LA FINE DELL’ILLUMINISMO E LA PIU’ GRANDE CRISI DAL 1929: CHE FARE? La teoria della riflessività secondo Soros non è indipendente dal “laissez-faire”


“… Mi è sembrato spesso di avere tante personalità diverse: una per gli affari, una per le responsabilità sociali e una (o più) per la vita privata. Spesso i ruoli si confondono, gettandomi nell’imbarazzo più profondo. Ho fatto uno sforzo consapevole per integrare questi vari aspetti della mia esistenza e ho il piacere di affermare che ci sono riuscito. Quando dico che è un piacere, parlo sul serio: integrare le diverse facce della mia personalità è stato per me fonte della massima soddisfazione. Devo però confessare che non ci sarei potuto riuscire se fossi rimasto un soggetto attivo sui mercati finanziari…”.
George Soros, “La crisi del capitalismo globale”

“Essere molte cose significa essere nessuno: lo ha detto Kant”
Romain Gary, “Relazione intima”

Mala tempora currunt et peiora premunt. Mentre sto scrivendo in Russia c’è la guerra civile, in Francia c’è la rivoluzione e Macron con l’uso gaullista del 49.3 contemplato dal generale De Gaulle ha perso l’occasione di privilegiare l’opzione del deficit spending in senso rooseveltiano alla riforma (dal lato dell’offerta) delle pensioni, che è asimmetrica rispetto alla velocità dei tempi; con il risultato che se non fa un passo indietro e non accetta la “crisi di rigetto” di cui parla Tahar Ben Jelloun, andrà probabilmente incontro al default del paese e alla ghigliottina (questo è il “principio di Archimede”), e non è certo colpa del Dipartimento di Stato Usa se la nazione di Voltaire e Montesquieu pare sull’orlo di un colpo di Stato: le “covert actions” dei servizi non sono la realtà, ma parte della realtà (sic!). Ma non è tutto: gli Stati Uniti sono sull’orlo di una guerra civile e della bancarotta economica e sociale, mentre il tycoon senza capitali Trump è contrario all’aumento del tetto del debito federale che sarebbe il deficit spending, identificando se stesso con la democrazia americana e incita i suoi concittadini alla battaglia per destituire Joe Biden.
Come se tutto ciò non bastasse, si annuncia all’orizzonte la più grande crisi dal 1929, proprio mentre è dietro l’angolo una nuova turbolenza bancaria a livello globale dopo che, cadute nella polvere Silicon Valley Bank e Credit Suisse dalle “magnifiche sorti e progressive”, la Deutsche Bank è entrata in stato di sofferenza, pretendendo l’eterno ritorno dell’uguale nell’eterno presente: socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti, perché così va il mondo (ma i Gordon Ghekko della banca tedesca troppo grande per fallire non tengono conto che la realtà esiste).
Vogliamo dire che tutte queste crisi hanno un denominatore comune: il crollo dell’edificio su cui si regge l’Illuminismo? “La democrazia ha bisogno di Dio. Falso!” così titola l’opera di Paolo Flores d’Arcais edita per Laterza. Ma il “laissez-faire” portato al punto di equilibrio è la Tangentopoli dell’Occidente, tra crisi e corruzione. E’ stato Soros a dimostrarlo, in quello che lui stesso definisce un “instant book”, “La crisi del capitalismo globale”: “… Il presidente di un paese dell’Europa dell’Est che io conosco è rimasto esterrefatto perché, in un incontro con il presidente francese Jacques Chirac, quest’ultimo aveva dedicato gran parte del tempo a convincerlo a favorire un compratore francese in un’operazione di privatizzazione. Per non parlare del commercio di armi…”. Perché Chirac era corrotto? Perché influenzato dall’Illuminismo ancorchè a sua insaputa: “Da che mondo e mondo esiste la corruzione, ma un tempo la gente se ne vergognava e cercava di nasconderla. Ora che la motivazione del profitto è assurta a principio morale, i politici di alcuni paesi si vergognano quando non riescono a trarre vantaggio dalla propria carica…”; “… Le teorie vigenti sul meccanismo del mercato e sulla democrazia rappresentativa sono state elaborate sotto l’influsso dell’Illuminismo e, senza neanche rendersene conto, considerano la realtà indipendente dal pensiero dei partecipanti…”. Così Hillary Clinton trovava normale incassare 3 milioni di dollari dalla Goldman Sachs per il suo speechmaking e incoraggiare il marito ad abrogare il Glass Steagall Act di Roosevelt, unendo le banche commerciali alle banche d’investimento: e il risultato è stata la crisi del 2008. La Ragione come ideologia – e l’ideologia non tiene conto del principio di realtà – non è compatibile con la sopravvivenza dell’Occidente, che pare davvero sulla soglia di un’implosione un secolo dopo le esperienze tragiche del fascismo, del nazismo e del comunismo.
L’era del denaro facile è finita, e qui non stiamo parlando del sesso degli angeli: ma proprio della più grande crisi dal ’29! C’è un nesso di causalità tra il primo fatto e il secondo: cioè precisamente un errore nel pensiero, nel procedimento mentale dei governanti della Bce e della Fed che, da un lato, prendono atto che la lunga era dei tassi zero e dei “no performing loans” è finita, dall’altro non ne accettano la sospensione tranchant (sic!).
