Einaudi: né utopie, né miracoli

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“Per “L’Albatros” Aldo Mola presenta Luigi Einaudi: non solo un grande economista liberale, ma anche e soprattutto un grande esempio per l’Italia dei nostri giorni”.

 

Ma in un Paese che ha 2000 miliardi di debito pubblico quale attualità ha mai Luigi Einaudi? Scienziato della finanza, governatore della Banca d’Italia dal 5 gennaio 1945, ministro del bilancio nel governo De Gasperi dal 31 maggio 1947, presidente della Repubblica dall’11 maggio 1948 al 25 aprile 1955, Einaudi dedicò la lunghissima vita (Carrù, 24 marzo 1874-Roma, 30 ottobre 1961) al bene dell’Italia che per lui, senatore dal 1919, fu anzitutto il Regno d’Italia. Lo evocò a ciglio asciutto in “Ricordi e divagazioni sul Senato vitalizio”, scritto nel 1947 e lasciato “in bozze” sino alla fine del “mandato, perché il presidente deve “rimanere estraneo alle controversie di parte”. Era il suo stile austero, come ricorda Tito Rizzo in “Parla il Capo dello Stato” (Gangemi).
Il liberalismo è dottrina. Rigorosa. Ogni compromesso con concezioni diverse dell’economia politica (altra cosa dalla politica economica) e della finanza è come il coltello ficcato nell’albero. Più va a fondo, più lo ferisce e ne segna la sorte: avrà ancora radici e fronde e fiori, ma è vulnerato per sempre. Maestro insigne di scienza delle finanze e studioso di storia, a cominciare dal Vecchio Piemonte e dal nesso tra commercio ed emigrazione (il suo Principe mercante conobbe immediato successo), Einaudi bene sapeva che i governi rispondono a pulsioni irrazionali anziché a dettami scientifici. La storia, che ne è il risultato ultimo, è impastata di sangue, guerre, stermini. Ingordigia di popoli, di potenti e di appetenti impotenti. Un groviglio di nobili ideali e di egoismi sfacciati: conflitto insoluto tra l’aspirazione a costituire la comunità internazionale e gli imperialismi. Perciò Einaudi insegnò che, per non esserne travolti e sommersi, occorre tenere dritta la barra verso la stella polare dei principi ideali, senza ingenuità ma senza tentennamenti.
La sua coerenza di scienziato e di uomo politico in senso alto del termine è stata al centro del convegno organizzato a Roma dalla Fondazione Luigi Einaudi nel 50° della nascita. Se l’albero si riconosce dai frutti, hanno ragione il presidente attuale, Mario Lupo, e il suo predecessore, l’architetto Roberto Einaudi, nipote dello Statista, a segnare nell’attivo della Fondazione non solo le pubblicazioni, i seminari di studio, l’archivio (ne scrivono Giovanni Orsina, Domenico da Empoli e altri a documentazione del “liberalismo senza aggettivi”) ma anche le centinaia di assegnatari di borse di studio. Tra i molti basti ricordare Mario Monti e Anna Maria Tarantola, Giuseppe Vegas, Franco Passacantando, Fiorella Kostoris Padoa Schioppa, Fabrizio Onida, Sandro Rogari, Gabriele Galateri di Genola…

Einaudi, non è però una sorta di etichetta su un cippo, una reliquia del passato remoto, condannato a essere sommerso dalla polvere del tempo. Lo prova la Scuola di Liberalismo diretta da Enrico Morbelli, sorta nel 1988 come costola della Fondazione, e proiettata nel mondo universitario quando il pensiero liberale sembrava destinato a fatale declino. I suoi capisaldi scientifici e ideali vengono ribaditi nella sua edizione del 2013 Roma con lezioni di Gianfranco Pasquino, Dino Cofrancesco, Valerio Zanone, Alberto Mingardi e altri (www.fondazione-einaudi.it).
Per impulso di Roberto Einaudi e di concerto con la Fondazione Camillo Cavour presieduta da Nerio Nesi la Fondazione di Roma ha ora ideato il progetto “Piemonte per l’Italia”, che realizza un Museo diffuso sulle tre figure centrali della costruzione dello Stato italiano nell’Europa dell’Otto-Novecento e nella comunità internazionale: Camillo Cavour, Giovanni Giolitti (fulcro del Centro europeo Giovanni Gioliti per lo studio dello Stato, con le sedi di Dronero e di Cavour), e, appunto, Luigi Einaudi, la cui opera è ripercorsa nella mostra già allestita al Quirinale e definitivamente ospitata a Dogliani. Il Piemonte non sta a guardare. Lo si vede datanti altri “cantieri”: la Fondazione Burzio di Torino, l’Associazione Costantino Nigra a Castelnuovo Nigra, presieduta da Roberto Favero, la gloriosa Fondazione Einaudi di Torino e la “cattedra Einaudi” animata da Angelo Maria Petroni per iniziativa della Presidente della Provincia di Cuneo, Gianna Gancia, che ha realizzato il cd “Luigi Einaudi. Guida alla lettura e Antologia degli Scritti”. Come recitata il motto della Corda Fratres, federazione internazionale degli studenti, “Quel che era torna e tornerà per sempre”. Così è del liberalismo: patrimonio di una esigua minoranza, perseguitata come ereticale, spesso conculcata, eppure mai chiusa in spocchioso isolamento, bensì volta a seminare. Ve n’è gran bisogno in un Paese come l’Italia, che oggi sbatte le ciglia scoprendo di avere un indebitamento pubblico di 2.000 miliardi di euro e se ne domanda le ragioni. Scorda che per decenni visse in una visione profondamente falsa del rapporto tra entrate e spese, mentre governo e parlamento calavano sui cittadini la cappa plumbea del socialismo reale, drappeggiato nei rosei veli del socialismo utopistico e del miracolismo cattolico: due volti di una concezione della vita e della storia che alterna carnevale e quaresima e svuota dall’interno ogni possibilità di Natali veri e di Pasque di resurrezione.

Aldo A. Mola

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Aldo Mola
Aldo Alessandro Mola (Cuneo, 1943) dal 1967 ha pubblicato saggi e volumi sulla storia del Partito d'Azione e di Giustizia e Libertà, della massoneria e della monarchia in Italia. Direttore del Centro Giovanni Giolitti (Dronero- Cavour) ha coordinato Il Parlamento italiano, 1861-1994 ( Nuova Cei, 24 voll.). Il suo Giolitti, lo statista della Nuova Italia è nei “Classici della Storia Mondadori”. Tra le opere recenti, Italia, un paese speciale (4 voll.)

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