Il centro è morto perché non ci sono più moderati

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Il “divorzio” politico di Renzi e Calenda, dopo gli insuccessi del Terzo Polo nelle elezioni regionali, è l’ennesima prova (come se ce ne fosse ancora bisogno) che in Italia il fronte centrista, moderato, riformista, chiamatelo come volete, sta implodendo. Chi guarda all’inadeguatezza dei due leader, alla loro incostanza e ai gravi problemi del loro progetto politico ha ragione, ma vede solo una parte del problema. Se anche il partito fosse stato più coeso e avesse avuto un grande leader carismatico, la fine sarebbe stata meno rapida, forse. Ma sarebbe comunque arrivata. Quel che manca, ormai, è una popolazione moderata che alimenti il “centro” politico.
La polarizzazione della politica è un fenomeno mondiale, non riguarda solo l’Italia e neppure solo l’Europa. Accomuna tutti i Paesi democratici del mondo industrializzato. In misura diversa, è ben visibile anche nelle autocrazie. Nel mondo delle dittature, è caduta la maschera della “rispettabilità”: Cina, Russia, Venezuela, Iran, violano diritti e leggi internazionali ostentandolo, senza più far buon viso ai club internazionali che contano. Nelle democrazie imperfette, la maschera delle procedure democratiche è caduta, l’autoritarismo è diventato palese, come nel caso della Turchia. Nelle democrazie sta succedendo qualcosa di simile: fino a un decennio fa era scontato che i partiti o i candidati presidenti, per accaparrare più voti, dovessero vincere la “corsa al centro”, conquistando i cuori e le menti degli elettori moderati, di quelli meno militanti e di quelli più razionali nel calcolo economico, oggi vale il contrario. A prescindere se al governo si moderi o meno, vince comunque l’estremista, quello che urla di più.
Il fenomeno è stato ben sintetizzato la storica Anne Applebaum, quando scrive: “Se il Ventesimo Secolo è stato la storia di un progresso lento e irregolare verso la vittoria della democrazia liberale su altre ideologie (comunismo, fascismo, nazionalismo virulento), il Ventunesimo Secolo è, finora, una storia al contrario”.
La polarizzazione è causata dalla crisi del liberalismo e dal ritorno della violenza nei rapporti politici. Il liberalismo, affermando i diritti dell’individuo, aveva emarginato la violenza politica, condannandola. Per questo si dice “moderato”: lo è nei toni e nei modi. Nel mondo di oggi, al contrario, si condanna l’individualismo e si sdogana di nuovo la violenza. Quando va bene è solo violenza verbale, quando va male è anche letale. Tutto parte dalla cultura politica. Nel dibattito fra individualisti e collettivisti, hanno vinto i secondi e gli individualisti stanno assumendo le sembianze dei vincitori per cercare di sopravvivere. Basti vedere quanti omaggi al sovranismo (e alle sue parole d’ordine: famiglia, Dio, patria, confini, la battaglia contro la società “fluida”) arrivano dai liberali più inclini a collaborare con la Meloni. Mentre i liberali che preferiscono cercare ancora uno spazio a sinistra, si adeguano agli slogan socialisti, europei magari, ma sempre socialisti.
La sinistra radicalizzata torna alle sue origini. Nel suo film uscito fuori-tempo-massimo, Walter Veltroni fa risvegliare dal coma un comunista dopo trent’anni e lo mette a confronto con un’età molto diversa da quella in cui viveva. Veltroni, forse, non si è accorto che la sinistra è tornata ad essere esattamente, se non quella di Togliatti, almeno quella di Berlinguer. Solo il linguaggio è cambiato per adattarla all’epoca dei social network che non permette più una comunicazione televisiva. Ma gli obiettivi, i sogni, la presunzione di un primato morale, l’aspirazione a un’egemonia culturale totale, l’idea che tutti abbiano diritto a una casa, a un lavoro, a un salario, che ci debba essere piena parità fra i sessi che si debba comunque redistribuire la ricchezza e dare allo Stato il primato sull’economia, quello è tutto uguale. Si sono semmai aggiunte battaglie su “diritti” (che in realtà sono programmi e rivendicazioni) che trent’anni fa non si conoscevano ancora, come i diritti climatici o i diritti gender. Ma la sostanza, il metodo, persino gli slogan, verrebbero riconosciuti come propri da un comunista italiano che si risvegliasse 33 anni dopo la caduta del Muro.
