TOTI IN EQUILIBRIO TRA GLI STATI MISTI E IL “PUNTO DI EQUILIBRIO” DI TESCAROLI

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“La realtà esiste, ed è estremamente pericoloso negarlo”
George Soros

Diventeremo Fallibili, rinunziando alla fede ideologica nella Dea Ratio che è l’inconscio collettivo dell’Illuminismo. Scrivo sotto il cielo cinereo della Liguria mercoledì 15 maggio 2024, mentre Mani Pulite genovese annuncia la morte delle garanzie e la Forma è considerata la rivestitura della sostanza: è la “sospensione dell’incredulità” in Basic Instinct. Non occorre essere formalisti, per dire che, se non si rispettano le procedure, muore lo Stato di Diritto. Continua la Fiera della Vanità contro Giovanni Toti, accusato di tutto ma soprattutto di niente. Con echi letterari, scrivono Marco Preve e Marco Lignana, due cronisti di razza, su “La Repubblica”: “Nell’arco di una manciata di ore il destino giudiziario di Giovanni Toti sembra prima sprofondare nel baratro. Poi, improvvisamente, appare sospeso, congelato…”. Il narcisismo nei politici e negli artisti funziona allo stesso modo: parola di Oliver Stone. Scusatemi queste digressioni in libertà. Il punto dolente è che dovremo inserire la Fallibilità Radicale nell’orizzonte della Giustizia, ma in Italia le fondazioni per la Società Aperta non hanno avuto cittadinanza. Fiat iustitia et pereat mundus: sia fatta giustizia e perisca pure il mondo, e nel 1793 la ghigliottina, la perversione della violenza colorava di sangue la Rivoluzione francese. Luigi XVI e Robespierre facevano patta; la ragione sorregge l’imbroglio, ed è la grande sconfitta dell’Illuminismo. Previti e Cordero facevano patta? Moriremo di ragione, che non tiene conto che la realtà esiste. Dirò di più, che se l’art. 112 della Costituzione è portato al “punto di equilibrio”, favorisce il crimine. Ma siamo arrivati alla fine di un’epoca contrassegnata dalla falsa credenza di ridurre la Iustitia alla ragione. Che dire, infatti, dell’arresto di Henry Charriere detto Papillon nella nazione che ha dato i natali a Charles Secondat de la Brede di Montesquieu? Che dire dell’arresto di Dominique Strauss Khan a New York il 13 maggio del 2011, con il trucco di una covert action ordinata da Nikolas Sarkozy? E che dire della diabolica “dichiarazione spontanea” del luciferino Licio Gelli alla Procura della Repubblica del Tribunale di Milano nel febbraio del 1993? Tre indizi sono una prova. La prova che le categorie di Kant – il Bene e il Male – non sono universalmente valide. Anzi, il Bene e il Male fanno patta. La riforma dell’ordinamento giudiziario è in consecutio temporum con il “tintinnio delle manette”, ma Carlo Nordio che dalla visione è rapito fa i conti con il Gattopardo: giustizia senza riforma, o riformismo senza giustizia. Nulla cambia, purchè tutto resti uguale.
L’obbligatorietà dell’azione penale non è universalmente valida. Bisognerà pur democratizzare dall’interno l’art. 112 Cost., e inserire la versione della riflessività all’interno dell’ordinamento giuridico: ci sono prove tecniche della Fallibilità negli Stati Uniti, con l’annullamento per vizio di procedura della condanna a carico di un produttore cinematografico, ma con quarant’anni in ritardo; Soros non è stato ascoltato per tempo. E il galantuomo Cafiero De Raho non capisce che c’è un collegamento tra il rapimento del figlio di Charles Lindbergh e la scarcerazione di Chico Forti, poiché ragiona in termini riduttivamente “illuministici”, come faceva del resto anche Pino Arlacchi in relazione alla vicenda di Mikhail Khodorkovsky.

