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LA FIERA DELLA VANITA’ CONTRO GIOVANNI TOTI, KEYNES A GENOVA

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“In Italia si perdona tutto fuorchè il successo tranne quando è immeritato”
Indro Montanelli

Omnia vanitas et vanitas vanitatum; a Genova il New Deal della spesa in disavanzo o la spesa in disavanzo del New Deal è tentata ma non realizzata. L’arresto del governatore ligure Giovanni Toti con l’accusa di corruzione ha odore di fumus persecutionis, la sua carriera politica è probabilmente distrutta. Qualcuno potrebbe obiettare, che quello di chi scrive è un incipit craxiano: cioè affermazioni pesanti sotto forma di populismo contro i magistrati. E’ così? Così è se vi pare. Sollecito alla vostra attenzione una riflessione ancorchè a caldo, e nel caldo sudamericano del maggio 2024. Partiamo dall’inizio. Che cosa c’è a carico del presidente della Regione? E’ accusato veramente di corruzione? Se si esaminano i fatti – e i fatti sono parte delle “realtà oggettive”, come insegna il filantropo George Soros –, a carico del presidente della regione Liguria non c’è niente, o meglio non c’è la dimostrazione dell’assunto alla base dell’ordinanza di custodia cautelare; si ipotizza – e già, il solo fatto di ipotizzare da parte dei tutori della Legge, significa avere un approccio pasoliniano – che il gruppo finanziatore Spinelli abbia fatto “erogazioni liberali” alla persona giuridica di Giovanni Toti corrisposte da tentati provvedimenti indebiti a favore dei soggetti erogatori di finanziamento registrato a bilancio. E’ un’accusa, o è un teorema travestito da accusa con tanto di perfezionamento della democrazia dell’applauso? E l’applauso a furor di popolo è un omaggio al “falso verosimile”. Mi ha colpito al riguardo che il Guardasigilli Carlo Nordio abbia preso le difese di Toti, con l’argomento inusuale – sia detto di passata – che il pubblico ministero non ha elementi di colpevolezza corruttiva nella configurazione della “notitia criminis”; sarebbe tratto in errore chi, per pregiudizio d’ostilità al Ministro della Giustizia che qualche stravaganza ce l’ha, trovasse del craxismo militante nell’ex magistrato, e infatti la citazione delle sue parole esatte non lascia spazio a dubbi poiché quella del ministro Nordio è una valutazione tecnica (non la butta in politica): “Mi sono già espresso sul caso, non tanto come ministro ma come magistrato. Occorre avere sempre cautela e rispetto, attenderemo i risultati di un’eventuale impugnazione. Mi ha colpito che qualcuno si attende che sia l’indagato a dimostrare la sua innocenza, questa è una bestemmia in una civiltà democratica. E’ l’accusatore che deve dimostrare la colpevolezza dell’indagato”. Parole chiare, e dure come pietre pronunziate da un uomo che di hybris soffre identificando se stesso con la Iustitia. Prima ancora, Nordio senza potere o Ministro senza Giustizia aveva osservato: “Esprimo perplessità sui tempi delle misure cautelari”. La consecutio temporum con il libero voto dei cittadini, come può non insospettire? La circostanza che il governatore non risponda alle domande del gip in sede di interrogatorio, la dice lunga sulla presunta e pretesa imparzialità della magistratura genovese. Siamo al caffè della Fiera della vanità. O alle danze del fumus persecutionis. E non è tutto. Perché è la stampa la vera vittima di un arresto tanto veloce quanto poco pubblicizzato. C’era fretta, molta fretta di mettere le manette; leggo sul Fatto Quotidiano, che non è proprio il giornale preferito da chi scrive: “… Tribunale off limits per i cronisti – Per partecipare all’interrogatorio, Toti è stato prelevato dalla sua residenza di Ameglia (La Spezia) dai militari della Guardia di Finanza: per evitare le telecamere, ha potuto fare ingresso in Tribunale passando dal garage, mentre il terzo piano dell’edificio, dove si è svolto l’interrogatorio, è stato interdetto al pubblico con un cartello che indica lavori in corso. “Come se non bastasse”, i cronisti “sono stati fatti allontanare anche dal nono piano al Tribunale di Genova”, dove si trova la Procura, “senza alcuna spiegazione. Si tratta di un fatto gravissimo”, denunciano il sindacato e l’Ordine locale dei giornalisti. “Nessuno può impedire ai giornalisti di fare il proprio lavoro. Devono essere garantiti sempre, a maggiore ragione su fatti così rilevanti, il diritto di cronaca e la libertà di stampa che non possono andare a intermittenza in base ai soggetti coinvolti”, sottolineano…”.
Non si deve parlare dell’arresto del Governatore di una Regione. Non è un po’ strano tutto ciò? Chi scrive ha “la Repubblica” tra le proprie costellazioni. Orbene, leggendo la requisitoria molto lucida di Stefano Cappellini si capisce che quando si parla di ambiente criminogeno, non si parla di reati. Cappellini fotografa l’estraneità del governatore a ipotesi e fatti di arricchimento personale, che non compaiono agli atti. Atti giudiziari senza corruzione, giovedì 9 maggio 2024: “Arrivano così tanti soldi che non sappiamo come spenderli”. Non è una frase contenuta in un brogliaccio di intercettazioni giudiziarie. L’ha pronunciata il vicesindaco di Genova Pietro Piciocchi in pubblico, in una commissione del Consiglio regionale della Liguria poche settimane fa. Rende bene l’idea della situazione in una regione che detiene il record di finanziamenti per opere pubbliche: più di sette miliardi di euro. Ma per un amministratore che abbia, mettiamo il caso, ambizioni politiche nazionali mai riposte, il problema dei soldi non è solo come spenderli, e quindi a chi farli incassare, ma anche come farli fruttare per provare a puntare più in alto. Spesa e consenso. Consenso e potere.
Per ricostruire il sistema Toti, che va rigorosamente definito presunto da un punto di vista penale, ma che appare concretissimo dal punto di vista politico, bisogna ripartire da questo incrocio di opposti: potenzialità finanziaria e debolezza politica, un fiume di denaro in arrivo in regione ma una consiliatura ormai agli sgoccioli, con l’incertezza su un possibile terzo mandato del governatore. Un potere feudale da rilanciare mentre si affievolisce fino spegnersi il sogno di un protagonismo nazionale. Quando cinque anni fa Toti uscì da Forza Italia si immaginava, in un futuro non lontano, tra i principali azionisti del nuovo centrodestra. Le cose sono andate molto diversamente…”

