Venezuela, populismo e rivoluzione

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Stefano
E’ assolutamente comprensibile che la ribellione ucraina contro Yanukovich stia monopolizzando l’attenzione dei media che si interessano di politica estera. E’ molto meno comprensibile, però, che i media ignorino completamente un’altra ribellione di dimensioni notevoli, contro il regime (non governo: regime) del presidente Nicolas Maduro, in Venezuela.
Ha fatto molto scalpore la morte della giovane Genesis Carmona, 23 anni, già Miss Turismo. Il Venezuela, appunto, da noi è famoso solo per le miss, per i ristoranti aperti da emigranti italiani e per le spiagge incontaminate di Los Roques, dove è morto Vittorio Missoni. Ora, in ogni caso, non è il momento di andarci in vacanza. Non è più tempo di emigranti italiani: Hugo Chavez prima, Nicolas Maduro ora, li hanno cacciati praticamente tutti, nazionalizzando le loro proprietà o svendendole a uomini vicini al loro Partito Socialista Unito. E non è nemmeno più tempo di miss: la Carmona è stata colpita alla testa, da un proiettile sparato da una delle squadracce bolivariani i fedelissimi del presidente Maduro.
La ribellione attuale è nata da un movimento studentesco. Il 12 febbraio scorso era la Giornata della Gioventù, festa ufficiale incoraggiata dal governo. Gli studenti, però, cogliendo di sorpresa organizzatori e forze dell’ordine, hanno iniziato a inscenare manifestazioni contro il governo. Le proteste durano tuttora, in un’escalation di violenza di cui non si vede la fine: le squadre di picchiatori e membri di partito, sindacalisti pro-presidente e dipendenti statali (soprattutto quelli impiegati nella grande industria petrolifera) non scherzano, scendono in piazza armate, sparano sugli studenti con armi vere. I ragazzi contestatori non chiedono l’impossibile. Protestano perché nei negozi e supermercati mancano generi di prima necessità, come la carta igienica, ironicamente sventolata dai manifestanti. E perché nelle strade ogni giorno si rischia la vita: il Venezuela è attualmente uno dei Paesi più pericolosi del mondo, con un tasso di mortalità per aggressioni violente superiore addirittura a quello del Messico della guerra alla droga, o di due Paesi ancora in conflitto, quali Iraq e Afghanistan. Ecco: gli studenti chiedono sicurezza e beni di prima necessità sugli scaffali. La mancanza dell’una e degli altri è giustamente attribuibile al presidente Maduro, all’eredità di Hugo Chavez e alla politica del loro Partito. Il Venezuela è la dimostrazione che rinunciare alla libertà non risolve né il problema della fame, né quello della sicurezza.
Nel Paese latino-americano non c’è mai stato un golpe. Chavez, quando era giovane, ci aveva provato nel 1993 ma aveva fallito. Il Venezuale, teoricamente, è sempre rimasto un Paese democratico. Ma il presidente Chavez, dal 1999 all’inizio del 2013, quando si ammalò troppo per continuare a governare e cedette il trono a Maduro, erose gradualmente la libertà. Soppresse prima di tutto la libertà: nazionalizzazione dell’industria petrolifera, parziale nazionalizzazione della medio-piccola impresa, cacciata di tutti gli imprenditori e lavoratori stranieri, cacciata delle multinazionali, confisca delle terre. Parallelamente ha eroso la libertà di stampa, ha iniziato a chiudere o a far proprie tutte le televisioni. E infine, a partire dalla prima ribellione (o “golpe” come lo definisce la storiografia venezuelana) del 2002, è iniziata la repressione politica vera e propria, con l’arresto di oppositori e l’intimidazione degli elettori. Oltre all’aspetto repressivo, il totalitarismo democratico di Chavez non ha neppure trascurato le strategie attive: la rieducazione della popolazione e la nascita di un “uomo nuovo” venezuelano, attraverso opere di carità e formazione dette “misiones” (dove lavorano anche molti cubani), l’indottrinamento dei quadri civili e militari agli ideali del bolivarismo e l’introduzione di una vera e propria polizia parallela, costituita da squadre armate fedeli al partito. Chavez