Veniamo al caso di Giovanni Toti, un cold case, la cui situazione peggiora di ora in ora e di giorno in giorno. Quasi Keynes, è quasi in carcere. La realtà è ambigua e complessa, e Francesco Bei scrive su “la Repubblica” del 15 maggio 2024: “Il futuro della Regione Liguria ma soprattutto del porto più importante d’Italia e dei giganteschi investimenti pubblici per ampliarlo è nelle mani del presidente Giovanni Toti, attualmente agli arresti domiciliari. Sua la scelta di continuare a tenere in ostaggio l’istituzione che presiede oppure lasciare l’incarico e riacquistare la libertà di difendersi nel processo senza più pressioni esterne…”. Ma, caro Bei, Toti è affetto dalla hybris: identifica se stesso con il new deal del porto di Genova, con la spesa pubblica tentata ma irrealizzata. Stava diventando il Roosevelt genovese. L’illuminazione narcisistica della hybris si rovescia nella nemesi, accade con puntualità svizzera: ma non è possibile spiegare perché; lo chiederei allo psichiatra e politico inglese David Owen. Forse dobbiamo inchinarci al mistero, che sospende il mito dell’eziologia, e accettare che grandezza è tragedia. “Io sono la chimica italiana”, io sono il porto di Genova. Il Pnrr si tinge di nero, e sfugge al suo riformatore. Continua Bei, nella finezza che notoriamente lo contraddistingue: “… Ipotizziamo solo per un momento che non siano stati commessi reati… Accettiamolo pure e accettiamo la parte che ci suggeriscono i commentatori e gli esponenti del centrodestra, ovvero quella di Alice nel Paese delle meraviglie. Il problema resta comunque grande come la diga del porto. Perché mai un’impresa privata dovrebbe finanziare un amministratore locale se non in cambio di un trattamento di favore in sede di appalti o concessioni pubbliche? E’ la grande questione del finanziamento della politica, che a trent’anni da Mani Pulite ancora non ha trovato una soluzione…” E’ compito della politica trovarla. Ma il decreto Conso fu bloccato. E’ sbagliato che Mattei finanziasse Fanfani? Poteva un magistrato chiederne conto?
E’ sbagliato che Bernard Tapie finanziasse Francois Mitterrand?
Alla domanda di Francesco Bei: perché mai un’impresa privata dovrebbe finanziare un amministratore locale se non in cambio di un trattamento ad personam in sede di appalti o concessioni pubbliche? Risponde Alessandro D’Amato in una bellissima analisi su “Open”: “L’inchiesta su Toti e la corruzione in Liguria si trova in una situazione giuridica ingarbugliata. La diga foranea sarà lunga 6.200 metri ed è pensata per consentire ingresso e manovra alle grandi navi portacontainer. L’investimento totale è pari a 1,3 miliardi. Si tratta di uno dei grandi progetti strategici del Pnrr ed è finanziata per 500 milioni dal fondo complementare. La mossa della prima pietra è avvenuta il 4 maggio 2023. L’ultimazione è prevista per il 2026. Ma il presidente dell’Autorità Anticorruzione Giuseppe Busia nella sua relazione annuale ieri (14 maggio 2024, ndr) ha lanciato l’allarme: “C’è il rischio di un significativo aumento dei costi. Perché è stato riconosciuto al privato il diritto di stabilire a quali condizioni realizzarla…”.

