Sentenza Berlusconi, i nostri cinque no

angelo + dario

Può darsi, come indicano i primi sondaggi, che la condanna in Cassazione di Silvio Berlusconi sia il preludio a una clamorosa rimonta elettorale del centro-destra. Di certo conferma l’emergenza democratica di un’Italia inquinata dallo strapotere della magistratura (e qui basta leggere il saggio di Fabio Florindi pubblicato da Libertates Libri nella collana della Bibliotheca Albatros, “Il Terzo Strapotere”, per capire che cosa non va).
La gravità della situazione che si è creata dopo la sentenza, tuttavia, impone un giudizio chiaro e tempestivo da parte dei Comitati per le Libertà.
Primo: la sentenza è politica. Il teorema del “non poteva non sapere” è stato applicato come forma di ritorsione contro un leader di partito che – tra mille errori ed eccessi verbali – ha sfidato frontalmente il potere della magistratura.
Secondo: la sentenza è corporativa. L’accoglimento pressoché completo da parte dalla Cassazione delle tesi dell’Accusa è apparso fin dall’inizio scontato, semplicemente perché un corpo compatto nella difesa dei suoi privilegi, quale è oggi la magistratura italiana, non può non coprire se stessa e i suoi rappresentanti. E’ nella logica di qualsiasi organizzazione chiusa quella di comportarsi in modo da preservare indefinitamente le proprie prerogative.
Terzo: la sentenza segna una vittoria del “Partito dei Giudici”, e l’intero corso processuale è stato condizionato dalla sua azione compatta. Che, si badi, non corrisponde affatto alla totalità della magistratura, all’interno della quale esistono fior di professionisti e personalità di specchiata imparzialità. Semplicemente, il “Partito dei Giudici” oggi è l’unico in grado di tutelare gli interessi generali della categoria politicizzata, l’unico che possieda una voce in grado di condizionare pesantemente, attraverso la sinistra e la maggior parte dei media, l’intera politica italiana,
Quarto: la sentenza non è propriamente “ad personam”, cioè diretta contro Berlusconi. Il Partito dei Giudici è “oggettivamente” nemico di chiunque attenti al suo potere insindacabile. Se Berlusconi (o a suo tempo Craxi) si fossero schierati dalla parte del Partito dei Giudici, sarebbero stati lodati e rispettati, certo non sottoposti al fuoco di fila delle inchieste.
Quinto: la sentenza è ambigua. Ancora una volta, giocando sulla indeterminatezza del dettato costituzionale, si presenta come l’espressione sia di un Ordine che di un Potere dello Stato. Esige di essere accolta con devoto rispetto istituzionale come il verdetto di un Ordine dello Stato, mentre si muove secondo una logica di un Potere (che invece, in quanto politico, può e anzi deve essere criticabile e criticato da parte dei cittadini).
Ma l’ambiguità si estende al punto di considerare come una bestemmia l’introduzione della elezione popolare delle maggiori cariche della magistratura. Ignorando che un potere dello Stato democratico non può esistere senza legittimazione popolare (articolo 1 della Costituzione: la sovranità risiede nel popolo”).
I Comitati per le Libertà non possono che chiedere a gran voce, prima che sia troppo tardi, una riforma della magistratura in grado di consentire la reale legittimazione, e separazione, dei tre Poteri.

Gaston Beuk

Sull'Autore

Gaston Beuk è lo pseudonimo di un noto giornalista e scrittore dalmata. Si definisce liberale in economia, conservatore nei valori, riformista nel metodo, democratico nei rapporti fra cittadino e politica, federalista nella concezione dello Stato e libertario dal punto di vista dei diritti individuali.

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