Togliatti e Andreotti, fratelli d’Italia

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Non sarà forse Togliatti il responsabile, suo malgrado, degli intrecci affaristico-statalisti della Prima Repubblica?

Palmiro Togliatti era un uomo cromosomicamente “cattivo”, e per questo lo chiamavano il Migliore. Ha contribuito a costituzionalizzare in nome dell’anti-fascismo il “bicameralismo paritario” e/o “perfetto” che tanto piace agli Zagrebelsky in linguaggio compunto e compassato, e che Renzi il Garibaldi non ha abbattuto: una prateria sterminata di bizantinismi parlamentaristici per non permettere al Parlamento sovrano di legiferare, cioè di essere se stesso.
L’esaltazione “delirantemente negazionista” (Recalcati docet) della realtà, sempre, da parte del Migliore della statizzazione dirigistico-programmatrice del panorama economico su base democratico-legalitaria favorì nella cosiddetta “costituzione materiale” dei rapporti di forza la famigerata conventio ad excludendum da parte della Balena Bianca: poiché il Pci crede fideisticamente nel perseguimento della via democratica al monopolio statalizzatore dei rapporti di forza, i Togliatti’s boys rimarranno sempre all’opposizione, e la partitocrazia di Franco Evangelisti, Vittorio Sbardella alias lo squalo e Klaus Vitalone ne risulterà incontrastata “sine die”…
All’interno del totalitario universo demo-cristiano a vocazione permanente della Prima Repubblica, non è forse vero che le “liaisons dangereuses” tra le satrapiche Partecipazioni statali, il ciociaro sistema Caltagirone e gli assegni miliardari intascati “brevi manu” da Giulio Andreotti nell’amicizia affaristica con il petroliere Nino Rovelli chez la famelica borghesia di Stato rappresentavano il cemento reale della “solidarietà nazionale”? Quella solidarietà -tanto per capirci- che Palmiro il Migliore consegnò nelle mani dell’erede Enrico Berlinguer, pronto a realizzarla esattamente negli stessi anni- 1974-1979 -in cui i pezzi da novanta del perverso “sovietismo ciociaro” alla Ciarrapico davano in pasto alla criminalità del potere il commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli. Forse un liberista a sua insaputa…
Perché – questa la tragica verità denudata anche da Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani in “Razza Padrona-Storia della borghesia di Stato”- il disegno ideologicamente bonapartista di Berlinguer al fianco di Giorgio Ruffolo, Guido Carli e Giulio Andreotti era il seguente: la Programmazione. Vedi Scalfari a pag. 243 del suo importante saggio in una radiografia impietosa di quel contesto simile all’attuale: “Basta la minaccia di Ruffolo all’Eni per creare un fronte unico tra tutte le correnti democristiane. La battaglia viene condotta da Cefis su due linee: da un lato fa sviluppare un attacco massiccio contro Mancini per indebolire la posizione politica nel partito e fuori di esso, dall’altro fa lavorare “al corpo” la corrente demartiniana.
Incaricato di questa seconda bisogna è il socialista Gioacchino Albanese…Al gruppo demartiniano si fanno intravvedere i concreti vantaggi d’un’alleanza con Cefis (siamo abbastanza in prossimità delle elezioni politiche e d’un regolamento dei conti all’interno del Psi) e gli si promette la vicepresidenza dell’Eni…L’appoggio del ministro delle Partecipazioni Flaminio Piccoli è ormai completo” e Cefis, il dittatore dell’Eni, “lancia ponti verso De Martino e comincia anche a saggiare il terreno coi comunisti”. Sembra davvero di essere nel film “Il trasformista” di Luca Barbareschi.
E’ dalla razza padrona della Programmazione che molti anni più tardi scaturirà il colossale pasticcio del “compromesso storico” tra Elsa Fornero e Susanna Camusso sull’art.18, “sorelle d’Italia” come le ha soprannominate Alessandro De Nicola nel suo originale editoriale sull’Espresso di qualche anno fa:“Guarda un po’, al tramonto dell’esperienza del governo dei tecnici ci è toccato scoprire pure questo:nonostante gli screzi passati, Fornero e Camusso, pensando di poter dirigere con le loro superiori conoscenze le dinamiche dei mercati, si sono ritrovate più vicine di quanto si pensasse. Magari fonderanno un partito:“Sorelle d’Italia”.
Viva Togliatti, il fondatore di Tangentopoli? B’è, forse sì!

Alex Bush

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