Ad essere cambiata, rispetto alle sue origini moderne, è purtroppo la destra. Purtroppo, perché avrebbe potuto costituire un’alternativa vincente alla vecchia sinistra, ma si è invece trasformata in un’altra sinistra. Qui il cambiamento è molto più forte, negli Usa come in Italia. Se facessimo l’esperimento mentale di Veltroni, un elettore repubblicano americano che andasse in coma alla fine degli anni 80 e si risvegliasse oggi, non riconoscerebbe più la sua parte politica. Se un candidato americano, nella campagna per le presidenziali del 2024, copiasse di sana pianta da un discorso di Reagan, oggi verrebbe fischiato dai suoi potenziali elettori di destra. In Italia accadrebbe la stessa cosa se un candidato di centrodestra copiasse i contenuti e lo stile del Berlusconi degli anni 90: non verrebbe votato nemmeno da Berlusconi stesso, che ha cambiato linea da un pezzo. Il problema della destra, poi, è che il cambiamento è avvenuto senza alcun dibattito e senza nemmeno alcuna analisi. Perché, essendo tutti o quasi di sinistra, i politologi non hanno dedicato neppure una riga di studio per spiegare questa metamorfosi.
Il punto è che le idee anti-capitaliste che erano tipiche della sinistra massimalista degli anni 90, oggi sono diventate egemoni, anche a destra. Sono idee povere di contenuto, spesso smentite dai fatti, ma sono semplici e facilmente assimilabili, specialmente in tempi di crisi economica o eventi particolarmente catastrofici, come pandemie e guerre. Questi sono gli slogan principali che dominano il discorso politico: la globalizzazione è fallita, il capitalismo finanziario ha distrutto l’economia reale, il sistema capitalista ha reso i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, la classe media è stata ridotta a nuovo proletariato, la democrazia è un paravento per interessi economici che detengono il vero potere, il potere di questi oligarchi è mondiale, tutti gli eventi del mondo sono spiegati da media che mentono (perché al servizio dei suddetti oligarchi), tutte le tragedie del mondo, comprese la pandemia e la guerra in Ucraina, sono provocate scientemente dagli oligarchi mondiali per accrescere il loro potere.
Questi slogan sono menzogne. A partire dal primo, su cui si fondano tutti gli altri: la globalizzazione ha fatto uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone. Oggi i poveri sono molto più ricchi di quelli del passato recente. Si sono accentuate le differenze fra i più ricchi e i più poveri, semmai, come sempre accade in un’epoca di rapide innovazioni tecnologiche, ma è falso affermare che i poveri di oggi siano più numerosi o più poveri ancora di quelli di trenta o quarant’anni fa. Eppure il malessere provocato da una falsa rappresentazione della globalizzazione ha sdoganato il pensiero estremista, ha fatto dilagare il complottismo e, come sempre in questi casi, ha radicalizzato il discorso politico. La destra avrebbe dovuto fare da argine a questa tendenza, svelando le menzogne anti-globalizzazione. Ma dopo aver visto come girava il fumo, ha preferito far cassa con l’odio contro il capitalismo, per vincere le elezioni più facilmente, accusando semmai la sinistra di essere “mondialista” e “dalla parte dei ricchi”. E così oggi abbiamo vecchi comunisti che si risvegliano dal coma e votano a destra, perché si sentono più rappresentati. E i moderati, muti.

di Stefano Magni

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