I negazionisti di San Bernardino

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Perché si è tenuto così a lungo nascosta la matrice islamica del raid di San Bernardino

Nel loro raid di San Bernardino, due jihadisti hanno fatto 14 morti e 22 feriti, con tanto di complimenti dello Stato Islamico su Internet, che forse non avrà appaltato l’attacco ma è felicissimo per com’è andata, #burning_America. Ma per giorni sui media e al telegiornale il problema è stato solo “quanto sono pericolose le armi in America” (non chi spara), che non si riuscivano a capire le cause dell’eccidio (da giovedì pomeriggio su CNN International erano chiarissime), per non dire della vendetta maturata sul posto di lavoro, pista molto quotata che vedremo dove porta. E in ogni caso le autorità giudiziarie Usa hanno chiesto di evitare forme di “retorica anti-musulmana” che “spingono verso la violenza”, annunciando provvedimenti contro chi non si adegua.

Capito? Politica e giustizia cercano di spegnere l’incendio ma, complice questo atteggiamento troppo proteso verso la cautela, nei media si fa strada una specie di negazione del terrorismo islamico, una forma di sottovalutazione del pericolo che rischia di estendersi nelle opinioni pubbliche occidentali. Nell’identità terrorista di Farook c’è un elemento religioso che non è quello dell’11 Settembre o del 13 Novembre. Non è neanche farina del maggiore Hasan, quello che si mise a sparare contro i suoi commilitoni a Fort Hood; la quinta colonna, il lupo solitario. Quella di San Bernardino è  sudden jihad syndrome, la sindrome dell’“attacco jihadista improvviso” come l’ha battezzata il compianto blogger americano Lawrence Auster qualche anno fa. Uno scatto di violenza inaudita e senza controllo ai danni di colleghi, conoscenti e sconosciuti, generato dal “risveglio” islamista.

Roberto Santoro
da “L’Occidentale”

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