Il “Manifesto” della politica estera grillina

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Finalmente capiamo qualcosa sulle intenzioni dei grillini nel campo della politica estera: un coacervo di idee irrealizzabili, di vecchio terzomondismo e di ipocrisia
L’avvento dei 5 Stelle al governo, apprendiamo dai sondaggi, è molto più che un’ipotesi di scuola. Oggi molti elettori sono sul punto di affidarsi come ultimo salvagente, e in buona fede, al magmatico movimento-partito di Beppe Grillo. Il riflusso della marea renziana, rivelatasi una pura copertura ideologica della occupazione del potere, ha lasciato dietro di sè milioni di persone disorientate, come un branco di balene spiaggiate. D’altra parte la prospettiva di una seconda Forza Italia, da intendersi come riedizione della prima con qualche aggiustamento tattico e di facciata, non costituisce, soprattutto per i giovani, un’alternativa convincente. E chi crede nel valore delle libertà individuali e politiche, accompagnate da un forte affermazione internazionale delle democrazie, non può certo lasciarsi sedurre dai programmi dei partiti “sovranisti”, sempre più lontani dall’Occidente e tentati da una inedita deriva autoritaria, insieme filo russa e terzomondista.
Di qui l’idea che un salto nel vuoto grillino sia preferibile alle acque stagnanti del presente. Tuttavia, misurarsi con i programmi pentastellati, per quanto embrionali, è come sottoporsi a una doccia fredda. Proviamo a saggiare gli umori prevalenti della base in tema di politica estera, come risultano dalle votazioni online sulla piattaforma Rousseau, registrati senza batter ciglio dal partito per il solo fatto di aver ottenuto i maggiori consensi (fra i 70 mila e i 23 mila). Già la prassi di questa finta democrazia diretta, in realtà guidata e non certificata, è tale da prefigurare una inquietante dittatura dell’approssimazione e del conformismo. Ma se poi esaminiamo i punti concreti, possiamo scoprirvi nell’ordine:
1 L’autarchia economica da opporre alle forze del libero mercato, tacciate di voler aderire ai principali trattati internazionali europei come Ttip e Ceta (rispettivamente con Stati Uniti e Canada). Gli scambi commerciali alla pari fanno paura ai simpatizzanti grillini perché mettono in discussione i privilegi di corporazioni, imprenditori e sindacati, tutti legati all’establishment, e che identificano i “diritti dei lavoratori” con il loro potere di negoziazione e ricatto ai danni dei cittadini senza rappresentanza.
2 La proclamazione di voler affermare il “rispetto dell’autodeterminazione dei popoli la sovranità, l’integrità territoriale e il principio di non ingerenza negli affari interni dei singoli paesi”. Ma poi ci si inchina alla politica di potenza di Putin, che si è annesso la Crimea, ha aggredito e occupato parte del territorio di Ucraina, Moldova e Georgia, tratta come vassalli Bielorussia e Stati asiatici postsovietici, minaccia ripetutamente gli Stati baltici. Al capo del Cremlino i 5 Stelle offrono invece l’immediata abolizione delle sanzioni, il rilancio della cooperazione economica e il titolo di “partner strategico fondamentale”, con tanti applausi al pugno di ferro, alla cricca degli oligarchi e alla repressione di opposizione e stampa indipendente. 
3 L’intenzione di opporsi all'”Europa delle banche e della finanza” in nome della “solidarietà”: termine che, come noto, in Italia allude a logiche spartitorie, corporative, assistenziali, clientelari e peggio, sul modello di quelle che hanno portato al disastro tanti istituti di credito, dal Montepaschi in giù. Quanto all’uscita dall’euro, per il momento i 5 Stelle tengono la pistola carica nella fondina (il futuro referendum consultivo) per evitare di “éffrayer le bourgeois”.
4 Lo sposalizio con il disarmo unilaterale e il pacifismo dello struzzo, chiudendo gli occhi sul mondo così come è, in favore di qualche utopia puerile o complice, come quella di affidarsi alle “forze di interposizione pacifica” (chiedere ai bosniaci quale ricordo abbiano delle forze di interposizione Onu che avrebbero dovuto proteggerli dal’esercito nazicomunista e genocida di Miloševic).
5 La richiesta di eliminare una delle poche istituzioni efficaci della Ue, il Fondo salva Stati, che pur imponendo lacrime e sangue ha portato alla luce furbizie e sprechi storici e stratificati in molti Paesi, rifacendosi in ultima analisi allo spirito originario di un’Europa non succube dei governi populisti e del potere basato sulla corruzione diffusa.
6 Una strizzata d’occhio all’ideologia terzomondista alla Morales e Maduro, rispolverando il mito pagano di Madre Terra, l’ecologismo apocalittico, l’egualitarismo autoritario ed esaltando la “decrescita felice” cui tutti dovremmo applicarci. Il “multilateralismo” conseguente dell’Italia individuerebbe come partner privilegiati i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), cioè democrazie a dir poco problematiche, con tanti saluti alle vecchie e superate alleanze con Berlino, Londra, Parigi.
7 Lo schierarsi senza sfumature di un’Italia terzomondista dalla parte dei palestinesi e contro la democrazia israeliana, rivendicando il ritorno ai confini del 1967; senza nemmeno chiedersi se lo Stato che ne conseguirebbe sarebbe rispettoso (come oggi non è) delle libertà individuali ed economiche, come dei diritti religiosi e umani.
8 La ciliegina sulla torta: l’uscita dalla Nato (sotto forma di “disimpegno dell’Italia da tutte le sue missioni militari”). Un modo per chiarire che il Paese, una volta fuori dall’Occidente, potrebbe allearsi di volta in volta con qualsiasi Stato utile alla sua sopravvivenza, fosse anche dittatoriale o totalitario, e lasciando campo libero alle ambizioni egemoniche di chiunque.
Se questo programma vi è piaciuto, come proclamavano una volta gli imbonitori al termine degli spettacoli circensi, parlatene con entusiasmo ai vostri amici. Ma se sperate in qualcosa di migliore e più alto per il vostro futuro, al programma dei Cinque Stelle è meglio che rispondiate: no. grazie.

di Dario Fertilio

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Dario Fertilio
Dario Fertilio (1949) discende da una famiglia di origine dalmata e vive a Milano. Giornalista e scrittore, presiede l'associazione Libertates che afferma i valori della democrazia liberale e i diritti umani. Estraneo a ogni forma di consorteria intellettuale e di pensiero politicamente corretto, sperimenta diverse forme espressive alternando articoli su vari giornali, narrativa e saggistica. Tra i suoi libri più noti, la raccolta di racconti "La morte rossa", il saggio "Le notizie del diavolo" e il romanzo storico "L'ultima notte dei Fratelli Cervi", vincitore del Premio Acqui Storia 2013. Predilige i temi della ribellione al potere ingiusto, della libertà di amare e comunicare, e il rapporto con il sacro.

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