MIKHAIL KHODORKOVSKY, 007 AL SERVIZIO DI SUA MAESTA’: E’ IN LINEA CON LO ZEITSTIL E HA GIA’ UN PIEDE NEL CREMLINO – L’inganno di Pino Arlacchi

“Oligarchi? Mai avuto potere. Lo ha fatto credere Boris Berezovskij. E’ il
potere politico che comanda in Russia”
Mikhail Khodorkovsky, Global Conversation

“Gli squali sono gli unici animali che non smettono mai di mangiare.
Se lo ricordi, Alexander”
Antonella Pescio

“Je ne suis plus un insider du pouvoir russe”
Mikhail Khodorkovsky da Londra

Personalmente sono stato illuminato d’immenso dalla teoria della riflessività di George Soros, erede di Friedrich Hayek – si veda l’elegante saggio su “Affari e Finanza” di Alessandro De Nicola “La lezione di Hayek” – e di Adam Smith: la realtà ambiguamente esiste, ed è sempre più complessa dell’interpretazione che ne diamo.
L’unica critica che si può fare all’investitore/filosofo/filantropo che ha fondato la Opening Society è che egli, a sua volta, ha ceduto al cosiddetto “punto di equilibrio” che vulnera la validità intrinseca della sua teoria: proprio perché esistono le “realtà soggettive” e quelle “oggettive”!
La questione è troppo complicata per essere trattata nel presente lavoro e tout court… Accontentiamoci della superficie. “Soltanto le persone superficiali non si accontentano della superficie”, come è scritto nella prefazione a Il ritratto di Dorian Gray.

I venti dello Zeitstil soffiano in direzione della Storia.
Era il periodo tra il febbraio e il marzo del 2020 quando Mr. Wolf, che al pari di Neville Chamberlain soffre della “sindrome di hybris” la quale spesso si rovescia nella tragedia di Archimede, scrisse un editoriale ispirato sul Financial Times – complice l’emergenza della pandemia (Draghi funziona nella “sospensione della normalità” da quando ha 15 anni): era già così manifestata la sua candidatura a Palazzo Chigi. “Ogni battaglia è vinta prima di essere cominciata”: Sun Zu, L’arte della guerra.
Oggi, sullo sfondo della crisi dell’Ucraina che come nel 1914 – ’18 rappresentava con i vulnus della spagnola la metafora della fine della Belle Epoque 1870 – ’14 adesso ufficializza la crisi della New Economy 1980 – 2022, è il turno dell’oligarca caduto in disgrazia Mikhail Khodorkovsky, personaggio interessantissimo. Con due caratteristiche: è intelligentissimo e sa di esserlo.
C’è da scommettere che il “capitalista di rapina” del crony capitalism (per citare George Soros) che ha fatto fortuna tra le porte girevoli della Glasnost e Perestrojka di Mr Gorbaciov (grazie al fatto che non c’era un sistema di “aste autentiche” nella transizione dal socialismo reale al nascente capitalismo e gli “oligarchi” che con Platone non c’entravano nulla, sono riusciti ad arraffare il patrimonio di Stato “defraudando dei buoni del Tesoro i lavoratori”, vedi George Soros) metterà piede al Cremlino nel volgere di poco tempo, approfittando della scompensazione dello zar Vladimir che diventa pericoloso quando è messo all’angolo; orbene, se c’è una persona – è l’unica – di cui Putin ha veramente paura è proprio lui, Khodorkovsky e fa bene ad averla: l’uomo in questione che ha scontato dieci anni di prigione in Siberia per accuse che spaziano dall’omicidio alla frode fiscale è più intelligente dell’aurea mediocritas Vladimir, e può vantare un formidabile curriculum vitae al limite di Albert Einstein.
A Cesare quel che è di Cesare.
Verrà la pena analizzare nel presente dossier la personalità complessa e contraddittoria dell’ex
collega di Boris Berezovskij che – ricordiamolo – era uno dei capi di Cosa Nostra russa morto suicida in esilio (sarebbe più corretto dire latitanza) a Londra il 24 marzo 2013; alla luce dei racconti della sua girlfriend Yara Sabirova, per chi scrive non ci sono dubbi: si trattò di suicidio – come è stato “passaggio all’atto” suicidario anche quello di David Rossi, responsabile dell’area
comunicazione del Monte Paschi di Siena, il 6 marzo del 2013.
Come opportunamente è scritto su Wikipedia, “Il suo medico legale (Berezovskij, ndr) ha dichiarato che sul corpo non erano presenti segni lasciati da una lotta e che, quindi, si presume che si sia suicidato: il coroner ha comunque emesso un open verdict, su il post.it, 24 marzo 2013”.
Nel dicembre del 2013 uscì su “l’Unità” un interessante ma anche ambiguo – e poi vedremo attentamente perché – articolo del sociologo Pino Arlacchi “L’inganno Khodorkovsky” sulla vera natura di questo inquietante personaggio che rappresentava in Russia – dalla seconda metà degli anni Ottanta fino al 2003, l’anno dell’arresto – l’equivalente della Cosa Nostra siciliana di Stefano Bontate e Vito Ciancimino: si tratta, in tutti e due i casi italiano e russo, di personalità singolari nella loro unicità di crimine e ingenuità.
Anche se, come Michael Corleone ne Il Padrino parte III, Mikhail aspira a legalizzare la sua anomalia biografica entrando a far parte dell’establishment angloamericano.
Il fatto è che Khodorkovsky può contare ora – a differenza del passato – sul sostegno alle sue spalle dell’MI6: i servizi segreti di Sua Maestà, che hanno messo all’angolo con il trucco delle sanzioni Roman Abramovich (il cui patrimonio è congelato e che molto curiosamente Volodymyr Zelensky cerca in tutti i modi di salvare nel vero senso della parola presso gli angloamericani mentre partecipa ai negoziati al confine dell’Ucraina tra la vita e la morte), e che scelgono con il consueto cinismo la dottrina di Fernand Braudel: “Belzebù contro Satana”.
Il sociologo Arlacchi, ambiguamente protagonista dell’Antimafia nella “primavera di Palermo” di Giancarlo Caselli, scriveva su “L’Unità”:

