SE L’ECONOMIA ITALIANA E’ TRA GLI “STATI MISTI”. Giorgia Meloni legga il miglior articolo di Concita De Gregorio

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“… La presidente del Consiglio che ha sviluppato ottimi rapporti con Ursula von der Leyen, che ha saputo farsi ascoltare sul Pnrr (grazie all’abilità negoziale del moderato Fitto) e sta tenendo aperto un contatto riservato con il Partito Popolare europeo nella sua componente destrorsa, è la stessa che ha rifiutato il Mes e subito dopo ha chiesto altre modifiche al trattato per renderlo accettabile? Siamo oltre l’ambiguità a cui ci eravamo in un certo senso abituati. Ora siamo nei labirinti descritti da Pirandello. “Così è, se vi pare” oppure “Uno, nessuno, centomila”: il lettore può scegliere quale definizione rispecchia meglio la politica europea del governo italiano…”.
Stefano Folli, “La vittoria del patto populista”

Vorrei incominciare con un incipit inconsueto per un articolo di giornale: qual è il motore più potente al mondo? Sono gli “stati misti”, cioè quella condizione in cui frustrazione ed eccitazione si mescolano nel soggetto che sperimenta gli “ascensori dell’umore” (egli sale e scende); sono convinto che Paolo Crepet sarebbe d’accordo – nella sua antidemocraticità, che ne fa la cifra della grandezza – con chi scrive, mentre il professor Paolo Girardi no. Eppure la condizione mista è compatibile con il successo, ma anche con il fallimento; il successo è l’altra faccia del fallimento. Si vedano i due master piece “Il romanzo di Sigmund Freud. Le passioni della mente” a cura di Irving Stone e “Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini” scritto dal giovanissimo Matteo Cavezzali.
Il 23 dicembre 1888, Vincent Van Gogh, in pieno slancio maniacale, propose a Paul Gauguin di fondare la “comunità gialla” degli artisti ad Arles, nel sud della Francia ma Gauguin lo respinse con sdegno, e il frustrato Vincent si tagliò l’orecchio consegnandolo per posta ad una prostituta di Arles: se Gauguin avesse accettato, Van Gogh avrebbe avuto successo. Il successo che nella sua vita mai conobbe. Orbene, vorrei fare un collegamento tra la psicologia e l’economia nell’ambito del quale – però – le categorie del freudismo care a Serena Zoli non sono universalmente valide.
L’economia è superiore per importanza alla psicologia. La “liaison dangereuse” tra entusiasmo e depressione è trasferibile dal soggetto all’economia del nostro Paese, che da un lato vive l’emancipazione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza e dall’altro la fallimentare governance politica da parte del governo Meloni che non è stato capace, vuoi per inesperienza, vuoi per ideologia di attuare il primo esperimento di spesa in disavanzo in Italia. Una grande occasione sprecata. Curiosamente Keynes morì per consunzione a Bretton Woods, dopo che Milton Friedman ne aveva frustrato il narcisismo…
La mia presente osservazione, però, gode di “statuto a-scientifico”. Ve ne fornisco un esempio in termini “pratici” tout court, a volte occorre semplicemente fotografare la realtà: “la Repubblica” del 24 aprile 2023 nel dossier “Dai nuovi tram alle scuole la corsa delle città a spendere i fondi” fotografa un embrione di New Deal keynesiano in Italia, un successo incipiente ma non un successo tout court: “Lombardia. Con fondi aggiuntivi pronti altri cantieri – Al momento la riorganizzazione dei fondi del Pnrr non fa saltare alcun progetto su Milano. Anzi, il capoluogo lombardo punta ad avere più risorse. Il sindaco Beppe Sala sui fondi assegnati ma non spesi, ha sempre ritenuto: “Dateli a Milano che sa come impiegarli. Siamo ancora in tempo”. La città ha attivato 25 progetti incassando 768,8 milioni dal Pnrr e 111,07 milioni dal Fondo nazionale complementare. Il decreto Aiuti poi ha dato il via ad altri cantieri, per 129 milioni. Sullo sfondo ci sono quasi 25 milioni di euro di progetti candidati cantieri, per 129 milioni ma in attesa di valutazione. Se, come chiede Sala, Milano riuscisse ad avere più risorse, ci sarebbero pronti cantieri per 500 milioni. Liguria. Cronoprogrammi rispettati a Genova – Con 7,2 miliardi tra Pnrr e Piano nazionale complementare, la Liguria ha ricevuto il 3% del totale nazionale, per il 70% destinato a infrastrutture e mobilità. Tutti in fase di progettazione o aggiudicazione dei lavori i progetti comunali, circa 140 per un totale di due miliardi. A Genova si parla di “cronoprogrammi rispettati”. “Anzi – rilanciano il sindaco Marco Bucci e il vicesindaco con delega, Pietro Piciocchi – la rimodulazione della distribuzione dei fondi al vaglio del governo può essere l’occasione per ottenere più risorse”. Ci sono però anche i progetti a rischio: in dubbio c’è il finanziamento del futuro ospedale degli Erzelli. Toscana. Gare avviate su metà dei progetti. In Toscana chi trema davvero tra i progetti del Pnrr è lo stadio Franchi. Il governo ha stralciato i 55 milioni di fondi assegnati al restyling e il sindaco Nardella è a caccia delle risorse per salvare l’operazione, che va oltre 200 milioni: “Sia lo Stato a metterli” invoca. Per il resto non si ha sentore di progetti a rischio di ammissibilità o in forte ritardo, tra gli oltre 5 mila interventi finanziati. Per oltre la metà sono già in corso le gare d’appalto. Tra queste, 450 milioni per il completamento del sistema tramviario, più di 170 milioni per migliorare, il servizio idrico, 1,3 miliardi sulla digitalizzazione e 2 miliardi sull’ambiente…”.

