Il tema del giorno – L’arringa di Bergoglio, papa populista

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Papa Francesco: Udienza agli imprenditori riuniti in Confindustria
Eliminare o colpevolizzare il profitto significa disconoscere quanto l’industria ha fatto nello sviluppo dell’umanità.

Poteva essere un’occasione davvero storica l’incontro del Papa con settemila Imprenditori in Vaticano per quello che è stato chiamato il “Giubileo dell’industria“. Ma per esserlo, ci sarebbe voluto un altro Papa: uno con la forza tragica di un Wojtyla o con la profonda sapienza storica di un Ratzinger, per intenderci. Ovviamente, non tocca a noi dire al Papa come deve fare il Papa, tanto più se il successo del mondo sembra arridere a chi ha deciso di ridare smalto (apparente) all’istituzione dando fiato alle corde del “politicamente corretto” e mettendosi perciò in condizione di piacere prima di tutto alla “gente che piace”. Quello che ci preme dire è che una Chiesa ridotta ad “agenzia etica” di riferimento per i gonzi ci sembra qualcosa di abnorme: un errore teorico, storico, persino religioso. Detto in breve, un colpevole arrendersi allo spirito dei tempi. Stando a quanto da lui stesso affermato davanti alla folta platea, il pontefice vorrebbe dagli imprenditori che si impegnassero a «rafforzare i valori veri, per permettere una alternativa concreta al modello consumistico del profitto a tutti i costi».
Consumismo e profitto sono in effetti, non da oggi, le due parole tabù del semplicistico universo teorico papafrancescano: un universo populista quanto altri mai se il termine populismo avesse ancora un significato plausibile. Non è compiacere il popolo prospettargli una “alternativa di sistema” su questa terra in cui ognuno abbia un pasto gratis senza sforzi e fatica? E, soprattutto, senza che chi più si impegna a beneficio della società non ne abbia anche un legittimo, e esso sì altamente etico, vantaggio personale? Come ha giustamente osservato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, le imprese «hanno le loro radici più profonde nel duro lavoro e il giusto profitto, senza il quale solidarietà è una parola vuota di senso». In effetti, pretendere che, senza profitto, si possa creare quella ricchezza sociale che sola può permettere di dare un senso al termine solidarietà significa o non capire quell’uomo concreto e non astratto a cui il Papa ha pure fatto riferimento nel suo intervento davanti agli imprenditori, oppure (ma non è il caso del Pontefice) volerlo ipocritamente ingannare con una visione semplicistica delle cose umane (che a volta emerge, ahimé anche fra gli imprenditori, quando si parla di “sostenibilitá”, “responsabilità sociale” e altre amenità). Eliminare il profitto dall’orizzonte umano significherebbe infatti segare la sedia ove tutti siamo seduti: in una parola mettere in mora quel sistema di produzione capitalistico e anche “consumistico” che ha negli ultimi secoli permesso nell’ordine, come sanno quei pochi che non si accontentato delle formule alla moda: 1) di ridurre a livello globale la mortalità infantile; 2) aumentare la durata media della vita; 3) ridurre sensibilmente la povertà assoluta. E il tutto mentre la popolazione mondiale aumentava in modo esponenziale arrivando ai sette miliardi di figli di Dio attuali.
Ma non è solo un discorso realistico e pragmatico quella che porta a preferire il sistema economico basato sul profitto. Il legame fra impresa e cristianesimo è in effetti stretto da un più generale punto di vista teorico, che permette poi anche di capire perché storicamente il capitalismo e le libertà “borghesi” in genere si siano affermate prima e soprattutto nella nostra parte di mondo, cioè nell’Occidente cristiano. Il fatto è che profondamente cristiano guadagnarsi il pane col sudore della propria fronte, cioè lavorando alacremente, essere ricompensati per questo, mettersi in grado di essere caritatevoli e misericordiosi con gli altri ex post e non ex ante come vorrebbe quella logica assistenzialista a che certo cattolicesimo sembra a volte richiamare (e che è semplicemente agli antipodi dell’etica cristiana del lavoro). Merito poi del cristianesimo è stato da una parte quello di aver posto l’individuo, cioè ogni uomo nella sua singolare e irripetibile personalità, al centro del rapporto con Dio; dall’altra, quello di aver concepito l’uomo in modo integrale, come spirito ma anche come carne (si pensi solo alla rivoluzionaria idea di “incarnazione”), come capace di elevarsi ad una dimensione etica ma anche come legittimamente volto a soddisfare l’Utile o il proprio interesse personale (che è la precondizione per fare lo stesso bene, anche perché non si può amare gli altri se prima non si ami e preservi se stessi).
D’altronde, nessuna religione come quella cristiana ha messo in relazione gli elementi del mondo, mostrando come il cosiddetto “male” sia solo un “bene minore” e lo stesso “diavolo” finisca per essere spesso l’ “uomo d’affari del buon Dio”. Il capitalismo è quel sistema economico che presuppone questa etica della libertà individuale, è il modo di produrre che più corrisponde o aderisce all’etica cristiana della vita. Di tutto questo un Papa avrebbe necessità di aver contezza, senza indugiare su certe demagogiche semplificazioni come è avvenuto anche in questa occasione.

di Corrado Ocone
da “l’intraprendente”

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