Perché? In una parola, perché non se ne rendono conto: è un procedimento inconsapevole, non c’è il dolo della responsabilità criminosa (non lo capiva il sociologo travestito da economista Luciano Gallino). La situazione è paradossale: il Too big to fail è finito, ma la Lagarde Christine – “looking good, feeling bad” (dalla locuzione di Friedman) come la Mara Carfagna francese – e Joe Biden (paralizzato dall’estorsione dei repubblicani al Congresso) lo portano avanti fino all’overdose, anziché accogliere la “distruzione creatrice” dell’economia come auspicato dal presidente del Rockfeller International Rushir Sharma.
E’ questa l’evidenza “probante” che dobbiamo passare “post-illuministicamente” dalla Ragione alla Fallibilità, quando nessuna delle Cancellerie occidentali ha accettato i consigli di George Soros, il più grande filosofo del Novecento ma soprattutto – ancorchè a sua insaputa – l’erede di Adam Smith che ha applicato la teoria della riflessività al laissez-faire.
Chi scrive sta tentando – con notevole dispendio di energie – di aggiornare la teoria della riflessività, partendo dalla constatazione “a-scientifica” che l’egoismo è un’istanza superiore alla Ragione. E se Soros affermava che la Fallibilità radicale è la pietra angolare della sua esistenza, io affermo che essa – per quanto sia l’unica uscita di sicurezza dal Titanic dell’Europa e dell’America, e anche della Cina – non è sufficiente, ma poi bisogna stare dalla parte del Bene; Piercamillo Davigo argomenta che avere un comportamento onesto è conveniente dal lato dell’egoismo, e lo ha scritto nei suoi libri e detto in televisione.
Non è forse vero che Adam Smith, che non rimase schiacciato sul “punto di equilibrio” della teoria della concorrenza perfetta a differenza dei successori Léon Walras, Vilfredo Pareto e Milton Friedman in tempi recenti, ha scritto prima “La ricchezza delle Nazioni” e poi “La teoria dei sentimenti morali”? La concorrenza perfetta non esiste, ma è un principio genericamente valido e l’egoismo va integrato con il Bene, come pensava anche George Edward Moore nei suoi Principia ethica.
Anche se chi scrive detesta le metafore calcistiche alla Benito Mussolini, Adam Smith batte 2 a 0 Immanuel Kant: è l’Illuminismo eterodosso che si intravede alla fine dell’Illuminismo dei paralogismi “troppo grandi per fallire”. La “Mano Invisibile” è un punto cieco al pensiero; valga il vero: ecco l’errore mortale di Christine Lagarde, come emerge dal dossier di Filippo Santelli per “Affari e finanza” dell’11/04/2023. Ma sono sicuro che se mi trovassi di fronte Christine Lagarde, non riuscirei a resisterle! Forse perché è una mantide religiosa che ha bisogno di affetto; affetto e frustrazione si rincorrono…
Scrive Filippo Santelli nella sua analisi che è la quiete prima della tempesta “Una bolla da 1000 miliardi, i tassi rischiano”, nella fotografia Polaroid dell’incipit del nuovo ’29 (se il pensiero fa intrinsecamente parte della realtà, come io credo ma non posso dimostrare): “Lo spettro del contagio bancario pare scacciato. Ma ecco che in Europa ne appare un altro, altrettanto noto: quello del mattone. La brusca uscita dalla lunga era dei tassi zero e del denaro facile, dorata per l’immobiliare, sta facendo emergere le fragilità di un settore in cui prezzi e asset si sono gonfiati a dismisura, e che ora deve affrontare un deciso calo di compravendite e valutazioni. Il primo Paese a mostrare crepe è stato la Svezia, dove i valori al metro sono già scesi del 15%. Ma negli ultimi tre mesi dello scorso anno è stata l’Unione europea tutta – dopo sette anni di crescita ininterrotta – a registrare un segno meno. Arriva una fisiologica correzione o c’è una bolla pronta a scoppiare, che come nel 2008 può contagiare le banche e l’intera economia? La domanda divide gli analisti. E se la maggior parte propende per la prima meno dolorosa ipotesi, alcuni comparti dell’immobiliare hanno accumulato rischi preoccupanti e potenzialmente sistemici: in particolare il real estate commerciale, quello di grattacieli, uffici e ipermercati, dominato da fondi di investimento assai esposti al repentino cambio di scenario. Su questo fronte la geografia del rischio è inedita: ad essere più vulnerabili sono Germania e Olanda, emblemi di solidità nei conti pubblici. Mentre l’Italia, dove il mattone ha logiche a sé, pare più al riparo.”
“Tremano le fondamenta”, aggiunge Filippo Santelli. Cominciamo da un fatto: John Maynard Keynes è stato il più grande economista del Novecento, con un “inside” artistico per citare Robert Skidelsky.
Se è vero che La Teoria Generale dell’Occupazione nel 2023 – quasi un secolo dopo il Venerdì nero del 1929 – è un punto di riferimento imprescindibile, è però vero al contempo che è stato smentito l’assunto ideologico di John Maynard Keynes che uno Stato non può andare in bancarotta (sic!), quando uno Stato può andare in bancarotta; vediamo subito perché: dal libro di Warren Mosler “L’assurdità dei sacrifici – elogio della spesa pubblica”, ecco un passaggio dell’intervista radiofonica di Sir Josiah Stamp, direttore della Banca D’Inghilterra, a John Maynard Keynes trasmessa dalla Bbc il 4 gennaio 1933. “Note del testo a cura di Paola Ghini”:

“… S. Ti fermo per un momento. Prendiamo in considerazione il risparmio di un Ministero o di un privato individuo e consideriamone l’effetto. Uno stato o una città, proprio come un individuo, devono vivere nei limiti delle loro risorse finanziarie, mentre, se provassero ad andare oltre questo limite, si troverebbero in notevoli difficoltà e molto presto sarebbero costretti a ridurre il loro patrimonio.”
K. “Ci può essere solo un obiettivo nel risparmiare: esso è precisamente quello di sostituire una certa spesa con un tipo diverso di spesa più saggia.”
S. “Sostituire! Capisco qual è il punto! Se, per esempio, il Governo o gli enti locali risparmiassero per ridurre le tasse o i tassi d’interesse e consentissero ai singoli di spendere di più, oppure, se gli individui riducessero i consumi, per poi usare essi stessi il denaro risparmiato nella costruzione di case o di fabbriche, o per prestarlo ad altri individui aventi gli stessi obiettivi, non servirebbe tutto ciò a risolvere le cose?”.

Più avanti, Warren Mosler ne deduceva – teorizzando senza rendersene conto il Too big to fail – cioè il “keynesismo senza Keynes” 1933-‘2008: “Il governo… non deve avere dollari… il governo paga qualunque cosa, cambiando i numeri dei conti correnti. Il governo federale non può rimanere senza soldi, come il nostro Presidente ha erroneamente ripetuto. E’ impossibile… Tutto quello di cui il governo ha bisogno per spendere è cambiare i numeri nei conti correnti nella propria banca, la Federal Reserve Bank. Non c’è un limite numerico alla quantità di denaro che il nostro governo può spendere, ogni volta che vuole spendere.”
Questo è un discorso valido nel breve termine, ma a lungo termine è impraticabile e infatti, come scrive Filippo Santelli, “tremano le fondamenta”: “Se il collasso del 2008 ebbe un innesco tutto americano, i mutui subprime, l’overdose di liquidità con cui l’economia globale si è curata ha gonfiato i prezzi ovunque, Europa compresa. Vedere i valori delle case nella Ue: oggi sono del 50% più elevati rispetto al fondo toccato nel 2015, e ben più alti rispetto ai mesi precedenti alla Grande Crisi. La ripresa post-pandemica, con risparmi accumulati e una corsa al mattone, li ha spinti ancora più in alto. Troppo? Un recente studio del Fondo monetario sostiene di sì: “Ci sono segnali crescenti di sopravvalutazione nel mercato immobiliare europeo, tra il 15 e il 20% nella maggior parte dei Paesi”, scrivono gli autori. I rialzi dei tassi hanno fatto scattare l’inevitabile correzione: la maggiore prudenza delle banche nel prestare e l’impatto dell’inflazione stanno frenando gli acquisti e deprimendo i prezzi.
L’Fmi calcola che entro fino 2023, nello scenario base, un terzo delle famiglie europee, soprattutto a reddito basso, potrebbero trovarsi in sofferenza finanziaria e avere difficoltà a onorare le rate del mutuo. Nello scenario peggiore, recessivo, sarebbe il 45%. Un rischio sistemico, che però non dovrebbe travolgere le banche…”.
Non dovrebbe, ma le sta travolgendo!
E le politiche sin qui adottate sono la continuazione del Troppo grande per fallire: “… La Bce raccomanda quindi di adottare misure che riducano “i rischi per la stabilità finanziaria”: per esempio rafforzare gli strumenti di gestione della liquidità, con limiti al ritiro dei fondi, o incoraggiare a livello regolatorio i fondi chiusi, i cui investitori non possono ritirarsi anzitempo. Francoforte nota però che queste raccomandazioni erano già state fatte in passato, senza esito. Anche questa una storia già vista…”. E’ la storia infinita. Sono misure di protezione dal rischio fallimento, che invece di allontanare lo spettro di una grande crisi preparano l’avvento di un nuovo 1929.
