Fondamenti del diritto mite

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Nel dibattito culturale ed etico-politico volentieri si fa riferimento alla dottrina del “diritto mite”, discussa in alcuni luoghi da Norberto Bobbio e Gustavo Zagrebelsky, il quale afferma – tra l’altro – che ai giudici “spetta ben altro compito che quello di essere semplici ‘bocche della legge’. (..) I giuristi sanno bene che la radice delle loro comuni credenze e certezze, come anche dei loro dubbi e contrasti, è sempre altrove. Per chiarire ciò che davvero li unisce e li divide, occorre scendere più a fondo o, è lo stesso, risalire più in alto, in ciò che non è espresso: (..) l’idea del diritto” ( “Il diritto mite”, Torino 1992 ). Pure, il fatto che lo stesso autore neghi che le norme del diritto possano essere espressione di interessi di parte ( e qui a ragione ) ma neanche di “concezioni universali e immutabili” ( forse meglio: di stenogrammi o pseudoconcetti o astratti schemi giuridici ), lascia avvertire un bisogno di risalire alle tracce fondamentali della concezione di “mitezza” giuridica.
Ci sta in mente la pagina di filosofia del diritto e “Progetto di costituzione della Repubblica Napoletana”, nobilmente dettata da Mario Pagano martire del 1799 ( Brienza 8 dicembre 1748 – Napoli 29 ottobre 1799 ), per il quale il valore universale e immutabile è la Libertà, bene tanto prezioso da esigere una correzione dei limiti della Costituzione francese giacobina del 1793. “Ma la pena di due anni di carcere imposta senza l’intervento dei giurati può non leggiermente offendere la libertà civile, e preparare lentamente le catene alla nazione. Il sorgente occulto dispotismo può valersi di questa molla per innalzare la macchina fatale, che fulmini gli amici della libertà”. Sì che: “La libertà non si conquista che col ferro, e non si mantiene che col coraggio” ( cfr. il mio intervento al Convegno “Quale scuola?”, Scuola Normale Superiore di Pisa, 1999). In questa perorazione, il Pagano avverte anche che spesso le “non pruove” diventano nei tribunali “pruove”, Si riferisce bene alla propria esperienza del carcere, che lo porterà sul patibolo. Ma non è chi non veda come, ancor oggi, molte “non pruove” stiano al rischio di esser assunte a “pruove” ( solo esemplificando, e senza tema di banalizzazione strumentale, l’agendina di un omonimo Enzo Tortora, il passaporto di Ruby, le estorte o mal torte dichiarazioni, e via ).
Quasi negli stessi anni, altro spunto degno di interesse, sotto l’egida del dispotismo illuminato settecentesco, e a Praga, Wolgang Amadeus Mozart mise in musica un’opera fondata su libretto di Caterino Mazzolà ( a sua volta basata su testo dell’altro italiano Pietro Metastasio ), “La clemenza di Tito”, che è opera a torto ritenuta da taluni interpreti della prima ora fredda e inespressiva; ma che rappresenta il dramma di Vitellia, figlia dell’imperatore Vitellio detronizzato, che ordisce una congiura contro il nuovo imperatore Tito. Fallita la congiura, Tito decide di graziare tutti i congiurati, quando Vitellia ( che poi l’imperatore stesso accetta di sposare ) esce allo scoperto proclamandosi la mente della cospirazione, per salvare il proprio “strumento”, Sestio. Nel gioco complesso delle corrispondenze musicali e nella raffinatezza della introspezione psicologica ( specie nelle “Arie” ), Mozart esprime tutta la gamma del sentimento umano, rivelando una insospettata modernità non solo sul piano estetico e stilistico ma anche per la testimonianza del bisogno di “dolcezza” nel giudicare, ch’egli ascrive al Re di Boemia Leopoldo II in occasione della sua incoronazione ( 1792 ). Il critico Bernhard Paumgartner vi trova “un che di imponderabile. di commoventemente umano, qualcosa che non vuole rinnegare il suo creatore neppure in quella forzata situazione di conflitto” ( cfr, Amedeo Poggi ed Edgar Vallora, “Mozart. Signori, il catalogo è questo!”, Torino 1991 e 2006 ). Non sembrano affatto peregrine queste “tracce” del diritto mite, in una stagione in cui – mentre si cerca una via per la corretta risoluzione del problema dell’affollamento delle carceri ( oggetto di censura a carico dell’Italia da parte della Corte Europea )- ancora si persegue lo schema “controriformistico” della carcerazione preventiva o della susseguente demonizzazione dell’avversario ideale per via giudiziaria.

Giuseppe Brescia

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Giuseppe Brescia
Filosofo storico e critico, medaglia d'oro del MIUR, Premio Pannunzio 2013 e Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica,Componente dei Comitati per le Libertà, ha procurato di innestare storicismo epistemologia ed ermeneutica. Dopo la fase filologica('La Poetica di Aristotele','Croce inedito' del 1984 ),ha espresso un sistema in quattro parti: 'Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva', 'Epistemologia come logica dei modi categoriali', 'Cosmologia', 'Teoria della Tetrade', 1999-2002).Per Albatros ha pubblicato il commento alla lezione di Popper in'Maledetta proporzionale' (2009,2013);'Massa non massa.I quattro discorsi europei di Giovanni Malagodi'(2011);'Il vivente originario'(saggio sulla filosofia di Schelling, con prefazione di Franco Bosio, Milano 2013); 'Tempo e Idee. Sapienza dei secoli e reinterpretazioni', con prefazione di Bosio (2015).I temi del tempo e del 'mondo della vita' si intrecciano con le attualizzazioni del 'male', da '1994'.Critica della ragione sofistica (1997), 'Orwell e Hayek', 'Ipotesi su Pico'(2000 e 2002) sino al recente'I conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male'(Bari 2015).E' Presidente della Libera Università 'G.B.Vico' di Andria

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