Tutti noi abbiamo davanti agli occhi la vicenda Alitalia: dopo decenni di perdite (l’Alitalia ha chiuso in utile solo pochi bilanci) dovute a sprechi, gestione clientelare et similia si era deciso di cedere il tutto a Air France. Ma interessi elettorali al grido di “non è possibile che un paese come l’Italia non abbia una compagnia di bandiera” fecero fallire l’accordo. Si succedettero iniziative diverse, tutte fallite (abbiamo ancora due fallimenti Alitalia aperti) finché abbiamo praticamente regalato il tutto alla Lufthansa. E pazienza se l’Italia non ha più una compagnia di bandiera: nei servizi interni regnano Ryanair e Easyjet e da Malpensa fanno servizio con la Cina 6 compagnie, eccetto ITA.
Stesso copione sembra ripetersi pari pari con l’Ilva: ceduta per disperazione dall’IRI a privati ha cominciato un calvario di denunce, sequestro di impianti, mancate autorizzazioni è stata praticamente rinazionalizzata un paio di volte al grido di “un Paese come l’Italia non può non avere un produttore nazionale di acciaio”.
Ora si cerca di venderla a improbabili compratori (azeri o ucraini o fondi semisconosciuti) accollando allo stato costi miliardari per l’ambiente, migliaia di lavoratori in cassa integrazione ad libitum con permessi e autorizzazioni ancora tutte da ottenere.
Sono questi i risultati di una (non) politica industriale che privilegia gli interventi palliativi, i salvataggi in extremis, la creazione di consenso anziché fare scelte razionali e ponderate. Nel caso dell’Ilva occorre rispondere a una sola domanda: serve ancora e quale futuro ha un’acciaieria in Italia? Se la risposta è “si” si prepari un piano chiaro e fattibile di rilancio (magari nazionalizzando per un certo periodo), se è “no” mettiamoci una pietra sopra e facciamo di Taranto un bel giardino (lo hanno già fatto i tedeschi ad Essen) e andiamo a comprare l’acciaio dal miglior offerente.
Tutte due le soluzioni sarebbero comunque meno costose e più valide rispetto al traccheggiare e rinviare il problema in attesa di chissà quale colpo di fortuna: o meglio, sperare di rinviare la patata bollente al prossimo governo senza rischiare di perdere voti. Una soluzione tipicamente all’italiana.
di Angelo Gazzaniga