Si sa, sogno e realtà entrano in contrasto. Un conto è la fantasia, e un conto è la realtà.
Ma, scusate, quali sono i reati? Qui si parla, come a un lettore attento non può sfuggire, di costi della politica. La politica si regge universalmente sui costi della politica. Che dire del fatto che i coniugi Clinton ricevettero 3 milioni di dollari a titolo di contributo dalla Goldman Sachs, e poi Bill cancellò il Glass Steagall Act voluto da Roosevelt? Non c’è stata nessuna conseguenza giudiziale.
Continua Stefano Cappellini, ma la Liguria da bere non è corruzione, ripetiamolo: “… Genova, 11 aprile. Nella seicentesca villa Lo Zerbino, con il supporto del fedelissimo capo di gabinetto Matteo Cozzani, ex sindaco di Portovenere, Toti organizza una pantagruelica cena di autofinanziamento. Costo di un posto a tavola: 450 euro, forse non per caso appena sotto la soglia che obbliga a dichiarare la donazione. Si apparecchia per più di 600 persone. Un concentrato di “Liguria da bere”, riproduzione in scala della Milano craxiana anni Ottanta, la definizione è di Raffaella Paita, la candidata presidente allora Pd, oggi Italia viva, che da Toti perse nel 2015 consegnando la Regione alla destra dopo decenni di giunte di sinistra…”

La politica non è processabile per finanziamento illecito, con la via giudiziaria al craxismo dei Duemila. Ma non è tutto. Un formidabile Italo Bocchino, con un rigore alla Calogero Mannino, smonta il moralismo alla Immanuel Kant di Marco Travaglio, tanto intelligente quanto pericoloso, a “Otto e mezzo” dalla Lilli Gruber; Travaglio è la versione moderna di Mussolini al Fatto Quotidiano, fascismo per giustizialismo o giustizialismo per Verità. Iperbole travestita da sapienza, e manganello di brillantezza. Ma anche genio dell’imbroglio.
Scrive in apertura su “la Repubblica” dell’11 maggio 2024 Massimo Giannini, uno dei più autorevoli giornalisti italiani: “Hanno resistito ventiquattr’ore. Giusto il tempo di capire che nell’inchiesta sulla “Liguria da bere” che ha travolto Giovanni Toti non c’è solo lo champagne, versato a fiumi sul panfilo Leila 2 dall’amico Aldo Spinelli insieme all’allegra compagnia di giro dei signori dello shipping. C’è anche la “ciccia”, cioè i soldi, almeno due milioni transitati dal Fronte del Porto al “Governatorissimo” della Regione, i soliti traffici opachi che sempre prosperano nella zona grigia tra affari e politica…”. Scusami, Massimo, dov’è il reato? E non può, Giovanni Toti, dimostrare che è una condotta lecita (sic!); infatti si è avvalso della facoltà di non rispondere, in quanto le sue dichiarazioni potrebbero essere usate contro di lui. Ma volendo, gli avvocati potrebbero querelare Giannini per diffamazione con il trucco del “falso verosimile”. La zona grigia tra affari e politica va istituzionalizzata, com’è già avvenuto in Francia e sull’esempio dei paesi anglosassoni. Ma non è sufficiente: la versione della riflessività dovrà entrare nella Giustizia, inaugurando la Fallibilità Radicale.
Infine, c’è un dossier di cui – praticamente – non parla nessuno, e che intendo sollecitare all’attenzione dei liguri e non liguri, visto che chi scrive vive in Liguria. Toti viene arrestato l’8 maggio 2024, mentre sta tentando la finanziarizzazione in passivo della diga foranea di Genova assicurandosene l’immenso capitale politico. E’ un fatto enorme, se ci pensate bene. A mio modesto avviso, il Governatore ha identificato se stesso con il porto di Genova e la nemesi frustrò il suo keynesismo incipiente. Canta o Dea, la sindrome di hybris. Hybris diventa nemesis. Apprendo infatti da “Genova 24. Genova Post”, “Diga, Regione anticipa i soldi del Pnrr. Pastorino: “Interessi sulle spalle dei liguri”:

