“Fuori i secondi” recensito in un elzeviro del Corriere della Sera

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“Il volume sul presidenzialismo “Fuori i secondi” di Dario Fertilio edito da Bibliotheca Albatros (casa editrice dei Comitati per le Libertà) recensito in un elzeviro di Giovanni Belardinelli sul Corriere della Sera di mercoledì 4 settembre. Il volume, come tutti gli altri, può essere acquistato sullo store online di Libertates.com”.

Nel nostro ordinamento costituzionale i poteri della presidenza della Repubblica sfuggono a una precisa definizione. Nella realtà appaiono destinati ad ampliarsi quanto maggiori sono il discredito che colpisce i partiti e la fragilità del sistema politico. Si tratta di considerazioni che, un tempo oggetto soprattutto degli studi di costituzionalisti e politologi, sono diventate ormai patrimonio di gran parte dell’opinione pubblica del Paese. Da anni, già ben prima che il presidente Napolitano giungesse al Quirinale, è infatti divenuta evidente la funzio- ne di «supplenza attiva» esercitata dal presidente della Repubblica. Tanto che si può oggi parlare di una «presidenzializzazione del capo dello Stato», come efficacemente la chiama Giovanni Guzzetta in un saggio pubblicato sull’ultimo numero della «Rivista di politica».
Ma la cultura del Paese resta ancora prevalentemente ostile a una trasformazione in senso presidenzialista che prenda atto di questa nuova realtà, come sottolinea Dario Fertilio in un appassionato pamphlet, che per il titolo ha preso a prestito dalla boxe la frase pronunciata dall’arbitro all’inizio di ogni ripresa: Fuori i secondi! In favore del pre- sidenzialismo (I libri di Libertates, pp. 86, € 10). Per anni molti politici, commentatori, studiosi (tra essi non pochi co- stituzionalisti autonominatisi custodi dell’immutabilità della nostra Carta) hanno indicato in ogni ipotesi di Repubblica presidenziale o semipresidenziale l’anticamera di un regime autoritario. Gran parte della cultura politica dell’Italia repubblicana, dalla Costituente in poi, è stata del resto ispirata a una vera e propria paura di ogni leadership forte. Inizialmente per il ricordo della dittatura mussoliniana, certo; ma in realtà, nota giustamente Fertilio, ciò che vera- mente temono gli avversari di una riforma in senso presidenziale, almeno quanti la avver- sano dall’interno dei partiti, è appunto la riduzione del potere degli apparati, la cui in- fluenza viene a essere necessariamente ridotta dalla centralità assunta da un presidente della Repubblica che sia anche a capo dell’esecutivo. Apparentemente inconsapevole della necessità per una democrazia di avere governi forti, capaci di assumere deci- sioni, la classe politica della Prima Repubblica ha, non a caso, favorito il succedersi di governi di tutti i generi e tipi (anche «balneari»), rigorosamente condannati a non dura- re l’intera legislatura. La cosid- detta Seconda Repubblica, come è a tutti noto, dopo un iniziale tentativo di dar vita a una democrazia maggioritaria, ha poi proseguito sulla strada della Prima.
Scritto anteriormente alla formazione dell’attuale governo, e dunque prima delle ipotesi di riforma costituzionale che in teoria (ma temo solo in teoria) includono lo stesso presidenzialismo, il libro di Fertilio non si avventura in previsioni. Ma è abbastanza evidente che, senza una evoluzione della cultura politica antipresidenzialista e dell’egemonia che essa esercita in settori chiave del Paese, ben difficilmente le cose potranno cambiare. In Francia, come ri- corda il ministro e storico Gaetano Quagliariello nel suo re- cente De Gaulle (Rubbettino, pp. 752, € 36), Mitterrand, do- po essere stato inizialmente un critico feroce dell’elezione diretta del presidente della Repubblica (la definì nel 1964 «un colpo di Stato permanen- te»), seppe sfruttare abilmente le possibilità offerte dal sistema fino al punto di diventare il più significativo «monarca repubblicano» dopo lo stesso de Gaulle. Possiamo chiederci se anche in Italia non possa verificarsi nella cultura politica della sinistra, la parte politica tradizionalmente più antipresidenzialista, un’evoluzione di segno analogo. Un paio di mesi fa, l’ex premier Ro- mano Prodi si dichiarò totalmente a favore del semipresidenzialismo francese e del connesso sistema elettorale a doppio turno per la loro capacità di dare al Paese «un governo forte e stabile» (quel tipo di governo, è fin troppo ovvio aggiungere, di cui Prodi aveva sperimentato direttamente la mancanza). La stessa attuale battaglia politica dentro il Pd, per quanto confusa, certamen- te implica una contrapposizione tra quanti vorrebbero con Renzi una democrazia forte e capace di governare, e perciò guardano con favore al sistema francese, e un apparato che vede in ogni ipotesi di esecutivo forte una limitazione del proprio potere di interdi- zione e di veto. Non a caso un tale apparato ha finito per diventare inconsapevolmente l’erede di una Dc che sempre volle distinguere il ruolo di capo del governo da quello di segretario del partito e nei fatti impedì ai suoi principali leader di assurgere alla massima carica dello Stato.

Giovanni Belardinelli

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