Elezioni USA

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Barack Obama ha vinto il suo secondo termine in una nazione profondamente divisa. Etnicamente divisa. Lo si può constatare già al primo colpo d’occhio: i due discorsi conclusivi della campagna elettorale dei candidati, i giorni precedenti le elezioni.
Comizio di Obama: una folla multicolore di 24mila persone di tutte le etnie, uomini e donne single, stranieri accorsi ad assistere all’evento, giornalisti adoranti.
Comizio di Romney: anziani, famiglie con bambini, tutti americani, tutti di un solo colore (il bianco).
Sono due Americhe opposte quelle che si sono affrontate. Il colpo d’occhio non tradisce. Le statistiche lo dimostrano. Romney ha conquistato la vecchia America bianca, ormai avviata all’estinzione. Ha preso il voto del 60% dei cittadini “di etnia caucasica” (con cui si indicano, nei documenti, tutte le etnie europee). Obama ha conquistato tutte le minoranze non bianche: il 93% degli afro-americani, il 71% dei latino-americani, il 75% degli asiatico-americani. Fino a venti, trenta anni fa, per un candidato era sufficiente conquistare una maggioranza bianca per diventare presidente. Adesso si deve passare attraverso il consenso di tutte le multicolori popolazioni americane, più o meno recentemente acquisite, sempre più numerose e soprattutto sempre più attive nella politica.
Si impone una riflessione per ogni liberale degno di questo nome. Il messaggio di Mitt Romney era inequivocabilmente liberale, per lo meno in tutti i temi che contano (economia, fisco, federalismo, commercio internazionale, politica estera). Era conservatore su tutte le questioni morali (aborto, coppie omosessuali, ricerca scientifica), ma non è su queste ultime che ha puntato nella sua campagna. Il suo messaggio era semplicemente: meno statalismo, meno centralismo, più iniziativa individuale. Un messaggio indubbiamente liberale. Rafforzato dalla realtà dei fatti: il bilancio fallimentare delle politiche socialiste di Barack Obama, che hanno causato una persistente disoccupazione e un notevole rallentamento della crescita.
Ebbene: nonostante l’economia che langue, questo messaggio liberale ha convinto solo i bianchi d’America. Ed è stato respinto con forza da tutte le altre etnie.
Dall’altra parte, Barack Obama ha proposto una politica inequivocabilmente socialista. Ed è stato accolto a braccia aperte da tutte le comunità extraeuropee che vivono negli Stati Uniti.
Questo vuol dire che è in corso una trasformazione demografica, prima ancora che politica, degli Stati Uniti. Man mano che crescono le popolazioni di immigrati, man mano che anche la nativa comunità afro-americana acquista peso politico, il messaggio liberale e individualista perde la sua presa. Considerando che i latini e gli asiatici sono in costante aumento demografico, andando avanti di questo passo gli Usa perderanno la loro tradizionale libertà? Sì, nella peggiore delle ipotesi. Ma solo se il liberalismo si suiciderà (o verrà ucciso) culturalmente, nei media e nelle università.
La libera iniziativa, i diritti individuali, il federalismo, non sono “cose da bianchi”, ma valori universali. Per un immigrato e per chiunque sia in difficoltà è facile cadere nella tentazione di dipendere da un sussidio di Stato, o di un posto pubblico facile, o di una serie di privilegi (dalla borsa di studio all’assunzione stabilita da una quota etnica). Ma, alla lunga, l’assistenzialismo non paga, perché trasforma l’individuo in un cittadino di serie B, protetto, ma tenuto in basso, sostenuto economicamente, ma non libero. E una volta persi i diritti individuali, è molto difficile riconquistare la libertà. Chiunque può realizzare questo pericolo, indipendentemente dalla sua origine, etnia, colore della pelle. Gli immigrati che arrivano in America, con tanta voglia di lavorare e un buono spirito imprenditoriale, dovrebbero essere i primi a sposare i valori della libertà individuale. Se non lo sono, è solo perché, sulla loro strada incontrano dei liberali conservatori che si comportano da razzisti. Che considerano alienato il loro consenso già in partenza. E non vedono l’ora di tornare a discriminali o di rispedirli al mittente. E, dall’altra parte, perché incontrano dei professori, dei filantropi, dei volontari, dei giornalisti e dei magistrati che promettono loro protezione tramite qualche forma di assistenzialismo statale.
Si può essere più o meno contenti della vittoria di Barack Obama. Più o meno frustrati per la sconfitta di Mitt Romney. Ma una cosa deve essere chiara per tutti: se le idee di libertà divorziano dalla pelle non bianca, il nostro futuro sarà totalitario.

Stefano Magni

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