La farsa del Quirinale

0
199

dario
Si riapre la corsa al Quirinale: o meglio si apre il sipario sul peggio della partitocrazia

Definizione del termine “farsa” secondo il dizionario italiano (Sabatini-Coletti): “Avvenimento poco serio, situazione che cade nel ridicolo”. Applicazione all’Italia di oggi: la pratica delle allusioni, intese segrete, minacce, giri di valzer, impallinature, finte mosse, investiture solenni, ballon d’essai, prese di posizione ideologiche, candidature alle vorrei ma non posso, tiri alla quaglia, congiure di palazzo; è lo spettacolo che, ad ogni nuova elezione di un Presidente della Repubblica, ci offre la politica italiana.
Ancora non si è del tutto spenta l’eco dello rocky horror show quirinalizio andato in scena nell’aprile 2013: la girandola delle candidature bruciate (Marini e Prodi, quest’ultimo abbattuto da 101 franchi tiratori del suo stesso partito), delle votazioni interminabili, dei voti andati a Veronica Lario, Valeria Marini e al conte Mascetti, indimenticabile protagonista del film “Amici miei” impersonato da Ugo Tognazzi. Ancora si ride al ricordo del film liberatorio di Claudio Bisio, “Benvenuto Presidente!”, in cui il protagonista è un bibliotecario disoccupato, eletto al Quirinale dal momento che si chiama Giuseppe Garibaldi. E ancora si sorride amaro al pensiero della Marcia su Roma indetta in quella occasione da un altro comico, Beppe Grillo, purtroppo per lui e per tutti, deciso a farsi prendere sul serio. Fino al trionfo finale della realtà romanzesca: i partiti che supplicano in ginocchio il vegliardo Presidente uscente, Giorgio Napolitano (allora 86 anni), di accettare il rinnovo del mandato per un altro settennato.
E ridiamo pure, ma attenti: dietro a questa farsa in cui i personaggi entrano ed escono dalle porte girevoli, si nasconde un mordo antico e niente affatto divertente: la partitocrazia.
Che, tradotto, significa monopolio della elezione presidenziale riservato ai leader politici; esclusione della volontà popolare; utilizzazione strumentale della carica per altri fini di potere; nomina di un personaggio “rappresentativo” (come se si trattasse di un concorso per l’Accademia dei Lincei) anziché di uno statista in grado di governare e guidare il Paese oltre gli ostacoli impervi già disseminati sul nostro cammino.
Tutto ciò purtroppo è possibile perché l’Italia resta all’interno di un sistema parlamentare, il che tradotto nel linguaggio corrente significa – fin dai tempi della Prima Repubblica – in mano ai partiti. Mentre il presidenzialismo, cioè l’elezione diretta da parte del popolo di un Presidente con poteri di governo, resta una bandiera da agitare quando serve (vedi Forza Italia) e da lasciare nel retrobottega quando non è più utile alle modeste microambizioni e utilità personali.
Soltanto una riforma radicale in senso presidenzialista, sostenuta da Libertates (e illustrata come meglio ho potuto nel saggio Fuori i secondi!, edito da LibertatesLibri), potrebbe sottrarci alla nuova farsa già in atto, e inaugurata dalla “soffiata” riguardo alla volontà dimissionaria di Napolitano all’inizio del 2015. Ma i partiti attuali, nessuno escluso, non ci pensano nemmeno a cambiare: un po’ per tornaconto, un po’ per pura ignoranza politica.
Eppure noi di Libertates non abbiamo intenzione di lasciar cadere questa bandiera.

Dario Fertilio