Basta con gli elogi alla Grande Guerra

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Ma è proprio vero che una guerra è davvero necessaria per il progresso

Sempre più si fa strada la sopravvalutazione di taluni “effetti collaterali” della Grande Guerra, che trasformerebbe l’ “inutile strage” (Benedetto XV) in calamità benefica. Secondo tale interpretazione, astigmatica e miope, è vero che il conflitto costò, più o meno, venti milioni di morti ammazzati e altrettanti o più di mutilati, feriti, istupiditi; è vero che dette la stura ai totalitarismi (a cominciare dai bolscevichi di Lenin, i primi a vincere la partita con la conquista del potere in Russia, la liquidazione dello zar Nicola II; e poi il fascismo in Italia, il Partito nazionalsocialista del lavoro di Hitler); però – viene insinuato – senza la guerra non si sarebbe verificata la spettacolare accelerazione di scienze, tecnologie e diffusione dei loro benefici. L’aviazione non avrebbe compiuto il grande balzo se non avesse avuto Francesco Baracca e il “Barone Rosso” von Richtofen. Non solo. Senza centinaia di migliaia di corpi umani maciullati da rimettere in sesto alla bell’e meglio, la chirurgia non avrebbe fatto tanti e rapidi passi avanti. Questa cieca fiducia nelle “umane sorti e progressive”, già fustigata da Giacomo Leopardi, è corroborata dalla convinzione che l’eliminazione di quattro imperi (Russia, Austria-Ungheria, Germania e turco-ottomano) abbia spianato la via a maggiore libertà e benessere per tutti.
L’identificazione di guerra, rivoluzione e progresso è una forma di fatalismo che giustifica qualunque aberrazione con la vaga promessa (o speranza) di un futuro sicuramente migliore. Ne abbiamo avuto un recente saggio con la nefasta apertura di credito verso la catastrofica “Primavera araba”. In realtà, ben prima della Conflagrazione europea del 1914 le scienze avevano compiuto passi da giganti senza bisogno di un’ecatombe umana e del caos finanziario e monetario generato dalla guerra. Diversamente, tanto varrebbe sostenere che senza lo sterminio delle popolazioni indigene le Americhe sarebbero non sarebbero progredite e senza i conflitti tra opposti fanatismi (islamici contro cristiani e viceversa) il commercio nel Mediterraneo sarebbe stato meno intenso.
Il sotterraneo elogio della Grande Guerra (un prezzo che l’umanità doveva pagare per divenire adulta: una sorta di deflorazione dell’Europa della Belle Epoque, altrimenti adolescente precocemente avvizzita) sottintende quello del comunismo sovietico, del fascismo e del nazionalsocialismo quali regimi acceleratori della modernizzazione. In tale visione, il modello politico prebellico era grigio, fatalmente “condannato dalla storia”: formula, codesta, buona per tutti gli usi.

Aldo A. Mola

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Aldo Mola
Aldo Alessandro Mola (Cuneo, 1943) dal 1967 ha pubblicato saggi e volumi sulla storia del Partito d'Azione e di Giustizia e Libertà, della massoneria e della monarchia in Italia. Direttore del Centro Giovanni Giolitti (Dronero- Cavour) ha coordinato Il Parlamento italiano, 1861-1994 ( Nuova Cei, 24 voll.). Il suo Giolitti, lo statista della Nuova Italia è nei “Classici della Storia Mondadori”. Tra le opere recenti, Italia, un paese speciale (4 voll.)

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