Il giustizialismo nevrotico di Davigo

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La certezza della pena? È un dettato costituzionale, ma per certe Procure non esiste

Il boss di Corleone Luciano Liggio divenne celebre per aver detto:“Quando mi trovo davanti un magistrato che mi interroga mi chiedo se abbia delle turbe psichiche”: E propose test psico-
attitudinali per i giudici.
Chi scrive è sinceramente preoccupato dalla “sindrome della castrazione giustizialista”– cioè il diniego sistematico del senso del limite al coperto delle virtù divinatorie dell’inquisizione togata – del direttore di Micromega Paolo Flores D’Arcais, il Francesco Cossiga della magistratocrazia (e si sa che gli estremi opposti si incontrano sempre!); in D’Arcais c’è un rivoluzionarismo piccolo-borghese misto a intelligentissima furbizia nello spingere il segretario dell’Anm Piercamillo Davigo ad alzare come mai prima, dal 1998, la tensione tra ordine giurisdizionale aristocratico e potere politico. (Dopo che Matteo Renzi ha denunciato che la famigerata “prescrizione lumaca” dei processi italiani è imputabile alla poca voglia di lavorare dei pubblici ministeri: ha detto una cosa vera senza però fornire alcuna spiegazione nel merito).
Il qualunquismo lavorativo di un’ampia parte dei pubblici ministeri nell’esercizio delle loro funzioni è databile ex post alla crisi strutturale del sistema giustizia che comincia negli anni 1970 con l’ascesa della figura ibrida del “pretore d’assalto” post-’68: in termini brutali, sono più belli i processi eccellenti a quelli per i cosiddetti “reati minori”, ed è inevitabile che i secondi vadano in estinzione della certezza della pena. Come disse il grande Indro Montanelli: “Nella giustizia c’è un 10% di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita; ma sono senza voce in un coro di gaglioffi che c’è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo”.
Analizziamo con doverosa attenzione le parole mussoliniane di Flores: “Pessimo, pessimo, pessimo Cantone (inteso come Raffaele Cantone, il magistrato di renziana predilezione, investito dal premier del cruciale incarico di presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione”) che ha lanciato un’intemerata contro Piercamillo Davigo al grido di “dire che tutto è corruzione niente è corruzione”. E pessimissimo Giovanni Legnini, plurisenatore Pd e plurisottosegretario, fortissimamente voluto da Renzi alla testa del Consiglio superiore della Magistratura (a presiederlo, di diritto ma di fatto solo in circostanze eccezionali, è il Presidente della Repubblica) che ha bollato le parole di Davigo con un “rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno”… Davigo aveva in realtà pronunciato un’ovvietà:“la classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi”.
Non è un’ovvietà, caro Flores, ma un’iperbole menzognera smentita dalla radiografia di Arturo Diaconale sul falso mito dell’art. 112 della Costituzione pubblicata nel libro “Il colpo di Stato” in merito alla liaison dangereuse tra pm e gip che costituisce la più grave alterazione del principio del giudice naturale, e la ragione fondamentale della prescrizione al galoppo per i reati meno interessanti delle inchieste da Romanzo Criminale:“Il sistema usato dai giudici di Milano è un misto di furbizia e d’interpretazione estensiva e innovativa delle nuove norme processuali. La furbizia riguarda il giudice per le indagini preliminari. In teoria, la sua scelta dovrebbe essere automatica, effettuata non sulla base delle necessità o dei desideri del pubblico ministero o dell’indagato, ma con il criterio oggettivo della competenza temporale. A garanzia dell’indagato e delle più elementari regole di giustizia, i fascicoli delle indagini dei pubblici ministeri dovrebbero essere assegnati ai gip secondo un criterio esclusivamente cronologico e quindi rigorosamente oggettivo. In pratica i pm dovrebbero trasmettere gli atti ai gip di turno. Invece, fatta la legge, trovato l’inganno. A Milano si scopre che aggirare l’oggettività del criterio cronologico è un gioco da bambini. Basta mettere insieme un po’ di casi di scarso rilievo o pubblico o penale: i soliti furti, l’ennesimo tossicodipendente, il consueto scippatore e via di seguito. In questo modo si satura il gip di turno non gradito o considerato non funzionale alle indagini su Tangentopoli.E si riesce a piazzare regolarmente il fascicolo giusto al gip giusto”.
E’ la fine della certezza della pena.

Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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