prima e Maduro poi, si ripropongono di ricreare un clima rivoluzionario in tutta l’America del Sud, con la benedizione di Cuba. La loro filosofia di governo, tuttavia, non può essere equiparata al vecchio marxismo-leninismo sovietico dei fratelli Castro. E’ una rivoluzione populista di tipo nuovo, che mischia elementi di anti-colonialismo (il mito della liberazione dalla Spagna di Simon Bolivar, che dà il nome al movimento), indigenismo (priorità agli interessi degli indios) e anti-imperialismo (tutto ciò che può essere fatto contro gli Stati Uniti va fatto). Con Maduro, questa ideologia ha assunto anche connotati mistici e religiosi: Chavez, dopo la sua morte, è rievocato in apparizioni, da solo a accanto a Cristo, parlando nel nome della liberazione del popolo, come nella miglior tradizione del comunismo cattolico.
La crisi attuale affonda le sue radici proprio in questa politica. La presenza massiccia di squadre armate irregolari e la distruzione sistematica del diritto di proprietà hanno infatti eliminato ogni normale concetto di ordine pubblico, precipitando il Paese in un caos crescente di criminalità. Le nazionalizzazioni e la politica economica di redistribuzione della ricchezza hanno creato le premesse per la crisi economica. Nicolas Maduro, in particolare ha dato il colpo di grazia a un sistema già vacillante. Le nazionalizzazioni, infatti, avevano provocato disfunzioni a tutti i livelli, comprese crisi energetiche con numerosi blackout (in un Paese uno dei maggiori estrattori di petrolio al mondo), code alle pompe di benzina, mancanza di beni di prima necessità, crescita del mercato nero e inflazione, arrivata a toccare il 54% alla fine dell’anno scorso. Maduro non è un economista sofisticato, non si pone troppi problemi e vedendo il rialzo dei prezzi ha mandato l’esercito a occupare catene di supermercati (i Daka) e ha imposto prezzi politici. L’occupazione dei supermercati ha causato, a sua volta, un’ondata di orrendi saccheggi tacitamente approvati dal presidente. Accusando gli imprenditori di alimentare l’inflazione, Maduro, con un discorso incendiario televisivo contro i “parassiti borghesi”, ha lanciato una campagna di arresti. Più di 100 imprenditori sono finiti dietro le sbarre, altre multinazionali, fra cui la Goodyear, sono state attaccate.
I saccheggi e i prezzi politici non hanno fatto altro che aggravare i problemi che avrebbero dovuto risolvere. In primo luogo hanno ulteriormente distrutto l’ordine pubblico. Poi, come prevedibile quando vengono imposti calmieri sui prezzi, tutti i beni di prima necessità sono spariti, rendendo ancor più florido il mercato nero. E allora la ribellione è scoppiata. Ma non dappertutto. Si sono sollevati solo quei settori della società che hanno tutto da perdere: gli student che vedono sparire il loro futuro e quel che resta dei ceti produttivi. Gli statali, invece, devono tutto a Chavez e Maduro, sono maggiormente inquadrati nelle organizzazioni di partito e non si saldano alla protesta. Anzi, in molti casi sono loro a unirsi alle squadre di bolivariani che sparano sugli studenti. La protesta, dunque, non riesce a coinvolgere tutto il popolo e Maduro coglie questo pretesto per scatenare contro gli insorti tutta l’ira populista, tuonando dalla televisione per linciare verbalmente i “fascisti”, cioè gli studenti manganellati da polizia e braccati dai bolivariani. E alcuni, in Italia, ci credono. E scrivono che in Venezuela è in corso un tentativo di golpe fascista. Maduro accusa l’America per le disgrazie economiche ed ora punta il dito su Washington per lo scoppio dell’insurrezione. I diplomatici e i giornalisti della Cnn sono stati cacciati dal Paese. E anche qui, in Italia, c’è qualcuno che ci crede e lo scrivono. Ma il grosso dei giornalisti, preferisce non parlare e non scrivere sul Venezuela, relegandolo a qualche trafiletto. Il populismo, dalle nostre parti non è molto dissimile da quello di Maduro. Il Venezuela, un domani potremmo essere noi.

Stefano Magni

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