Il padre di Raghad

Data:

occidentale
I migranti non sono tutti uguali

Il padre di Raghad, la undicenne diabetica morta perché gli scafisti hanno gettato in mare il suo zainetto con dentro l’insulina necessaria a farla vivere, è un commerciante siriano laureato in economia. E’ diretto in Germania, insieme a sua moglie e sei bambini, tutti regolarmente dotati di passaporto. Scappano dalla guerra, hanno impegnato tutto il loro avere per pagarsi la traversata e l’insulina che adesso è in fondo al mare, insieme a Raghad.

Ogni genitore non può che immedesimarsi con sgomento in quest’uomo, che ha l’unica colpa di essere nato e aver messo su famiglia dalla parte sbagliata del mondo. Una delle tante storie drammatiche che continuano a sbarcare in Italia, e che proprio perché riesce a aprire un varco nel cuore di ciascuno di noi dovrebbe aiutarci a non perdere di vista la verità, che sembra oramai un bene perduto.

Quelli che arrivano sulle nostre coste, in condizioni sempre più inumane, non sono certo terroristi: si tratta per la gran parte di persone con una patria, un lavoro, una famiglia, soldi faticosamente messi da parte. Sono persone che sarebbero restate volentieri a casa propria, ma hanno impegnato tutti i loro averi perché nel loro paese non c’è futuro, e il presente è quanto di più incerto e pericoloso si possa pensare. Terroristi e criminali arrivano ben più comodi, viaggiano in sicurezza per altre vie.

Non è un’invasione, perché quasi nessuno vuole restare qua: la maggior parte ha come meta il nord Europa o comunque altri stati come la Francia o la Germania, dove ci sono comunità di immigrati molto più estese e radicate di quanto siano in Italia. Certamente i numeri degli sbarchi sono aumentati tantissimo, ma perché è precipitata la situazione ai confini del nostro continente, sia in Africa che in Oriente, e le recenti scelte di politica estera di Europa e America hanno avuto esiti pessimi: basta pensare ai risultati della guerra in Libia voluta da Francia e Usa.

Anche ammettendo errori e approssimazioni nella gestione dell’accoglienza dei migranti e nella loro distribuzione sul territorio, bisogna riconoscere che Casale San Nicola, vicino Roma, dove ieri ci sono stati scontri alimentati anche da Casa Pound, non è una periferia disagiata ma uno dei tanti quartieri residenziali sulla Cassia, e che il putiferio non si è placato nemmeno quando è stato proposto di ridurre a 19, diconsi 19 , il numero dei rifugiati. Un numero irrisorio, e se anziché arrivare in pulmino scortati dalla polizia, fossero venuti due per volta con i mezzi pubblici, nessuno si sarebbe allarmato. Ma veramente in quel quartiere non c’era posto per 19 persone? Veramente un gruppetto esiguo di migranti può essere considerato un rischio inaccettabile per la convivenza civile in un quartiere?

A Crema invece il vescovo ha dovuto rinunciare a ospitare 5, diconsi 5, migranti in un ex convento, per via della “tenace e strenua opposizione” dei genitori dei bambini del vicino asilo nido. Addirittura l’incendio di suppellettili di un condominio per impedirvi l’ingresso a cento migranti neri, africani e asiatici: è quanto accaduto a Quinto, in Veneto, dove il sindaco leghista con un’ordinanza aveva comunque vietato la permanenza per “ragioni di salubrità e sicurezza”. Sempre in Veneto, Marco Serena, il sindaco leghista di Villorba, “ha caricato i profughi in pullman e li ha parcheggiati davanti al Duomo di Treviso”, racconta proprio il sindaco di Treviso.

Erano 47, vagavano nelle campagne, senza riferimenti. “Come sindaco ho competenze in materia di igiene pubblica e non potevo accettare la situazione”, spiega Serena in una surreale intervista al Corriere del Veneto, e aggiunge che li ha raccolti e caricati in autobus per portarli in prefettura perchè “E’ allo stato che compete l’accoglienza”. Qualcosa ci sfugge: forse a Villorba l’igiene pubblica e il municipio sono appaltati a qualche stato straniero? O il sindaco non è un amministratore pubblico? Ma come salvaguarda questo sindaco l’igiene pubblica: scaricando la gente nella pubblica piazza?

E’ intollerabile sentire Salvini protestare per “i lussi” in cui ospiteremmo questi profughi: dove sarebbero i lussi del padre di Raghad? E i lussi dei 47 scaricati nelle campagne del Veneto, e parcheggiati in piazza? E’ semplicemente ridicolo Salvini quando dice “basta con i barconi”. C’è un fenomeno epocale in corso, fiumi di popolazioni forzate a migrare, a lasciare le loro case per via delle condizioni del loro paese di origine. Come si può anche solo pensare che non sia necessario governare il fenomeno, e sia sufficiente dire: “basta” e “rimandarli a casa loro”? E’ come se noi italiani dicessimo “basta con i terremoti”, e imbastissimo proteste di piazza per non averne più.

Sia chiaro: personalmente non ho mai condiviso le posizioni alla Kyenge (l’ex ministro dell’integrazione del governo Letta), e sono contraria ad una immigrazione incontrollata e non regolata. Ma adesso si sta letteralmente perdendo il lume della ragione, e c’è chi soffia sul fuoco – la Lega di Salvini – solo per aumentare il proprio consenso politico. C’è un limite alla demagogia e alla esaltazione di paure latenti, su cui si fa leva per alimentare reazioni violente e tafferugli: e pensando alla piccola Raghad con il suo zainetto pieno di insulina, temo che lo abbiamo oltrepassato.

Assuntina Morresi
http://www.loccidentale.it/node/137732

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