Quella di Giuseppe Busia è una deduzione nel senso dei paralogismi. Significativo aumento dei costi vuol dire spesa in disavanzo, che è quella che Toti progettò di fare ma non realizzò. Perché? Perché è stato arrestato. Il deficit spending, parola vietata dall’ortodossia, si sostanzia nella partnership pubblico-privato, che non è compito della magistratura sanzionare o, peggio, sabotare.
Ma la possibilità di reiterare il reato presunto (tentata legislazione criminogena, non corruzione!) e il rischio dell’inquinamento probatorio non ci sono. Tuttavia, il gip così ha deciso. Ma c’è di più e di peggio. Come notava lo stesso Alessandro D’Amato, “Le contestazioni – La storia comincia esattamente un anno fa. A poco meno di una settimana dall’avvio ufficiale dei lavori, il Tar della Liguria annulla l’aggiudicazione della gara. Trattandosi però di un’opera finanziata con le risorse del Pnrr, i cantieri non si fermano in quanto l’annullamento dell’affidamento non comporta la cessazione del contratto già stipulato. Di fatto, dunque, la stazione appaltante potrebbe ritrovarsi a pagare non solo il consorzio che ha stipulato il contratto ritenuto illegittimo ma anche la società che non è riuscita ad aggiudicarsi la gara…”. Capitalismo senza mercato, viene da dire. In Italia vincono i perdenti, perché non si perdona il successo.
L’incriminazione del governatore quasi keynesiano avviene su questo sfondo: una “guerra per bande”, l’ombra del porto delle nebbie. Ci sono alcune anomalie che vanno segnalate all’attenzione di un’opinione pubblica manipolata dalle fake news: frammenti di intercettazioni pubblicate dal Quarto Potere in violazione del segreto investigativo, consegnando al pubblico ludibrio fatti presunti, scenari ricostruiti a tavolino, mezze verità o plateali falsità. Basta leggere “la Repubblica” per rendersi conto che si mescola il vero al falso, e Giovanni Toti è processato politicamente, mancando l’individuazione della “responsabilità penale personale”: gravissima, sconfinando nella diffamazione vera e propria, è l’intervista a Egle Possetti, responsabile del comitato vittime del Ponte Morandi; stiamo parlando della Fiera della vanità sui non fatti della notitia criminis senza reati: “Amareggiati. Molto amareggiati. Purtroppo, siamo in Italia e non riusciamo mai a fare bene neppure a fronte di una tragedia di questo tipo”. E’ delusa Egle Possetti, presidente del Comitato Vittime del Ponte Morandi, dopo aver letto le intercettazioni tra il presidente della Regione Liguria Toti e il sindaco di Genova Marco Bucci. I due parlano dei 3 milioni di euro avanzati dai fondi destinati alla ricostruzione, invece dirottati ai riempimenti del porto, agli spazi molto cari all’imprenditore Aldo Spinelli.
“Non ci si ferma neppure di fronte a 43 morti?”
“Abbiamo sempre immaginato che la vicenda Morandi avesse da un lato creato disagio alla città, dall’altro fatto pervenire molti soldi necessari alla ricostruzione. Devo dire, però, che questa cosa di Spinelli non ci fa piacere. I milioni del Ponte Morandi dovevano avere una destinazione ben definita: dovevano servire per il quartiere che ha subìto pesanti disagi, con attività che hanno avuto danni e non sono mai state ripagate; che determinassero un ritorno positivo per questa parte di città che ha sofferto. Tanto è vero che con il Comune portiamo avanti il parco del Memoriale”. Invece, il sindaco ha destinato i soldi anche ad altre attività.”

“Anche se non è indagato, Bucci dovrà spiegare il dirottamento di questi fondi. Da un punto di vista politico giustificherà questo spostamento…”

