genera mostri”. Purtroppo quando parliamo di scienza il sonno della ragione genera morti. Siamo davanti a un oscurantismo diffuso, inaspettato e preoccupante… “. Sono condizionato da un pregiudizio di approvazione del vaccino – a dispetto della mia ipocondria – dalla lettura di Irving Stone, “Il romanzo di Sigmund Freud. Le passioni della mente”.
Ma, caro Burioni, l’ideologia è nella ragione e genera morti. L’alternativa c’è ed è il programma delle fondazioni per la Società Aperta di Soros, superando il dogmatismo dell’Illuminismo.
Se l’Età dei Lumi non ammetteva che la ragione interseca con la realtà, bisogna ammettere che la realtà esiste ed è superiore per importanza alla ragione in deroga al fanatismo di Immanuel Kant. Ragione non è realtà. Ma facciamo i conti con le “realtà oggettive”.
Tuttavia se il disegno della Opening Society nella revisione di Karl Popper apre la strada del futuro in un Occidente da ridisegnare, che dagli anni Ottanta non ha avuto la capacità e umiltà di voltare le spalle alla fede ideologica nella ragione, allora vuol dire che l’Età della Ragione volge al tramonto ma soprattutto: l’assunto dell’Ottone sul tramonto “organicisticamente” irrisolvibile della nostra civiltà non può essere portato al “punto di equilibrio”; organicismo e determinismo s’incontrano. Il fallimento del One big beautiful Bill è l’altra faccia del New Deal 2.0: Musk convertito alla spesa in disavanzo? “Cambiano i fatti, cambio le mie opinioni”, fu la famosa battuta di John Maynard Keynes. D’altra parte, Monaco non docet per parafrasare Angelo Gazzaniga: l’appeasement di Trump con Putin è l’altra faccia della III guerra. Non ne ho mai parlato con Piero Ottone.
Il suo era l’atteggiamento dei violinisti del Titanic.
Ma non è la fine della Storia.
di Alexander Bush