“L’inganno Khodorkovsky
23 dicembre 2013
La disinformazione praticata dai media italiani sul caso Khodorkovsky è scandalosa. Alcune testate sono arrivate a pubblicare proposte di assegnazione del premio Nobel sulla pace ad uno dei più temibili oligarchi russi degli anni 90, le cui vittime non possono essere chiamate a testimoniare perché fatte scomparire o silenziate.
La campagna di comunicazione che sta innalzando questo boss dalla faccia d’angelo al livello di Dostoevskij e di Solzenitzin è vergognosa. Ed è in buona parte gestita da alcune società di pubbliche relazioni finanziate da Khodorkovsky stesso, e molto attive in Europa e altrove.
Come contributo alla verità storica, ed alla lotta contro la criminalità organizzata, metto a disposizione dei lettori una mia analisi pubblicata sull’Unità due anni fa che mette in evidenza contesto e risvolti del caso Khodorkovsky.
L’Unità, 7 gen. 2011
Puzzle Russo, il Dossier di Pino Arlacchi

Non mi straccio le vesti sul caso Khodorkovsky, e chi lo considera un martire delle libertà è vittima di una disinformazione clamorosa. E di una Babele politico-mediatica che finisce col rendere tutti più ignoranti. Sakineh, Battisti, Khodorkovsky: che differenza c’è? Credo di saper riconoscere un mafioso, e posso affermare che Khodorkovsky è stato un mafioso tra i più pericolosi. Che invece di pentirsi, restituire il bottino nascosto nei paradisi fiscali e chiedere perdono alle sue vittime, finanzia campagne di pubbliche relazioni che hanno raggiunto il surreale, accostandolo a Sacharov, Gandhi, e tra un po’ anche a Gesù Cristo. Quando si tratta, al massimo, di un oligarca sconfitto in una guerra di potere, e imprigionato con procedure discutibili.

Non mi straccio le vesti anche perché ho conosciuto la Russia degli anni 90:
uno stato della mafia i cui massimi architetti e beneficiari sono stati proprio Khodorkovsky e i suoi
compari oligarchi. Uno stato edificato con l’amorevole assistenza della finanza occidentale (questo è un falso diversamente da come scrive con “complessi cubani” Arlacchi nel socialismo dei sociologi “maitre à penser”, e lo abbiamo ben visto nei diari di George Soros: l’alto funzionario del Ministero degli Esteri di Margaret Thatcher William Valdgrave, le Amministrazioni Bush e Thatcher, ma anche Mario Draghi come successore di Mario Sarcinelli alla direzione generale del Ministero del Tesoro negarono gli aiuti di Stato dell’Occidente alla Russia che li chiedeva con il cappello in mano, ndr), che ha colto l’occasione della caduta del comunismo per costruirci una montagna di soldi. Sono state infatti le banche europee ed americane che hanno ricettato i soldi della mafia russa contribuendo a portare un grande paese sull’orlo del fallimento. Ma la festa è finita con l’arrivo di Putin, ed è questa la soluzione dell’“enigma” del 70% dei suoi consensi attuali. E della sua impopolarità presso il grande business anglo-americano e i loro giornali, innamoratisi all’improvviso di Khodorkovsky.

L’èlite criminale più vicina agli oligarchi amici di Yeltsin è quella dei boss di Cosa Nostra.
Stessa ferocia, stessa protervia politica, mascherata da un grado di ricchezza, istruzione e status sociale di gran lunga superiori (ma anche Vito Ciancimino, i Bontate e gli Inzerillo erano superiori ai Corleonesi, ndr). Gli ex-caprai di Corleone non hanno mai neanche sognato i livelli di agiatezza e sofisticazione dei magnati criminali russi.

