Una nuova ideologia anti-liberale sta attraversando l’Europa: un sottoprodotto del “politicamente corretto” chiamato “quote rosa”. Di che si tratti, più o meno si sa: l’imposizione per legge di posti riservati alle donne, dovunque capiti. Ma per comprendere meglio è opportuno fare un po’ di cronistoria.
All’inizio si era distinta la Norvegia, favorita dal fatto che i proventi del petrolio dal mare del Nord consentono le più svariate sperimentazioni dirigistiche e stataliste all’insegna dell’uguaglianza ideologica. E’ seguito lo pseudo-liberale governo Beslusconi, approvando una legge che prevede l’obbligo di assegnare un terzo di posti alle donne (indipendentemente dai titoli di merito) nei consigli d’amministrazione di società pubbliche. Poi ci si è messo il parlamento europeo, che per iniziativa della commissaria alla giustizia Viviane Reding voleva imporre il 40 per cento di posti “rosa” in tutta l’Unione e in tutte le società quotate in Borsa (ma qui è stata stoppata dall’opposizione del Regno Unito e della Germania). Ultimo esempio: il tentativo di fermare la nomina del lussemburghese Yves Mersch al consiglio direttivo della Bce, non perché non abbia le carte professionali in regola, ma perché appartenente al genere maschile.
Potrebbe sembrare puro folclore, ma non è così: l’ideologia delle quote rosa, dietro l’apparenza utopistica e iper-democratica, nasconde una mentalità di fondo autoritaria (il corporativismo fascista che assegnava appunto quote di rappresentanza alla categorie al di fuori di una selezione di merito o per effetto di un voto); giacobina (l’Uguaglianza astratta, da imporre dall’alto a prescindere dalle differenze sociali, qualsiasi esse siano); socialista e dirigista (i rapporti economici e sociali spontanei devono essere guidati in vista di un obiettivo superiore); lobbista (l’affermazione di cordate di potere più o meno occulte); lottizzatore (sulla scia delle quote di genere ne potrebbero seguire altre basate sull’età, la preferenza sessuale, l’appartenenza etnica, la religione eccetera).
Ma il vero motore non dichiarato di tutte queste operazioni è l’avversione per la società aperta, per la libera competizione, per il liberalismo in quanto tale. Per questo non soltanto i Comitati per le Libertà, ma chiunque senta di appartenere a una cultura libera deve far sentire la sua voce per fermare il nuovo corporativismo, rosa o grigio o verde e nero che sia.
Gaston Beuk
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