Il Mali scivola nel caos per tutto il 2012: prima l’insurrezione dei tuareg nel Nord, poi un golpe militare (contro un governo accusato di essere troppo imbelle contro la guerriglia dei tuareg), poi la secessione del Nord, ribattezzatosi Azawad, poi la penetrazione delle milizie Ansar Dine (legate ad Al Qaeda) nell’Azawad che subito sottomettono tutto il popolo alla legge coranica, poi gli islamici iniziano a espandersi anche nel Sud. Infine: interviene la Francia per riportare l’ordine. E’ il ritorno dell’ex padrone colonialista.
E’ neocolonialismo? La Francia non fa mistero di praticarlo. Ma trova sempre il modo giusto per farlo: consenso dell’Onu, consenso degli organi sovranazionali locali e rivendicazione di una sorta di patria potestà su quelle regioni africane. In questo intervento, per esempio, ha ottenuto luce verde persino dalla Russia e dalla Cina che dell’anti-interventismo hanno sempre fatto la loro bandiera. In Libia, nel 2011, è stata la Francia, soprattutto, a volere l’ingerenza armata della Nato. Ed è stata la guerra meno contestata degli ultimi decenni. Durante il conflitto libico, forse è sfuggito a molti che i francesi abbiano combattuto un altro conflitto africano, in Costa d’Avorio, rovesciando il presidente Laurent Gbagbo. E anche in questo caso Parigi è riuscita ad ottenere un plauso pressoché unanime dei media e degli organi sovranazionali, sia africani che mondiali.
Il caso degli Stati Uniti è speculare e contrario. La potenza anticolonialista per eccellenza viene tacciata di “imperialismo” anche quando non interviene. Ad esempio gli Usa sono accusati di fomentare le guerre del Medio Oriente, ma non sono mai scesi in campo, in un conflitto, al fianco di Israele. Se non per vendere armi allo Stato ebraico (ma gli Usa le vendono anche a tantissimi Paesi arabi, ostili a Israele, se per questo). Sembra quasi, ma non è solo un’impressione, che più viene messo in discussione il modello anticolonialista e di esportazione degli ideali democratici, tipico degli Stati Uniti, più viene riesumato il vecchio modo francese di trattare il Terzo Mondo. E le motivazioni della Francia non sono dissimili dal vetero-colonialismo. Cambiano solo i termini. Allora si parlava di “missione civilizzatrice”, oggi di “missione umanitaria”. Si muovevano le cannoniere per contrastare pirati e mercanti di schiavi. Oggi si mandano gli aerei per bombardare i terroristi. Sono soprattutto gli intellettuali francesi, i “nuovi filosofi”, che premono per un intervento in Siria, anche quella una ex colonia francese. Il vetero-colonialismo era una forma di dominazione permanente. Ma anche oggi la Francia controlla le sue ex colonie africane: nella moneta, nelle istituzioni e nella classe dirigente. I programmi economici destinati all’Africa occidentale sono ritagliati sugli interessi di Parigi. E non si sgarra.
Ma siamo sicuri che sia proprio un male? Prendiamo il Mali: senza intervento francese, sarebbe finito fagocitato da un altro “impero”, quello integralista di Al Qaeda, che si espande rapidamente in tutta l’Africa. La popolazione locale, se non altro quella del Sud, non vedeva l’ora di veder comparire le divise della Legione Straniera. La breve dominazione di Ansar Dine nel Mali del Nord, fra mani mozzate, storiche moschee distrutte (Timbuktu), lapidazioni e segregazione delle donne, ha provocato un’ondata di mezzo milione di profughi in meno di un anno. I francesi, con il loro intervento armato, stanno cercando di porre fine a un Inferno in Terra. Ma era così anche nel XIX Secolo, all’epoca del vecchio colonialismo. E’ ingenuo credere alla favola delle tribù felici che vivevano nel rispetto della natura fino all’arrivo dei cattivi europei. L’Africa pre-coloniale era terribile, misera e sanguinaria tanto quanto l’Africa post-coloniale. Ma allora il colonialismo è stato un bene o un male? Su questo punto i liberali si sono sempre mostrati ambivalenti. Autodeterminazione sì, ma fino a un certo punto. Karl Popper, ad esempio, non si è mai espresso esplicitamente sul colonialismo. Ma lascia benissimo intendere che fosse favorevole. Quando, per esempio, sostiene che il mondo migliore, avviato verso la pace e il progresso, fosse quello antecedente alla Prima Guerra Mondiale, di fatto tesse un elogio agli imperi coloniali. Perché, nel 1914, gli imperi coloniali europei erano al loro apogeo. Quando poi sostiene che la decolonizzazione sia stata un “disastro” e che l’autodeterminazione, applicata all’Africa, fosse paragonabile alla “autogestione di un asilo”, capiamo benissimo dove voglia andare a parare: meglio l’ordine della legge (liberale ed europea) che l’autogoverno dei violenti. Altri liberali, però, come l’americano Rudolph Rummel, svelano le cifre della vergogna: 50 milioni di morti nel Continente Nero sotto il tallone degli imperi coloniali, in poco più di un secolo di dominazioni. Il Congo Belga fu il peggiore di tutti, un vero campo di concentramento a cielo aperto. E un liberale dovrebbe rimpiangere questo scempio? Qual è il prezzo della civiltà?
Stefano Magni