Il capo di Cosa Nostra russa era Boris Berezovskij, quello che viene intervistato dai giornali italiani nei panni di un rifugiato politico in Inghilterra. Un uomo capace di ordinare un assassinio al mattino, e di andare poi a cena con un George Soros determinato a redimerlo (vedi resoconto di Soros a pag. 223 del mio volume “La mafia imprenditrice”).
(quest’affermazione di Arlacchi –ndr- che risente di un sospetto antiamericanismo è menzognera, poiché – come ho già ricostruito nel dossier titolato “Michail Gorbaciov bocciò il piano Shatalin di George Soros: chi ha rovinato la Russia? – Quando Putin chiese a Boris Berezovskij di buttare giù una palazzina a Mosca: 3000 morti in una notte – Le minacce di Berezovskij a George Soros” – l’ingenuità di Soros è stata quella di tentare di trasformare Berezovskij da “capitalista di rapina” in “capitalista legale”: offeso dai consigli un po’ autoritari dello stesso Soros che agiva nel solco della Opening Society, Berezovskij è arrivato a minacciarlo: “Berezovskij si è rivelato un infame oligarca”, Soros dixit, ndr).

“Berezovskij era un matematico, membro dell’Accademia russa delle scienze, e lo stesso Khodorkovskij era un importante dirigente di partito. Gli altri boss erano tutti personaggi noti al grande pubblico perché parlamentari, imprenditori, sindaci, proprietari di giornali e televisioni nazionali.

Senza questo livello intellettuale, l’oligarchia criminale russa non avrebbe potuto escogitare quella che è a tutt’oggi la più grande frode della storia.
Nata da una alleanza tra i “magnifici 7” stipulata a Davos, durante il World Forum annuale, per sostenere Yeltsin alle elezioni, questa truffa ha consegnato nelle loro mani quasi metà della ricchezza della Russia. Il maxiraggiro venne chiamato “prestiti contro azioni” e funzionò così (da cronista consumato, chi scrive non può fare a meno di notare che c’è una somiglianza eccessiva tra le riportate considerazioni dell’Arlacchi e i diari personali di George Soros, di cui ampi passaggi sono stati pubblicati nel citato dossier sulla Russia: lo possono verificare i lettori confrontando i testi!, ndr).

Alla fine del 1995 il governo russo, invece di chiedere prestiti alla Banca Centrale, si rivolse alle banche degli oligarchi. Come garanzia per il credito concesso, queste banche avevano ricevuto in custodia temporanea i pacchetti azionari di maggioranza delle più grandi imprese del paese. Un anno dopo, proprio per consentire agli oligarchi di tenersi le azioni, il governo decise di non restituire i prestiti. Così Berezovskij ed i suoi, dopo aver prestato 110 milioni di dollari, si
ritrovarono in mano il 51% di un’azienda, la Sibneft, che valeva 5 miliardi di dollari.
Il gruppo Menatep, guidato da Khodorkovsky, pagò 160 milioni per ottenere il controllo della Lukoil, una compagnia petrolifera che valeva più di 6 miliardi di dollari.
La Banca di un altro amico degli amici, Potanin, spese 250 milioni di dollari per impadronirsi della Norislk Nichel, leader mondiale della produzione di metalli, il cui valore si aggirava sui 2 miliardi di dollari.

La frode dei “prestiti contro azioni” è il vizio fondante del capitalismo russo (stranamente lo ha scritto anche Soros, ndr).
Ha contribuito al consolidamento di una oligarchia politico-mafiosa che ha generato il più grande disastro sofferto dalla Russia dopo l’invasione nazista del 1941. Il PIL della Russia si è dimezzato in pochi anni. I risparmi di tutta la popolazione sono evaporati a causa della svalutazione selvaggia del rublo. La povertà è passata, negli anni 90, dal 2 al 40% della popolazione. L’età media si è abbassata di 5 anni a causa del ritorno di malattie scomparse. Per lunghi periodi lo stato non ha potuto pagare pensioni e stipendi, mentre nel paese scorazzavano bande delinquenti di ogni risma.
La plutocrazia fiorita sotto Yeltsin, d’altra parte, non era il capitalismo primitivo che precede quello pulito. Era un sistema di potere senza futuro, che per sopravvivere doveva continuare a rubare e corrompere. Il suo tallone d’Achille era l’assenza di una vera protezione legale (stranamente anche questo è stato scritto da Soros e qui siamo alla lesione manifesta dei diritti del copyright!, ndr).”
Anche il seguente passaggio è troppo “simile” ai diari di George Soros nel capitolo del suo libro “Chi ha rovinato la Russia?”:
“Il timore di venire espropriati da un governo non amico, che avrebbe potuto dichiarare illegittime le privatizzazioni (ma le cosiddette privatizzazioni di mercato in Russia non ci sono mai state, come ha spiegato con chiarezza Alessandro De Nicola nel suo formidabile pezzo su “Affari e Finanza” de “la Repubblica” titolato “Dall’economia alle persone la Russia non è un campione del liberismo”, ndr), e la paura degli oligarchi di essere a loro volta derubati da altri ladri, hanno avuto due conseguenze. Li hanno spinti in primo luogo a portare fuori dalla Russia il loro malloppo. E fin qui tutto bene, perché oltreconfine c’erano spalancate le grandi fauci delle banche svizzere, inglesi ed americane (vedi scandalo Bank of America e simili), ben liete di riciclare i loro beni. Ma i problemi sono nati nel momento in cui i mafiosi russi, per garantirsi l’impunità, sono stati costretti a perpetuare il loro patto con la politica.