La prossima tessera del mosaico a cadere sarà la Deutsche Bank, mentre non c’è liquidità a livello globale, nonostante venga stampata carta.
Mentre la ricetta alternativa – lo status quo non è più un’opzione – dovrebbe essere la “distruzione creatrice” che non è una formula ideologica, ma è un azzardo in piena regola (e la comunità umana ha bisogno di un po’ di azzardo per progredire nei momenti di stallo): interrompere tout court la liquidità ai mercati, così da prevenire un nuovo ’29 che – però – è già cominciato.
Tuttavia, da sola la “distruzione creatrice” dell’intero assetto societario della deregulation creditizia non basta: deve essere sostenuta contestualmente da investimenti pubblici, quale dimensione materiale della più grande spesa in deficit dal 1933. Investimenti pubblici a costo zero perciò stesso. Distruzione creatrice+deficit spending, ma – attenzione – non abbiamo molto tempo; il punto è che lo status quo non è più un’opzione a breve termine e non ci sono alternative ad una soluzione così drastica; da sola la spesa in disavanzo è astrazione teoretica, da sola la “distruzione creatrice” dell’economia non consentirebbe che il mercato sia in grado di riassorbire la distruzione di milioni di posti di lavoro, che è già in atto (sic!). E infine, il dato più preoccupante è che è finita la filosofia morale di Immanuel Kant; le conclusioni di George Soros sono sorprendentemente simili a quelle di Giovanni Paolo II nella sua opera “Evangelium Vitae”: la Ragione è stata portata al “punto di equilibrio”, quando in realtà questo procedimento “illuminista” costituisce l’impalcatura teoretica del crimine che, ricordiamolo, non è separato dal pensiero: il pensiero è parte del crimine: “… La metafisica kantiana della morale era adatta per un’epoca in cui la ragione doveva vedersela con l’autorità esterna, ma oggi che l’autorità esterna è venuta meno, appare stranamente irrilevante. Il bisogno stesso di distinguere fra bene e male viene messo in discussione. Perché prendersela tanto, se una certa linea d’azione ottiene il risultato desiderato? Perché andare in cerca della verità? Perché essere onesti? Perché preoccuparsi degli altri? Chi sono i “noi” che formano la società globale, e quali sono i valori che dovrebbero tenerci uniti? Questi sono gli interrogativi cui oggi siamo tenuti a rispondere. Ma sarebbe un errore liquidare la filosofia morale e politica dell’Illuminismo soltanto perché non è riuscita a mantenersi all’altezza delle proprie smisurate ambizioni. Animati dallo spirito di fallibilità, dovremmo correggere gli eccessi del pensiero, non attestarci all’estremo opposto. Una società priva di valori sociali non può sopravvivere, e una società globale, per mantenersi unita, ha bisogno di valori universali. L’Illuminismo ha offerto un insieme di valori universali e la sua tradizione è ancora viva, anche se appare un po’ appannata. Anziché liquidarla, dovremmo invece rinnovarla.”

Appunto, l’Illuminismo va integrato con l’egoismo “veluti si Deus daretur”. Non la pensa così Nicolas Sarkozy, che ha trovato normale chiedere soldi a Gheddafi e poi ammazzarlo, nonché fare il doppio gioco a Dominique Strauss Khan all’Hotel Sofitel a New York.
La democrazia ha bisogno di Dio? Non è mai stato così vero.

di Alexander Bush

Sull'Autore

Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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