Ecco l’incipiente “miracolo economico italiano”, che però non è agganciato alla “liaison” tra Next Generation Ue e il deficit spending (sic!); la conseguenza è la “condizione mista” in cui l’evento negativo del 21 dicembre 2023, è la bocciatura della ratifica del Mes – altrimenti noto come Fondo Salva Stati – da parte della Camera della Repubblica Italiana in ostaggio dei Cinque Stelle e della Lega, fotografata da una Giorgia Meloni “unfit to lead Italy”, che appare schiacciata sul “punto di equilibrio” tra l’approvazione generica del Meccanismo europeo di stabilità e la richiesta delle sue modifiche. Né a favore né contro. Il successo, sarebbe stato invece dare il via libera alla misura di assistenza finanziaria tanto agognata dalla Christine Lagarde tra gli altri: una situazione descritta magistralmente, con un tocco di eleganza, dal raffinato analista Stefano Folli su “la Repubblica” nel suo editoriale “La vittoria del partito populista”.
Non perdonerò mai a Mario Draghi di aver consegnato l’Italia a Giorgia Meloni, rifiutando di introdurre il salario minimo legale come base di partenza del “rooseveltismo domestico” che non hai mai voluto fare: è stato il più grande errore nella sua carriera, che è modesta dal punto di vista accademico come ha scritto Carlo Di Foggia e da quello di esperto unilaterale di finanza (“Se diamo retta agli esperti non facciamo niente”: Gianni Agnelli dixit). Ci sono persone che si innamorano di idee sbagliate, e non accettano critiche; il guaio è che Draghi un po’ drago identificava se stesso con l’Italia; è opportuno diffidare dei cosiddetti missionari, come una volta mi disse Piero Ottone.
Perché Draghi non ha voluto approvare il salario minimo legale? Perché avrebbe vulnerato l’impostazione “neoliberista” del suo discorso illuminato al Gruppo dei Trenta il 14 dicembre 2020 a Bruxelles: le “zombie firms” – le cosiddette imprese zombie – verranno lasciate morire di morte naturale, mentre le “corporazioni vincenti” ricapitalizzate con i soldi pubblici faranno ripartire la collettività nazionale, e così la spesa pubblica è “reinventata” dal Mercato. Peccato che l’intuizione “orgogliosa” di Mr Wolf, affetto dalla sindrome della visione, si sia rivelata un tragico errore politico: per esempio, la mancata finanziarizzazione in passivo della sanità che i fondi della Next Generation Ue rendevano possibile, tra gli altri disastri.
Queste considerazioni si collegano in prospettiva allo splendido articolo scritto da Concita De Gregorio, colpevolmente sottovalutata da chi scrive, de “la Repubblica” del 22 ottobre 2023 “Il salario minimo e la povertà evidente”. E’ questo lo sfondo della “condizione mista” che affligge l’economia del Belpaese – stretto tra frustrazione e ripartenza – e del disastroso fallimento della bocciatura populista del Mes.
La parola alla migliore De Gregorio di sempre:

“Forse è anche vero, come dice il Cnel, che il salario minimo non sia la soluzione migliore al lavoro mal pagato, sfruttato, inesistente. Il Cnel, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro attualmente presieduto da Renato Brunetta, è un organismo di “rilievo costituzionale”, nel senso che è la Costituzione ad assegnargli il compito di “consulenza e supporto” alle Camere e al Governo sulle materie economiche e sociali. Consulenza e supporto: un mega centro studi
istituzionale, in pratica ci lavora un sacco di gente molto preparata, massimo rispetto, sono comunque posti di lavoro pubblici, a proposito del tema in oggetto. Insomma il Cnel, a cui il governo Meloni ha chiesto un parere, ha detto in un documento del 7 ottobre scorso che sarebbe meglio che la questione della povertà non si risolvesse dando dei soldi a chi non ne ha.”

Interrompo Concita De Gregorio. Brunetta in versione draghiana ritiene che sarebbe meglio che la questione della povertà non si risolvesse dando dei soldi a chi non ne ha, perché bisogna aspettare che sarà il Mercato a farlo. Aspettando Godot. Il problema è che si nega il principio di realtà con il trucco dell’ideologia.
Continua la De Gregorio: “Sarebbe meglio che ci fosse una forte contrattazione collettiva, cioè che fossero i sindacati a definire coi datori di lavoro “i parametri di riferimento” per i contratti “da applicare nei vari settori”. Giusto, anzi giustissimo. Se fossimo nel secolo scorso, se ci fossero per strada le cabine del telefono, se la gente scrivesse lettere a penna e tutti avessero pratica con l’uso del congiuntivo e dell’infinito futuro, se i giornali vendessero qualche copia perché cosa vuoi che sia spendere qualche euro per comprarli, se i sindacati fossero ancora quella cosa lì e i datori di lavoro pure, se non fossero trascorsi quattro o cinque governi che considerano il sapere un bene inessenziale, che tagliano fondi alla scuola alla cultura ora anche al cinema che tanto è solo intrattenimento, sempre cosa vuoi che sia, non serve, c’è l’Internet. Se non fosse successo, nel frattempo, che l’universo è cambiato – tutto tranne il Cnel e qualche altro residuo fluviale del Novecento, sempre con il massimo rispetto per i lavoratori del Centro e senza offesa alcuna – se il lavoro fosse qualcosa a cui accedi per esempio attraverso i centri di collocamento o come si chiamano ora, se il lavoro senza ricatto da qualche parte ci fosse. Purtroppo, amici, sono qui con l’ingrato compito di avvisarvi che non è così. Anche se non siete tiktoker o influencer dovreste saperlo, qualcuno deve pur informarvi. Non funziona più così, il mondo del lavoro, da parecchio, anche i fotoromanzi e i cartamodelli per farsi i vestiti a casa con la macchina da cucire sono meno adoperati di una volta. Il futuro ha sempre ragione, quindi procediamo in quel verso.
Questione politica.