Ma stiamo scherzando? Il sindaco Bucci non deve spiegare un bel niente; è una vergogna che escano intercettazioni sui giornali, decontestualizzate e priva di rilevanza penale (sic!), con l’effetto di delegittimare la persona che non è nemmeno indagata; i 30 milioni residuali dei fondi in dotazione PNRR per il ponte Morandi sono stati dirottati sulla diga foranea, ma non spesi. Tentato finanziamento. Una decisione politica, che non è giudiziariamente sindacabile e che – oltretutto – avrebbe sintetizzato tutti gli investimenti pubblici per Genova nel deficit spending che s’incontrava con il laissez-faire; affermare poi, da parte della irresponsabilmente populista Egle Possetti, “Qualcuno riuscirà a dimostrare che c’era un nesso tra il crollo del Morandi e il dirottamento dei fondi sul porto?”, significa gettare discredito sulle istituzioni. Un comportamento che forse integra gli estremi della diffamazione, con il trucco del sensazionalismo alla Pasolini. Pasolini da quattro soldi, però. Oltretutto la “cordata perdente” sarebbe stata tagliata fuori dal provvedimento assunto dal governatore: Eteria; vi ricordate il maxi-risarcimento accordato al petroliere senza petrolio Nino Rovelli? Corruzione in atti giudiziari. Il perdente incassava 800 miliardi di lire a titolo di risarcimento (sic!) dallo Stato, e Previti pagava i giudici.
Adesso i ricorrenti al Tar vedono ribaltarsi la situazione a loro favore, ma la Nuova Diga da successo diventa fallimento. E una sconfitta per l’Italia intera, spettatrice inerte di un giuoco al massacro dove nessuno rimane vergine all’orrore. Infine, sulla questione della sanità occorre un’informazione quanto mai puntuale. Se questa è la nuova Tangentopoli genovese, viene processata la partnership pubblico-privata come costruzione artificiosa della notitia criminis: non c’è la corruzione, ma soprattutto non si contesta la corruzione, ma facciamo finta che ci sia.
Non può non esserci. Ma che modo di procedere è? Non devo fare alcuna fatica, mi basta citare Giuseppe Filetto e Marco Preve che sono “reo confessi” di collateralismo alla Procura di Genova:

“… Uno dei primi atti deliberati appena insediato il centrodestra in Regione, era “L’indagine di mercato: conferimento incarico esplorativo ad Alisa”, con l’esplicito disegno di affidare parte della sanità ligure ai privati, sul modello lombardo. Giovanni Toti un anno dopo la sua prima elezione, nel 2016 aveva importato da Bergamo Walter Locatelli, all’epoca direttore generale della Asl di Milano e incallito promotore della sanità pubblico-privata, molto vicino a Matteo Salvini e nell’elenco dei finanziatori del Carroccio. In nove anni di amministrazione, quel disegno di privatizzazione in parte è stato attuato. Ma dall’inchiesta sulle tangenti che ha investito il porto con l’ex presidente Paolo Emilio Signorini e il ricchissimo imprenditore Aldo Spinelli ai domiciliari, la Procura di Genova ha stralciato una serie di intercettazioni che fanno sospettare di finanziamenti elettorali ai comitati elettorali di Toti in cambio di contratti e convenzioni con la sanità pubblica (ma che roba è?, ndr). In quella delibera regionale del 2017 Toti parlò di “svolta epocale della sanità ligure”, e iniziò dal Ponente, territorio controllato dall’ex ministro democristiano e poi forzista Claudio Scajola. Tre ospedali sul filo del ridimensionamento – e della chiusura – già nel precedente Piano Sanitario della Giunta Burlando di centrosinistra furono messi sul mercato. Albenga, Bordighera e Cairo Montenotte. Il piano di privatizzazione sugli ospedali ha subito dopo uno stop per il “Santa Maria di Misericordia” di Albenga e per il “San Giuseppe” di Cairo per una serie di ricorsi al Tar di altri gruppi esclusi. Su Bordighera, invece, è stata firmata la convenzione. Con il centrodestra parte anche la logica di affidare ai privati pure i servizi sul territorio: analisi chimiche, esami diagnostici, visite specialistiche e persino la gestione dell’assistenza domiciliare…”

