Il maschilismo delle coppie gay

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Perché sono le coppie omosessuali maschili quello che più spesso si rivolgono ai tribunali per ottenere il riconoscimento di paternità?

Siamo stati in molti a individuare — dietro i casi recenti di sentenze che in Italia hanno riconosciuto la possibilità alle coppie omosessuali di essere genitori, nonostante la persistente assenza di leggi che lo permettano — un disegno politico. Cioè la volontà di aggirare, attraverso una sentenza di tribunale, la proibizione della legge. Già questa prassi costituisce un fatto sconcertante, perché nei paesi democratici le leggi vengono fatte e votate da un parlamento eletto, e perciò rappresentativo delle opinioni dei cittadini. Di conseguenza, non si può negare che, con queste iniziative, si travalica di fatto la volontà popolare, infliggendo un danno non irrilevante alla democrazia.
Ma c’è un altro aspetto, ancora più inquietante, dietro questo modo di procedere. Le decisioni prese dai tribunali riguardano quasi tutte, forse al novanta per cento, coppie di omosessuali maschi. Certo questo, dal punto di vista sociale, si spiega benissimo: gli uomini sono tuttora favoriti rispetto alle donne dal punto di vista del reddito e dell’accesso alle risorse, e quindi per loro è più facile agire in giudizio per aggirare la legge, per soddisfare il proprio desiderio. Ma la maggiore forza sociale non spiega tutto.
C’è anche un altro aspetto, infatti. In generale, le coppie omosessuali di maschi con figli cercano e ottengono una maggiore visibilità di quelle femminili. Basta pensare alle esibizioni trionfali del figlio da parte di personaggi famosi con i loro partner. Non è casuale. In questi casi non viene esibita solo una felicità familiare raggiunta, ma molto di più: viene esibita come possibile una realtà impossibile. I due uomini sembrano voler festeggiare un risultato che di fatto è un furto, una rapina, che consiste nell’avere finalmente rubato alle donne quello che maggiormente il genere maschile ha sempre invidiato loro, cioè la possibilità di dare la vita. Nei casi più gravi, la madre gestatrice, ridotta a puro strumento del desiderio maschile, pagata come un animale da riproduzione, è di fatto cancellata. In altri casi anche l’adozione, se pure solo dal punto di vista simbolico, cancella la presenza materna, la dichiara non necessaria.
L’esibizione, comunque, non fa che confermare che il figlio è di due uomini, venuto al mondo grazie alla forza performante del loro desiderio. Tutti sappiamo che è un falso, che esiste in realtà una madre gestatrice e una che ha venduto l’ovulo, oppure una che ha abbandonato il figlio, ma l’immagine dei due uomini e del bambino vorrebbe convincere l’osservatore che siamo di fronte a una realtà ormai indiscutibile.
Altro che invidia del pene, verrebbe da dire al dottor Freud! E c’è un’altra conferma in negativo di quanto appena detto: le donne che, certo in misura minore, cercano di costituire una famiglia omosessuale, tuttavia non si esibiscono mai, preferiscono stare nell’ombra, forse anche per proteggere i figli da una curiosità fastidiosa.
Tutto questo impone di riflettere sulle possibili conseguenze di ciò che sta accadendo. L’obiettivo dichiarato è affermare il diritto alla filiazione degli omosessuali, pubblicizzato da allegre famiglie arcobaleno e da dichiarazioni di progresso della libertà individuale. Ma la conseguenza non dichiarata, pur se ormai evidente, è un’altra: siamo di fronte a un ennesimo capitolo della lotta degli uomini per rimettere le donne al loro posto, per emarginarle, per escluderle. Arrivando a escluderle dalla cosa più importante di tutte: la procreazione di un essere umano. Forse il loro sogno di sempre.

di Lucetta Scaraffia (da L’Osservatore Romano)

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