Che cosa insegnano i funerali di Chavez

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Mi scuserete se non piango la morte di Hugo Chàvez. Il presidente venezuelano, benché eletto più o meno democraticamente, era un dittatore: fin qui nulla di strano. Anche Hitler era andato al potere democraticamente, e a suo modo anche Stalin. Non è insomma la sua anima di tiranno che mi impedisce di considerare con benevolenza i due milioni di venezuelani che hanno sfilato davanti alla sua bara a Caracas (sempre che poi il suo corpo fosse davvero chiuso là dentro). E anche le manifestazioni di pietà popolare, si sa, sono perfettamente compatibili con la natura sanguinaria dei dittatori: i meno giovani ricorderanno i fiumi di lagrime versati per Stalin, e c’è da giurare che, se fosse morto nel suo letto, anche Hitler avrebbe goduto del suo bagno postumo di folla.
No, se non piango per Chàvez non è per un giudizio politico sull’uomo, ma per quello che il suo regime ha rappresentato, persino nel momento estremo della morte.
Consideriamo i tre capi di Stato più importanti che sono sfilati davanti alla sua bara: Raul Castro, Lukashenko, Ahmadinejad. Cuba, Bielorussia, Iran. Tre rappresentanti simbolici del totalitarismo e della sua capacità di reincarnarsi.
Postcomunismo caudillista, il regime di Castro. Nazicomunismo postsovietico, quello di Lukashenko. Islamismo radicale, nel caso di Ahmadinejad. Ciascuno di questi tre anomali Re Magi guidati da un stella cometa totalitaria, e accorsi a Caracas, impersona, per così dire, un caso di scuola nello sviluppo del totalitarismo.
Essi rappresentano infatti la capacità di evolversi, mimetizzandosi, del virus totalitario primigenio. All’Avana mescolando autoritarismo, polizia segreta, terrore diffuso, ma anche puntando su una versione populista e “antimperialista” del castrismo. A Minsk sfruttando razzismo nazionalista, repressione di stampo bolscevico e mafia economica filorussa. A Bagdad pervadendo di ideologia religiosa intollerante e radicale tutti i gangli di una società intimidita, benché di sua natura permeabile alla cultura e ai valori occidentali. A Caracas, infine, abbiamo assistito negli anni di Chàvez al consolidarsi di un potere totalitario affine agli altri tre, sia pure in salsa petrolifera e sudamericana: con in più l’ambizione di prolungarsi nel tempo, guidare una unione economica anti-occidentale (il MercoSur), cancellare definitivamente il dissenso, proporsi come modello politico e possibilmente trovare nel mondo nuovi propagadisti.
Il totalitarismo, in conclusione, non è cosa da libri di storia. Esso è’ vivo, ma cambia costantemente aspetto, si adatta alle circostanze, adotta sempre nuove strategie per aggirare i vaccini democratici. Il chavismo, come ciascun regime dei suoi tre alleati, rappresenta insomma l’incarnazione di un virus mutante.
Intanto… l’Europa pensa a imporre le sue quote di produzione dello zucchero e del latte, nonché le sue quote rose nelle aziende e le sue Tobin tax sulla transazioni commerciali. E l’America di Obama tratta con i talebani in Afghanistan, tende la mano al fratello musulmano Morsi in Egitto, e per il resto si affida ai suoi droni.

Gaston Beuk

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Gaston Beuk
Gaston Beuk è lo pseudonimo di un noto giornalista e scrittore dalmata. Si definisce liberale in economia, conservatore nei valori, riformista nel metodo, democratico nei rapporti fra cittadino e politica, federalista nella concezione dello Stato e libertario dal punto di vista dei diritti individuali.

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