E’ questo il punto, caro Preve. Si trattava di una partnership tra il pubblico e il privato che fece dire a chi scrive il marzo scorso: Keynes in Liguria, un modello per l’Italia. Se fatti del genere entrano in un fascicolo, la magistratura fa politica, ma fa politica per mascherare il nulla probatorio di un’inchiesta che ha messo le manette. Romanzo criminale. Populismo giuridico, si potrebbe aggiungere. Il presunto colpevole si difenda.
Scrive ancora Marco Preve: “… La Liguria è il fanalino di coda nel Centro Nord per le fughe dei pazienti in altre regioni e le polemiche per le liste di attesa nel servizio pubblico sono all’ordine del giorno. Ma l’8 marzo scorso Toti e il suo assessore regionale alla Sanità, Angelo Grattarola, hanno detto che la Liguria risulta tra le ultime in Italia per quanto riguarda la spesa per prestazioni affidate ai privati…”. Ed è verissimo!
Vorrei citare l’intervista ad Angelo Grattarola a “Il Secolo XIX”, dove c’erano gli embrioni della “Great Society” ligure: un vero e proprio New Deal che oggi è materia di inchiesta penale (sic!): “… I 50 milioni che la Regione ha deciso di investire per abbattere le liste d’attesa serviranno anche per recuperare, almeno parzialmente, la mobilità passiva. La situazione è chiara: Ortopedia è il nostro punto debole, è così da anni, se ne parlava ancora prima che venissi a lavorare al San Martino, parliamo di tredici anni fa. Abbiamo bandito la gara per la diagnostica che scadrà a gennaio (2025, ndr). Poi toccherà al resto”.
“Privato ma anche pubblico?”
“Certamente, la priorità ce l’hanno i nostri ospedali che vogliamo mettere nelle condizioni di lavorare di più. Daremo gli incentivi agli specialisti, agli infermieri e a chi lavora nelle sale operatorie. So già che non basterà e di conseguenza ci rivolgeremo nei prossimi mesi, sempre con un bando gara, quel che c’è in Liguria”….
Infine. La Giustizia è terra dei paralogismi, dove si nasconde “l’errore intenzionale nell’argomentazione”. Non si può ridurre l’amministrazione giudiziaria alla ragione, perché la realtà esiste; inoltre abbiamo bisogno di Martin Scorsese per renderci conto che il Bene e il Male rivaleggiano in parità. Questione che non è kantianamente riducibile. L’intervista a Luca Tescaroli su “la Repubblica” di Liana Milella lunedì 13 maggio 2024 è un caso da manuale della mancata applicazione della versione della riflessività al giudiziario (il limite di Tescaroli e Di Matteo è di riprogettare la realtà, invece che tenerne conto): “… “Nordio sull’indagine di Genova ha dato giudizi sulla necessità o meno dell’arresto…”
“Non ritengo di poter interloquire sulle inchieste in corso o sulle dichiarazioni che vengono attribuite al ministro della Giustizia. Il codice di procedura penale prevede presupposti molto rigorosi per emettere misure cautelari. Il duplice vaglio di pm e giudice sui gravi indizi di colpevolezza collegati a una o più prognosi di condanna e su specifiche necessità cautelari. Rappresentano un punto d’equilibrio tra le esigenze di garanzia per il cittadino e l’accertamento della verità, nonché del rischio di reiterazione dei reati, del pericolo di fuga e dell’inquinamento delle prove”…” Orbene, a proposito del “punto di equilibrio” scrive George Soros nei diari per la Società Aperta: “Io sono particolarmente diffidente nei riguardi del concetto di equilibrio.
Sottintende uno stato di cose desiderabile, una meta finale dove riposarsi, perché nulla può esservi migliorato. I fondamentalisti del mercato asseriscono che i mercati tendono all’equilibrio, e che qualsiasi interferenza da parte della politica è nociva. Si è visto che in molti casi non è determinabile un unico punto di equilibrio…”.

I fondamentalisti dell’art.112 Cost. asseriscono che la magistratura tende all’equilibrio, e che qualsiasi interferenza da parte della politica è nociva.
A quando la Fallibilità Radicale nella Giustizia?

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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