“Genova. Stamattina in Commissione Bilancio si è affrontato il provvedimento omnibus del 179 “disposizione di adeguamento al regolamento regionale”. Per chiarezza si tratta di uno di quei incredibili provvedimenti definiti omnibus in cui si inserisce di tutto: da un articolo dedicato alla protezione della fauna omeoterma, al prelievo venatorio a un articolo sulla disciplina dell’attività edilizia ad una misura per il ripristino della viabilità provinciale. Dulcis in fundo troviamo nel provvedimento le misure finalizzate alla realizzazione della seconda fase della nuova diga foranea del porto di Genova. E qui emerge qualcosa di interessante”. Lo scrive in una nota stampa il Capogruppo di Linea Condivisa in Consiglio Regionale Gianni Pastorino: “Una prima considerazione: la diga è l’opera più importante del PNRR con un importo elevatissimo che andrà oltre il miliardo di euro, di cui una concessione di 57 milioni di euro da parte di Regione Liguria inserita proprio in questo provvedimento omnibus. La diga è così importante per la Giunta Toti che non si merita nemmeno una misura ad hoc ma si butta tutto dentro al calderone del provvedimento omnibus”.
“In secondo luogo – continua Pastorino – faccio notare che già lo scorso 18 aprile il Presidente Toti dichiarava a mezzo stampa il via libera della Giunta ai 57 milioni di euro, attaccando chi critica l’opera. Anche su questo facciamo il punto: da notizie avute stamattina in Commissione, la Regione per anticipare questi 57 milioni, accenderà un mutuo che, a seconda che sia ventennale o trentennale, comporterà una somma di interessi non indifferenti.
E’ vero, i 57 milioni saranno poi recuperati dalla Regione dai fondi del PNRR, ma gli interessi li pagherà comunque solo la Regione. Ipotizziamo una cifra tra i 100 e 150 mila euro di interessi all’anno. Si potrebbe dunque arrivare a una cifra di circa 3 milioni e mezzo di interessi che la Regione si accolla. Ovviamente non c’è alcun riferimento a questo nelle roboanti dichiarazioni dello stesso 18 aprile del Presidente Toti. Al Presidente piace giocare d’anticipo sulle spalle delle generazioni future che si troveranno a pagare milioni di euro di interessi”.
A breve giro la replica della Lista Toti, attraverso una nota stampa: “L’attacco del consigliere Gianni Pastorino non fa che confermare la differenza abissale che c’è tra noi e loro, la diversa visione del ruolo delle istituzioni e della politica – si legge nel comunicato stampa – Nel cogliere l’importanza e la strategicità di un’opera come la Diga, non capire che è dovere della Regione fare tutto ciò che è nelle sue possibilità per evitare intoppi e agevolare la realizzazione di questa infrastruttura, dimostra la miopia con la quale la Liguria è stata governata per decenni. Per fortuna non c’è più la sinistra con le sue fobie a gestire il futuro di questa Regione. Opere come il Terzo Valico, la Diga, ma anche lo stesso ponte San Giorgio ricostruito dopo il crollo del Morandi (agosto 2018, ndr) e altre opere fondamentali, hanno trovato amministrazioni in grado di far procedere in fretta i cantieri. Solo stare a pensare se sia il caso di anticipare una cinquantina di milioni per un intervento di una tale portata per Genova, per la Liguria e per tutto il Paese, denota solo il grado di lungimiranza di chi vorrebbe tornare a governare per bloccare tutto”, conclude la lista Toti.”

Un fatto è certo: se Toti, più a “sinistra” di Pastorino, non fosse stato arrestato, avrebbe incominciato la spesa in disavanzo per la diga foranea del porto di Genova.
Benvenuti alla Fiera della vanità, che ha un volto feroce, o lo “psico-reato di Keynes” per citare The Irish Times nel marzo 2012.
Successo e fallimento. Hybris e nemesi. O forse, il miracolo che non ci sarà. Scacco matto a
Keynes, il fallimento della Liguria.

di Alexander Bush