Leggo per legittima difesa (come Woody Allen)

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fasanotti
La Chiesa e la fuga dei gerarchi nazisti nel libro “L’anima del Führer” di Dario Fertilio.

Sul finire del 1943 cominciò a crearsi una sorta di scivolo, unto di veleni, vendette e orrori, usato con sempre maggior frequenza dai nazisti. Per salvarsi. A parte gli irreducibili fedeli alle visionarietà strategiche e tecnologiche (le “nuove bombe”: non riuscirono a metterle a punto, per fortuna), a parte i brandelli di orgoglio nazionale che arruolò come tristi burattini ragazzi anche di 13 anni, a poco a poco lievitò la convinzione che tutto era perduto. La morsa degli Alleati era sempre più inesorabile. Tutti, o quasi, sanno che certi papaveri con la svastica si appoggiarono alla rete geo-diplomatica del Vaticano che era in grado di far salpare i carnefici da Genova. Destinazione il Sudamerica. Pur affrontando la scarsità documentaria a causa di un prudentissimo riserbo diplomatico, Dario Fertilio, giornalista e ricercatore, coniuga le sue brillanti capacità storico-narrative per descrivere quel lungo e viscido periodo (che durò addirittura fino al 1947). In assenza di foto testimoniali o racconti in presa diretta, ricorre alla fantasia, sempre ancorata al verosimile. Il risultato è un libro stilisticamente appassionante e ricco di pathos. Dopo la morte di Pio XI e la salita al Soglio di Pio XII, il Vaticano si dà da fare. Con mano felpata. Ed ecco che spunta la strana figura dell’alto prelato Alois Hudal, già criticato in Santa Sede e altrove perché sostenitore dell’unione nazismo-cristianesimo e in particolare convinto assertore del dovere di salvare l’anima di Hitler. Scriveva che “Stato, Popolo e Razza restano comunque sottomessi alla parola di Dio”. Conniventi altri stati, desiderosi di “ospitare”, per sfruttarli, gli scienziati del Terzo Reich. Fertilio, prima ancora di raccontare il bombardamento di Roma “città aperta” da parte di 321 bombardieri bimotori che con 682 tonnellate di bombe (deviate dal vento e da errori tecnici: erano destinate alla stazione Termini, ma caddero nel quartiere di San Giovanni, scoperchiando le tombe del cimitero del Verano), dipinge lo sgomento del soldato Petr, del fronte bielorusso, che cammina tra le rovine di Konisberg, città di Kant e ridicolmente difesa dagli adolescenti del gruppo Werwolf (“Lupo mannaro”). Petr, guardacaso, è nativo di quella città (pur figlio di russi). Crisi di identità, ovviamente, enfatizzata dall’incontro con Maritza, vedova con una figlia (Sonia sarà poi rinchiusa in uno dei tanti centri di “educazione” marxista per la de-germanizzazione). Nasce un quasi idillio. Petr, riceve poi l’incarico, col nome russo Koursov, di andare a Roma come spia sotto le spoglie del nazista sbandato. La sua missione è quella di vederci chiaro sulla cosiddetta “fuga dei ratti”(termine anglosassone che indica la disperata salvezza dei marinai d’una nave che affonda). Qui, in un anfratto monumentale di piazza Navona, incontra Hudal. E viene a sapere che sui moli genovesi sono pronte alcune belve naziste come Erick Priebke, Joseph Mengele, Adolf Eichmann (sarà poi processato in Israele per il ruolo che aveva avuto nel traffico di ebrei verso lo sterminio), Gustav Wagner (capo del lager di Sobidor), Franza Stangl (responsabile del lager di Treblinka). Perché la Chiesa facilitò la fuga di questi “ratti”? Anche per i concetto di misericordia e di quella pietas la cui radice storica è l’asylon dei greci. In San Pietro non mancava poi chi considerava il “nazismo buono” come ultimo baluardo contro la temibilissima orda bolscevica. Tutto questo senza dimenticare che fu quella stessa Chiesa a salvare centinaia di ebrei.
(Dario Fertilio- “L’anima del Fuhrer- Marsilio, 215 pagine, 16,50 euro).

Pier Mario Fasanotti

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