Nel 1999 era arrivato al potere un uomo dei servizi segreti, gradito sia a Yeltsin che agli stessi oligarchi, e da loro considerato uno dei tanti primi ministri da sostituire, all’occorrenza, dopo un paio di mesi. Ma Vladimir Putin aveva una particolarità. Dietro le sue spalle c’erano anche quei pezzi del KGB che non erano confluiti nel calderone criminale della Russia postcomunista: pezzi ormai marginali di uno stato in via di dissoluzione, ma ancora in vita, e comunque depositari di un senso della nazione profondamente sentito dai cittadini russi.

Facendo leva su queste zattere alla deriva, e sull’immenso risentimento collettivo contro Yeltsin e i boss della mafia, Putin prese rapidamente le distanze dai suoi sostenitori. Dopo pochi mesi di governo, egli fu in grado di mettere gli oligarchi davanti a un’alternativa: il rientro nei ranghi del potere finanziario, senza alcuna pretesa di intervento nella politica, in cambio della rinuncia del governo a recuperare il maltolto delle privatizzazioni; oppure la guerra totale, con rinazionalizzazione dei beni pubblici razziati e con la fine dell’impunità per i crimini commessi dai capibastone (stragi, omicidi, furti, truffe, sequestri, estorsioni, evasioni fiscali in abbondanza).

Furono avviati anche gli opportuni contatti con l’ufficio che ho diretto con le Nazioni Unite, e che aveva appena lanciato un’iniziativa per la confisca, per conto dei governi danneggiati, dei beni di provenienza illecita riciclati nei centri finanziari del pianeta.
Di fronte alla proposta di Putin, il fronte mafioso si spaccò.
Alcuni oligarchi l’accettarono. Altri la irrisero, compiendo così il fatale errore di sottovalutare la forza dell’ex dirigente del KGB, nel frattempo diventato Presidente. Per evitare vari mandati di cattura, Berezovskij si rifugiò nel Regno Unito, da dove finanzia attività antirusse con il beneplacito dei servizi segreti di Sua Maestà.
Khodorkovskij pensò invece di sfidare Putin politicamente, finanziando partiti ostili a quest’ultimo, nella speranza di rovesciarlo.

Gli è andata male. Khodorkovsky è molto impopolare in Russia, per le ragioni che abbiamo spiegato. Ed i suoi attacchi hanno perciò sortito l’effetto di rafforzare e non di indebolire Putin.

Ma il soggetto è ancora un uomo ricco, con molti soldi all’estero. Con i quali può pagare le fatture di illustri lobbisti e di rinomate società di pubbliche relazioni. Come sanno vari parlamentari europei miei colleghi, i più sprovveduti dei quali si prestano a campagne pro – Khodorkovsky con un impegno degno di miglior causa”.

Poi è arrivata la crisi dell’Ucraina.
Questione di geometrie dello Spirito dei Tempi.
Chi scrive rifletteva sul fatto che Arlacchi, nel novembre del 1992 (sei mesi dopo la strage di Capaci nella quale morirono Giovanni Falcone, gli agenti della scorta e la moglie Francesca Morvillo) nel novembre dell’annus horribilis, veniva invitato tra gli altri ospiti alla storica trasmissione sui cold case “Telefono giallo” di Corrado Augias, alla presenza di Claudio Martelli, Giuseppe Ayala, Francesco La Licata, Antonino Caponnetto e Manganelli, cioè la “trincea” della Procura della Repubblica del Tribunale di Palermo nel bene e nel male, e lo stesso Arlacchi risente del condizionamento piccoloborghese dell’ambiente cattocomunista della Magistratura che diede il peggio di sé nella menzionata serata di “Telefono giallo”: cioè i presunti, ma davvero presunti eredi di Giovanni Falcone.
“Vede, il problema dei magistrati italiani è che non hanno il senso dell’establishment”: lo disse l’allora governatore della Banca d’Italia Guido Carli durante una colazione avvenuta nel mentre dello scandalo dei petroli, che era affrontato dai cosiddetti “pretori d’assalto” considerando l’ordine giurisdizionale potere dello Stato.
Oltretutto Arlacchi nella sua analisi tecnicamente putiniana che ha scopiazzato Soros e nello stesso tempo lo ha usato per screditarlo (sic!), trascurava un elemento decisivo: Putin proveniva, è vero, dal KGB ma come enfant prodige di Anatolij Alexandrovic Sobcack, allora sindaco di San Pietroburgo che era uno dei vertici nel calderone criminale della Russia postcomunista: nominato Primo Ministro nel 1999 dall’ormai fragilissimo Boris Eltsin in qualità di oscuro direttore dei servizi di sicurezza federale, fu proiettato nello star system della Russia da un complotto raffinatissimo di Boris Berezovskij che è paragonabile all’incendio del Reichstag da parte delle Ss: una palazzina a Mosca venne devastata da un attentato con 3000 morti nel cuore della notte; la responsabilità venne attribuita ai terroristi ceceni.
Così Putin, l’“utilizzatore finale”, vinse le elezioni in un clima di terrore: l’imbroglio sorretto dalla violenza.
Quando Khodorkovsky dice, nell’intervista della giornalista di Euronews per Global Conversation Isabelle Kumar – (non è forse vero che Jacqueline Lee Bouvier fu sedotta da Jfk con un’intervista?) – che è stato Boris Berezovskij a diffondere la falsa credenza che gli oligarchi hanno potere politico – mentre è la politica che comanda in Russia –, commette una manipolazione furbissima (lo psicopatico non ha un rapporto autentico con il reale). E non è l’unica manipolazione nel suo rapporto menzognero con la realtà, ad alto funzionamento: Khodorkovsky racconta un altro “adattamento menzognero” : la coltellata che ha subito in carcere; stiamo parlando di un pericolosissimo manipolatore dalla formidabile “resilienza” agli eventi di vita stressanti che ha già vinto la battaglia per il Cremlino. E’ il successore dello zar Vladimir, “da zar a zar”: come direbbe Andrea Purgatori.
Nessun dettaglio verrà lasciato al caso nella trascrizione integrale dell’intervista di Isabelle Kumar:

“La sua caduta in disgrazia è stata spettacolare.
Ex uomo più ricco di Russia, ha trascorso una decina d’anni in carcere per accuse che, lui e molti altri, considerano inventate su ordine del presidente russo Vladimir Putin. Mikhail Khodorkovsky non ha nascosto di augurarsi di vedere una rivoluzione in Russia, e di voler contribuire a essa. Mikhail Khodorkovsky è mio ospite in the Global Conversation.
Alcuni direbbero che lei è coraggioso, altri che è uno sconsiderato perché dopo 10 anni di carcere nelle zone più remote della Siberia, lei sembra ancora intenzionato a sfidare il presidente Vladimir Putin”

“Non ce l’ho con il presidente, ma con il sistema che rappresenta. Credo che la Russia meriti di meglio (Khodorkovsky sorride con la sua faccia d’angelo che a chi scrive fa veramente paura, ndr).”

“Adesso, lavora dietro le quinte sostenendo un’opposizione politica. C’è un’alternativa al potere del presidente Putin in Russia?”

“Innanzitutto non sto lavorando dietro le quinte, ma sto dichiarando abbastanza apertamente la mia posizione. Secondo: credo che non si debba sopravvalutare il ruolo di Vladimir Putin nel sistema che rappresenta. Conosciamo questo sistema, è il solito sistema autocratico. E’ come ai tempi dei segretari generali del Partito Comunista.
Quando Stalin, che era abbastanza diverso da Putin, uscì di scena, dopo la sua morte molte persone piangevano e si chiedevano “Chi lo sostituirà?”. E non ci furono problemi.
Credo che l’alternativa esista anche oggi; il nostro compito, il mio compito è fare tutto il possibile per rendere questa alternativa democratica”.
“Sarà un lavoro che richiederà molto tempo, chi può immaginarlo…
Vista la situazione attuale in Russia, lei immagina se stesso di ritorno in Russia come sfidante del presidente Putin per la Presidenza?”

“Senza dubbio tornerò in Russia. Ma la questione di quale incarico io possa ricoprire adesso non mi interessa.
La cosa importante è avere una squadra politica che possa realizzare le riforme necessarie dopo il cambio di regime.
E’ qualcosa che non avevamo all’inizio degli anni Novanta. Ed è qualcosa che ai miei occhi ha avuto conseguenze molto difficili”.
“Quindi non lo esclude”.
“Non soltanto non lo escludo. Sono assolutamente sicuro che tornerò in Russia. Ma adesso non è il momento giusto per discutere quali posizioni occuperà chi nella Russia post Putin.
Oggi il nostro compito è formare una squadra in grado di guidare le riforme necessarie nel periodo di transizione per poter organizzare le prime elezioni libere.
Questo è il compito che mi sono prefisso.
Nel giro di due anni, fra la fine del regime e le prime elezioni libere, il team delle riforme deve mettersi al lavoro. Il mio compito attuale è formare questa squadra”.

“Chiunque sia protagonista della politica russa deve pronunciarsi sulla Crimea, sulla sua restituzione o meno all’Ucraina.
Per l’opposizione è una patata bollente. Qual è la sua posizione? Pensa che la Crimea debba
essere restituita all’Ucraina?”

“Immediatamente dopo la presa della Crimea, in Ucraina ho affermato che si trattava di un’azione completamente illegale, di un comportamento inaccettabile nel mondo moderno. Ma ormai è accaduto, e oggi è un problema nel lungo termine. Un problema molto importante anche dal punto di vista mondiale. Naturalmente, per la Russia è diventato una specie di punto di non ritorno. Ma adesso è alle nostre spalle. E’ il governo che dovrà risolvere la questione della Crimea, dovrà avere un’autorizzazione per farlo dalla società; ciò può accadere soltanto dopo le prime elezioni libere. In seguito, il popolo affiderà il mandato al nuovo governo che dovrà risolvere il problema.
Ho il mio punto di vista al riguardo, ma so che quella situazione non sarà risolta nel periodo di transizione”.

“Non mi sembra una risposta molto chiara. Può rispondermi semplicemente con un sì o con un no? Crede che la Crimea debba essere restituita all’Ucraina? Se lei potesse, lo farebbe?”

“Capisco che lei prenda come modello la Russia di Putin, e si aspetti che questa decisione venga presa da una sola persona. Io lotto per un’altra Russia, una Russia democratica nella quale nessuno possa dire “farò così”, prima di ottenere un mandato dalla società per farlo”.