Il governo Meloni traccheggia, col salario minimo, chiede pareri e rinvia per due ragioni evidenti: prima, è una richiesta delle opposizioni, come si fa ad assecondarle senza sembrare meno assertivi. Secondo: servono soldi. (ma i soldi si creano con il deficit spending proprio perché non ci sono!, ndr). Ce ne sarebbe una terza, in effetti: le ex opposizioni di destra ora al governo hanno fatto e vinto campagne elettorali rivolgendosi al popolo, appunto al popolo afflitto da ingiustizie determinate dalle odiose élite e dunque deprivato, il popolo sovrano, il popolo pazienza se ignorante anzi proprio quello – il sapere è un privilegio, mica una fatica, che c’entra, mica un investimento personale e un dovere pubblico – dunque benissimo così, arriviamo noi e saremo con voi, gente del popolo. Perciò adesso è un filo imbarazzante dire a questo stesso fiducioso popolo elettore che no, il salario minimo non ve lo diamo. Quindi, come sempre, palla in tribuna. Meglio prendere tempo. Distrarre l’attenzione. La Striscia di Gaza fa la sua terribile parte e Striscia la Notizia fa il resto. Abbiamo chiesto un parere al Cnel, avete visto? La materia è controversa.
Cosa ci sia di controverso nel fatto che l’Italia sia un Paese in uno stato di semipovertà non si capisce. Ultimi dati ufficiali, relativi al 2022. Il 63% degli italiani non ha i soldi per arrivare a fine mese. La notevole maggioranza. La media europea di chi ha difficoltà a pagare l’affitto e le bollette, a fare la spesa è al 45. Peggio di noi solo la Bulgaria, la Grecia. Però tranquilli, perché ora sono cambiati i programmi Rai. Ora l’informazione e l’intrattenimento non sono più nelle mani dei bolscevichi di prima, pazienza per l’esodo di ascolti. E’ questione di tempo, si sa. Ci si abituerà. Tranquilli, perché i tagli alla sanità pubblica, alla scuola pubblica, al sapere, servono alla causa: bisogna far tornare i conti pubblici, abbiate pazienza. Intanto. Ottimo se accettate il lavoro che vi danno, qualunque esso sia, pazienza se vi chiedono di sottostare alle condizioni lugubri che dettano – a volte, non rare, avrete visto ultimamente in tv, di natura personale e sessuale. Va così, si sa. Il salario minimo, in questo disgraziato paese, potrebbe essere la soluzione sbagliata, intrattenetevi sui social. Dite la vostra su Giambruno, per esempio. Come se foste al Grande
Fratello anche voi, che gran divertimento. Gratis, per giunta. Vota, di la tua anche tu.”

Ecco l’economia tra gli stati misti.
L’“ibrido narrativo” alla Guido Maria Brera di Concita De Gregorio – sia detto di passata –, è riuscito al ritmo del thrilling letterario. Risultato? Tra i venti del “fascio-comunismo” la Camera boccia la ratifica del Mes, e Carlo Cottarelli analizza “le tre partite perse” con il disincanto del curatore fallimentare che dice: preparatevi al peggio: “… Una crisi bancaria che anche partisse, per esempio, dalle banche tedesche, ovviamente si estenderebbe a tutte le banche europee, forse soprattutto a quelle italiane visto il maggiore “rischio Paese” che ancora ci penalizza (vedi livello spread)…”.

Fatta la diagnosi, ci vuole la terapia; direbbe Guidoriccio da Fogliano. Vi dò due brutte notizie: non c’è nessun rimedio specifico. Bisogna introdurre il “principio della riflessività” all’interno della “Fallibilità radicale” secondo George Soros nell’agenda di governo delle Cancellerie occidentali.
Un genio frustrato dal fatto di essere stato trattato alla stregua di un visionario stravagante, quando è “ultra-realista” (sic!). L’altra brutta notizia? Il Trump italiano Matteo Salvini prenderà il potere, con il favore delle tenebre.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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