I contratti nazionali di lavoro non hanno più senso

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Una visione più adatta ai tempi in cui viviamo e soprattutto più liberale dei contratti di lavoro, che dovrebbero essere dei rapporti tra chi lavora assieme per ottenere migliori risultati per tutti
Ma nemmeno le tariffe professionali , vere gestioni corporative che bloccano i vantaggi di un mercato competitivo.
Ma si ha idea a cosa serva il lavoro e quindi come si produce un valore aggiunto che il mercato (noi, la migliore e quotidiana democrazia, quando spendiamo i nostri sudati guadagni) vota scegliendo il migliore servizio-qualità- prezzo?
Il “ dipendente”, questa terribile definizione legale, è un collaboratore interno dell’azienda con (e non per) la quale lavora. Come lo sono altri fornitori o professionisti esterni.
L’ azienda, per fornire al mercato (cioè a tutti noi servizio-qualità- prezzo, deve avere fornitori-collaboratori all’altezza di quanto il mercato richiede, altrimenti il mercato,(cioè noi) ci rivolgiamo ad altri. Ed oggi con le informazioni di internet, la logistica eccellente, la globalizzazione ( che aumenta il nostro potere di acquisto ) noi troviamo più facilmente quanto vogliamo comprare e lasciamo fallire gli altri.
Ecco che allora non può che essere il Cliente-azienda a scegliere il Fornitore-Collaboratore e stabilire con lui il servizio da ricevere e le relative condizioni, compresi i termini di disdetta contrattuale reciproca. E così come il mercato, noi cerchiamo il migliore fornitore, il Fornitore-Collaboratore cercherà il migliore Cliente per il suo servizio , cioè l’azienda che gli offre il meglio.
E solitamente le due cose marciano di pari passo. Le aziende migliori guadagnano di più perché lavorano con i collaboratori migliori, che guadagnano di più.
LA SITUAZIONE

La competizione mondiale sta dimostrando che la produzione del nostro Paese non è competitiva e ciò porta a non avere lavoro sufficiente per tutti.  Le nostre imprese hanno produttività orarie e/o qualità di prodotti sufficienti, ma sono gravate dall’improduttività del sistema Italia.  Il rapporto di lavoro non può essere costruttivo o produttivo in forza d’obblighi di legge, o da contratti collettivi, ma deve basarsi sulla collaborazione produttiva reale collaboratore- azienda-mercato. Oggi l’imprenditore è alla continua ricerca di management capace, autosufficiente, che ottenga risultati non eseguendo ordini, ma concordando obiettivi e raggiungendoli con le proprie capacità. Il “mercato” giudica e vota i risultati di questo scambio di apporti, acquistando o no prodotti e servizi delle aziende. Un buon imprenditore deve premiare la collaborazione di chi lo aiuta a ottenere risultati positivi ma, al contempo, deve occuparsi di sostituire quanti non sono all’altezza dell’incarico e a dimensionare gli organici secondo l’evoluzioni del mercato e delle tecnologie. La cessazione di un rapporto di lavoro dovrebbe essere, semplicemente, la ricerca di una professione più adatta alle proprie capacità ed attitudini, con la tranquillità fornita da adeguati ammortizzatori sociali. Molto deve cambiare in fatto di contrattualistica economica; infatti, è ormai superato il tempo in cui lo Stato, i sindacati e i giudici del lavoro decidevano cosa è utile per due parti che si accordano. Il cosiddetto “lavoratore dipendente” deve diventare un cittadino di serie A, scegliendo autonomamente e liberamente, la forma lavorativa a lui più consona e i patti liberamente sottoscritti devono essere rispettati da entrambe le parti, senza alcuno sfruttamento reciproco. Essere assunti in un ruolo lavorativo non è un diritto, ma un accordo per ottenere reciproche utilità. Altri modi di lavorare insieme sono fallimentari. Non sono i circa 60 Contratti di lavoro nazionali di 600 pagine ciascuno, con regolette incomprensibili e bigini di 40 pagine per spiegare come utilizzarli e migliaia di sentenze che dicono altro ancora, che permetteranno all’Italia il continuo aumento della disoccupazione e della povertà. Tutto il mondo gira in un altro modo.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

I costi eccessivi, fallimentari per lo Stato italiano e quindi per il suo contribuente ( noi ) hanno ormai eroso le antiche caratteristiche del settore pubblico (garanzia del posto, avanzamenti per concorso o per anzianità, scarsa o nulla mobilità eccetera) e dunque è necessario applicare criteri privatistici anche alla pubblica amministrazione. Si deve puntare ai contratti di lavoro individuali, pur nella cornice di accordi – leggi essenziali o contratti per categorie assai omogenee ( ma il lavoro è e sarà in continua evoluzione ). Questo perché siamo in un mondo del lavoro sempre più flessibile e globalizzato, in cui sono ormai scomparse le grandi fabbriche con migliaia di operai, così come le mansioni generiche e gli operai dequalificati, Precisamente a questo scopo si deve puntare a una semplificazione dei rapporti di lavoro, anzitutto come scelta morale e pratica per garantire i più deboli e meno istruiti.

di Adriano Teso (da “Libertates-Centro Studi Liberali”)

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