La vera domanda, a questo punto, è: un disegno, una vignetta, una satira, valgono la vita? Valgono la morte? Dobbiamo chiederci se la libertà – e la libertà di espressione – devono pagare un prezzo così alto per essere perseguite a questo modo. Non sono mai stato un pacifista a oltranza, penso che allo sterminio gratuito bisogna rispondere con le armi della repressione più determinata. Ma a fronte di quanto accaduto in Francia non posso non chiedermi se al di qua della repressione, prima della rappresaglia o della risposta violenta, non si debba valutare attentamente come prevenirla. Ovverossia a quale valore supremo e insindacabile assegnare il diritto intangibile di non essere violato. Mi chiedo se non sia tempo di renderci conto che il terreno autentico e profondo della nostra legittima rivendicazione di libertà – e di libertà di espressione – debba finalmente cessare di essere quello delle vignette e della satira disinvolta. Morire per la patria, per la libertà di esprimere il proprio pensiero sociale e politico, la propria cultura e le proprie tradizioni è un morire degno di sacrificio. Ma morire per dei disegni è assurdo. È assurdo che noi si debba oggi schierarci con i poveri martiri di Charlie Hebdo perché in essi sarebbe rappresentata la nostra libertà. È assurdo perché la sproporzione fra un disegno e una vita sacrificata non può essere tollerabile. Ed è per questo che, paradossalmente, il massacro dei dodici francesi dovrebbe indurci a un atto di consapevolezza che va al di là del legittimo sdegno e dell’inevitabile orrore attuale. È ora che ci si domandi se nel mondo in cui viviamo – dove il clash of civilisation trova ancora più adepti di quanti vorremmo – non sia tempo di selezionare, di scegliere, di valutare oculatamente quale sia l’argine della nostra incompatibilità con l’estremismo islamico. Se davvero sia sensato – o non sia viceversa assurdo – morire in nome di una libertà che trova la sua sola forma in vignette di dubbio gusto e di discutibile significato culturale. Non si tratta di fare un passo indietro o cedere al diktat del radicalismo islamico. Si tratta di rifondare i princìpi di un’alleanza occidentale su basi meno effimere e su dogmi meno aleatori. Si tratta in buona sostanza di coltivare una nuova coscienza dei tempi e smetterla di immaginare irricevibile l’oltraggio dell’intransigenza altrui. Il fatto stesso che tale intransigenza esista e si proponga come violenza sistematica contro l’effimero dovrebbe imporci di ricalibrare il nostro concetto di libertà e valutare se non sia il caso di cessare una volta per tutte quella che altri intendono – e dovremmo saperlo – come provocazione inaccettabile. In altre parole: non sono e non saranno dei limiti imposti alla libera espressione della propria satira a compromettere i principi e l’ideale di libertà in senso alto a cui l’Occidente si ispira. Non deve e non dovrà più essere rinunciare all’oltraggio satirico, alla provocazione deliberata, all’affronto offerto come dileggio che metterà in pericolo la nostra identità occidentale. È tempo che si sacrifichi – invece delle nostre vite – alcuni dei nostri apriorismi e delle disinvolte certezze che stanno alla base dell’improprio assioma secondo cui ogni libertà è lecita. No, non ogni libertà è lecita. E soprattutto, purtroppo, non ogni libertà può pretendersi incolume e esente da minacce. Per scongiurare analoghi massacri in futuro è tempo di decidersi ad abbassare il tiro delle nostre pretese libertarie e focalizzare il nostro diritto alla libertà laddove la libertà è davvero minacciata. Nessuna maggiore accortezza, nessun sovrappiù di tatto, nessuna discrezione e nessun surplus di rispetto nei confronti della sensibilità altrui credo sia ragione lesiva dei fondamenti reali su cui tale nostra libertà è fondata. È forse impopolare pensarla così in questo momento. Ma è un atteggiamento che forse, in futuro, potrebbe scongiurare l’assurdo di altre morti simili.
Marco Alloni