“Questo è vero, ma sappiamo che l’annessione della Crimea era ampiamente sostenuta dai russi; da quello che dice lei, quindi se la questione resta così popolare, allora la Crimea resterà in Russia. Non sarà possibile ribaltare la situazione?”

“La società oggi discute la questione meno intensamente, e secondo me in modo più equilibrato. Ci sono varie opinioni, naturalmente la mia posizione e quella dei miei sostenitori è che sia stata un’azione illegale. Abbiamo bisogno di risolvere il problema, e questa soluzione deve prendere in considerazione le opinioni di chi vive in Crimea senza dubbio, ma anche dei cittadini russi e dei cittadini ucraini. Non credo che ci sarà una soluzione rapida al problema, ma sono sicuro che verrà trovata”.

“Passiamo a un’altra questione, visto che lei ha detto che conta di tornare in Russia, ma come la vedono oggi i russi? La considerano come un ex oligarca, o come il Michail Khodorkovsky che è seduto adesso qui di fronte a me ora?”

“Khodorkovsky sorride in maniera a dir poco inquietante, ndr) Spero che le opinioni dei russi che oggi sono forgiate essenzialmente da una propaganda efficace, cambino in relazione a me, o in relazione a problemi molto più importanti, come per esempio i rapporti con il mondo esterno. Spero che la gente mi veda come un essere umano che ha trascorso dieci anni di carcere, e oggi è in esilio. Ma tutto questo è molto meno importante della questione di come vedranno il loro futuro. Vorrei che i miei compatrioti lo vedano non come impersonato da una singola persona chiunque essa sia; ma vedano il loro futuro in un paese democratico, con un parlamento normale, con una divisione dei poteri, dove la vita venga determinata dalle persone stesse”.

“Detto questo però nel breve periodo, lei deve far fronte a delle accuse di omicidio in Russia. Il suo nome è stato macchiato, e dovrà riabilitarlo. Come pensa di farlo?”
(Khodorkovsky sorride con la tranquillità di un assassino, ndr)

“Non sono così preoccupato da quanto la propaganda del Cremlino dice di me; i cittadini russi in generale sono piuttosto scettici nei confronti della televisione.
E se c’è poco da mangiare, non fanno caso a quello che dice la televisione. Ma anche la persona
che si fida di più, chiederebbe all’autorità: cosa avete appreso di nuovo su Khodorkovsky?
Diciotto anni dopo gli eventi in questione, sapendo che per quindici di quei diciotto anni
Khodorkovsky era nelle vostre mani?”
Vediamo se c’è una risposta a questa domanda; se la risposta è zero com’era prima, allora la fiducia si ridurrà a zero”.

“Che le piaccia o no, lei resta il simbolo della classe degli oligarchi in Russia. Quanto è influente oggi quella classe? Esercita ancora un potere?”

“A mio parere, l’idea stessa che gli oligarchi russi siano influenti è stata messa nella testa dei russi, con successo, e anche nella testa degli occidentali, da Boris Berezovskij. Ma in realtà la Russia è un paese completamente diverso. Sono il potere, l’autorità responsabile del denaro in questo Paese, non il contrario.
Né ai tempi di Eltsin, né a quelli di Putin i ricchi avevano influenza sulle decisioni politiche (questo non è vero come dimostra il caso di Aeroflot, della Svyazinvest, ecc. : la mancata privatizzazione della telefonia mobile inseguita da Soros contro tutti, ndr).
Per questo il tentativo di fare pressione sull’entourage di Putin con le sanzioni – per dirgli cosa fare – è un tentativo destinato al fallimento sin dall’inizio.
Naturalmente quelle sanzioni legano le mani allo stesso Putin, privandolo della possibilità di ricompensare i propri compari. E’ così che funziona, non il contrario”.

“Davvero, non crede che quanto è accaduto ha provocato il panico tra quelle persone? Anche se lei sostiene il contrario, quelle persone erano abbastanza influenti in Russia; quello che le è accaduto, ha spaventato la classe degli oligarchi in Russia e fuori dal Paese?”

“Vorrei riformulare la mia posizione. I ricchi in Russia non hanno mai avuto un vero e proprio potere, paragonato a quello del Cremlino (quella che Khodorkovsky sta facendo si chiama “proiezione”, ndr). Il Cremlino di Eltsin, il Cremlino di Putin determina il comportamento politico del Paese.
Abbiamo un proverbio in Russia: per dire che il potere conta più del denaro.
E’ così che funziona in Russia”.

“C’è stato un momento della sua vita in cui era una minaccia per il presidente Putin?
Si ritiene ancora una minaccia dal suo esilio autoimposto?”

“Non credo di aver rappresentato una minaccia politica per il presidente Putin nel 2003, perché ero psicologicamente parte del sistema; all’epoca pensavo a come favorire lo sviluppo della società civile. Ma non avvertivo l’urgenza di un impegno politico.
Credevo che altri si sarebbero occupati della politica.
Quando sono uscito di prigione ero una persona diversa; adesso non mi interessano più gli affari, ma il futuro della Russia, ed è un futuro che riesco a vedere chiaramente.
Voglio che la Russia diventi un paese democratico. So che cosa serve perché questo accada; a giudicare dalla pressione che viene esercitata su di me, direi anche che Putin considera efficaci i miei sforzi”.

