Non c’è dubbio che nelle vicende dell’urbanistica di Milano siano stati commessi reati, penali o amministrativi, ma andrebbe evìdenziata anche l’influenza della burocrazia in queste vicende.
L’importanza negativa dell’inefficienza, della macchinosità e della neghittosità di una certa burocrazia è apparsa evidente in almeno due aspetti.
Perché la Commissione del paesaggio (che non è altro che la versione moderna della “commissione dell’ornato” del secolo scorso) ha assunto un’importanza fondamentale nei processi di approvazione dei progetti quando dovrebbe avere, secondo la legge, solo compiti consultivi?
Perché i funzionari del Comune a cui sarebbe spettato il compito di approvare i progetti erano completamente supini alle loro decisioni? Forse perché non esistono più burocrati competenti, indipendenti e in grado di far valere le proprie decisioni?
Ma esiste anche un altro problema burocratico: per ottenere permessi e autorizzazioni occorre in qualche modo aggirare norme e regolamenti tanto complessi, contraddittori e inefficienti. Pena la stasi generale. E tutto questo porta a “forzature” delle procedure o ad aggiramento delle norme stesse.
Un esempio, piccolo ma significativo, viene dalla richiesta fatta dal priore dei francescani di viale Piave di poter costruire una semplice pensilina per riparare dalle intemperie i disgraziati che stanno, spesso per ore, in fila ad aspettare di accedere alla mensa. Nel caso dalla richiesta fatta nel 2020 nulla ha ottenuto: dopo svariate peripezie burocratiche l’approvazione è ferma perché non si sa a quale assessorato spetti dare l’approvazione al progetto!
Una prova di più di come una burocrazia così inefficiente sia uno degli ostacoli maggiori per un Paese che vorrebbe essere moderno.
di Angelo Gazzaniga