“Altre persone impegnate sul suo stesso fronte, altri esponenti politici di opposizione hanno fatto una brutta fine; alcuni sono stati assassinati. Lei teme per la sua vita?”

“Ho trascorso dieci anni della mia vita in prigione; ho ricevuto una coltellata, e avrei potuto essere ucciso in qualunque momento. Sarebbe bastato un semplice ordine del Cremlino.
Dovunque io sia oggi, mi sento più sicuro di allora. Quindi non ci penso”. (quello che Khodorkovsky non dice con il trucco del vittimismo, è che aveva fatto delle avances sessuali al suo aggressore: si tratta di un probabile episodio da “Savant Syndrome” – sindrome idiotica dei Savant – che avviene
sullo sfondo della degradazione dell’ambiente carcerario molto simile agli ospedali psichiatrici, e forse solo James Ellroy saprebbe raccontarlo bene. Infatti si legge su Wikipedia: “… Il 13 aprile 2006, Khodorkovsky è stato aggredito dal detenuto Alexander Kuchma mentre dormiva dopo un’accesa conversazione. Kuchma tagliò la faccia di Khodorkovsky con un coltello e disse che era una risposta alle avances sessuali dell’uomo d’affari. I media occidentali hanno accusato le autorità russe di cercare di minimizzare l’incidente. Nel gennaio 2009, lo stesso prigioniero ha intentato una causa per 500.000 rubli (circa S 15.000) contro Khodorkovsky, accusandolo di molestie omosessuali. Kuchma ha detto in un’intervista che è stato costretto ad attaccare Khodorkovsky da due ufficiali, picchiato e minacciato di morte per commettere l’attacco.
Nel 2011 Kuchma ha ammesso che gli era stato detto di attaccare Khodorkovsky “da persone sconosciute che erano venute nella colonia della prigione e lo avevano picchiato e minacciato”., ndr)

“Quando si è parlato di questi omicidi di oppositori politici, sono state fatte molte congetture su chi abbia dato l’ordine.
Alcuni dicono che sia arrivato direttamente dall’alto. Cosa ne pensa?”

“Non dispongo di alcuna informazione che possa permettermi di formulare accuse concrete contro qualcuno; ma mi pare ovvio che quanto è successo sia la conseguenza di un clima di odio, di una tendenza a cercare dei nemici. Una sorta di quinta colonna che è funzionale alla politica interna della attuale amministrazione del Cremlino; non ci sono dubbi al riguardo, la responsabilità politica è di Putin.
Detto questo, se l’ordine sia arrivato direttamente da lui, da qualcuno della sua cerchia più stretta, lo sapremo solo col tempo. Almeno lo spero” (Khodorkovsky, ndr)

“Intanto però Vladimir Putin continua ad avere un forte consenso in Russia.
Un recente sondaggio gli attribuisce un gradimento dell’80%.
Perché è così popolare?”

“Purtroppo in Russia abbiamo una lunga tradizione di leader autoritari; la gente ha paura di parlare apertamente. Anche a casa, anche in famiglia.
E naturalmente nessuno dirà la verità.
I sociologi o i sondaggisti, perché li si sospetta di avere legami con l’Fsb. In alcuni casi è un timore abbastanza giustificato.
La gente ha paura, e questo è un primo aspetto della questione; il secondo aspetto è un fenomeno molto conosciuto, la sindrome di Stoccolma.
Dal momento che il destino di una popolazione dipende dal capo del Cremlino, ognuno si sforza anche nella propria testa di esprimergli lealtà.
La propaganda funziona egregiamente in questo senso, bisogna riconoscere che è affidata a professionisti che conoscono bene il loro mestiere.
Ma se pensiamo ad altri paese, se pensiamo alla Romania vediamo che tutto può cambiare da un giorno all’altro. Ceausescu aveva il 92% dei consensi, in appena due mesi sappiamo come è finita.
Spero solo che l’attuale regime in Russia non trascini la situazione fino a questi estremi.
Spero che la paura, sia da parte di paesi occidentali che da parte dei cittadini russi, spero che la paura di cambiare non ci induca a commettere l’errore catastrofico di non capire che il cambiamento è inevitabile.
O si è pronti a cambiare, o non lo si è. E se non sei pronto, allora perderai”.

“Intanto si è visto che l’economia in Russia ha subito un duro colpo e non solo per i crolli del prezzo del petrolio, ma anche a causa delle sanzioni. Lei ha appena espresso l’auspicio di una rivoluzione in Russia. Crede che i semi di questa rivoluzione potrebbero nascere dai sacrifici economici patiti dai cittadini?”

“Le sanzioni hanno un significato piuttosto simbolico, ma naturalmente sappiamo tutti che se l’economia russa avesse uno sviluppo normale, se oggi lo Stato fosse amministrato in modo normale, in modo accettabile, non dico eccellente, ma appena normale, ogni cittadino vivrebbe molto meglio. I prezzi del petrolio non avrebbero la soverchiante influenza almeno a livello psicologico che hanno adesso.
Sfortunatamente, sia lei che io siamo consapevoli del fatto che un moderno stile di gestione è impossibile quando tutto viene deciso da una persona sola.
Questa persona potrebbe anche essere molto intelligente, ma se la società non viene coinvolta nel processo decisionale, se non c’è una divisione dei poteri, se uno stato non è retto da un normale sistema istituzionale, non c’è alcuna speranza di stabilità.
E in assenza di stabilità, non c’è nemmeno uno sviluppo economico normale.
Che cosa può sperare di negoziare l’Occidente con Putin? Non è responsabile di quello che dice, le sue parole non sono supportate da alcuna solida istituzione; qualunque accordo con lui, non può che essere a breve termine, valido solo fino a quando lo garantirà lui personalmente.
Putin può cambiare idea, è nella natura umana. Non c’è nessuna solida istituzione dietro di lui; questo è il problema principale, non i prezzi del petrolio”.

“Ok, per concludere con le sanzioni: pensa che debbano essere rimosse?”

“Penso che debbano essere i paesi occidentali a deciderlo. Noi risolveremo i nostri problemi indipendentemente dalle sanzioni. L’atteggiamento dell’Occidente nei confronti della Russia dovrebbe fondarsi sulla consapevolezza che la Russia potrà risolvere i suoi problemi solo in modo autonomo. Che cosa può fare l’Occidente? Può essere d’aiuto? Può favorire la nascita di una nuova classe dirigente in Russia? Può contribuire a evitare che il dibattito politico si inaridisca del tutto. Perché in quel caso, e spero che non ci arriveremo mai, cresceranno soltanto erbacce velenose.
E’ su questo terreno che l’Occidente può svolgere un ruolo, ma soltanto i russi possono risolvere i problemi del loro Paese”.

“Sembra che la Russia si sia ritagliata un ruolo di primo piano sulla scena internazionale, in Siria ad esempio. Che cosa ne pensa?”

“Ho detto quello che penso molte volte e non ho cambiato idea. Penso che abbiamo già tanti problemi interni. Per il Cremlino la Siria non rappresenta un’occasione per esercitare un’influenza positiva sul piano internazionale. Non si tratta nemmeno di proteggere gli interessi nazionali russi. Questo è solo un tentativo di difendere lo status quo.
Di difendere il proprio potere da ogni cambiamento. E il tentativo di sviare l’attenzione dei russi da problemi reali a problemi virtuali, che esistono solo sugli schermi televisivi. Per questo motivo Putin non un alleato affidabile in Siria sul lungo periodo.
A lui interessa risolvere i suoi problemi, né i problemi del mondo né quelli della Russia (viene in mente a chi scrive che questo era il rilievo negativo che anche George Soros faceva su Boris Berezovskij: “vedeva il mondo solo attraverso i suoi interessi personali” che è la forma mentis dello psicopatico, ndr).

“Parliamo degli anni che ha trascorso in prigione, perché quella ovviamente è stata l’esperienza che l’ha resa la persona che è oggi. Si sente di condividere un ricordo di quel periodo passato in carcere?”

“Ho passato 10 anni in prigione, vivendo in condizioni molto dure. Naturalmente sono maturato, se non altro perché sono diventato più vecchio.
Il carcere mi ha dato il tempo per ripensare a me stesso. Oggi per me il tempo non ha più lo stesso significato che aveva prima.
In prigione ho imparato a ragionare sul lungo periodo, e la cosa che mi faceva più impressione era che la Russia è un paese molto vasto.
Per un certo periodo sono stato a 6000 km di distanza da Mosca, e poi altrove vicino al confine con la Finlandia.
A un’ora di volo da Mosca.
Ma in tutt’altra direzione.
E tutti quelli che ho incontrato, anche in prigione, e molte non erano persone di alto profilo, (come Alexander Kuchma, ndr) avevano in comune la stessa cultura.
Quando sono in Europa, osservo questa realtà multiculturale.
In Germania basta un’ora di auto e si arriva in Francia, dove la cultura è diversa. In Russia invece si può volare anche per sette ore, e la cultura rimane la stessa.
Questo è un grande traguardo per il nostro Paese, e quando sento dire che la Russia non dovrebbe essere così grande, e che dovrebbe essere divisa, mi sembrano chiacchiere senza fondamento. Chi dice queste cose, non capisce che siamo uno stesso popolo”.

“Michail Khodorkovsky, grazie mille per essere stato con noi a Global Conversation”.

Restano solo due domande: quanto l’organizzazione “Open Russia”, fondata e diretta da Michail Borisovic, si avvicina all’ideale della Opening Society di George Soros? Può la mafia essere reinventata dall’establishment passando dal crony capitalism al Law and Order della balance du pouvoir?
Ps – “Ho inventato la mia vita dando per scontato che tutto ciò che non mi sarebbe piaciuto avrebbe avuto un opposto che mi sarebbe piaciuto”: così disse Coco Chanel.
Da Gabrielle Chanel a Michail Khodorkovsky, ci sono persone che trasformano il sogno in realtà.
Il pensiero bugiardo è il motore più potente del mondo.
Returning to Russia.

di Alexander Bush

Sull'Autore

Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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