Ucraina e Siria: la disinformacija dei giorni nostri

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stefano
Chi diffonde la peggiore disinformazione suggerita dalla Russia: gli anticomunisti

Ai tempi della Guerra Fredda, avevamo in casa una guerra culturale fra una visione del mondo liberale ed una comunista, con tante sfumature fra questi due estremi. I due blocchi erano chiari e dichiarati. Oggi questo tipo di conflitto non c’è più. Eppure c’è un cozzo ancora più grave e sconcertante: quello del populismo contro la realtà. Sempre più italiani, anche moderati, sfidano platealmente l’evidenza dei fatti e propongono, spesso in modo assertivo e arrogante, realtà parallele, ideologiche, a volte anche mistiche. E rendono impossibile ogni discussione.
Si può cercare di discutere sugli errori dell’Ue in Ucraina, sull’atteggiamento altalenante e ambiguo degli Usa, sui problemi che dividono il sudest del Paese dalle sue regioni più centrali e occidentali. Si possono fare tanti dibattiti riguardo quella crisi ai confini orientali dell’Europa. Ma non ci si riesce. Perché ci si scontra con una massa di prepotenti che ti zittiscono con violenza e arroganza da squadristi, affermando che la rivoluzione del Maidan è un’operazione coperta della Cia, che i democratici ucraini sono in realtà nazisti pagati da Washington, che in Ucraina combattono truppe regolari americane, che in Crimea i russi non ci sono mai andati, ma che la regione si è staccata dopo un “regolare” referendum votato dal 98% di cittadini locali. Chi sostiene queste tesi è convinto di dire l’unica verità. Se gli si fa leggere qualunque articolo che dimostri il contrario, risponde che non si fida dei “grandi media” (come se fossero tutti uguali) e quando rivela le sue fonti, elenca solo media di Stato russi (Russia Tv, Ria Novosti, Voce della Russia) o media italiani dichiaratamente vicini alla causa di Putin. Per lo squadrista mediatico putiniano, che non accetta alcuna discussione e impone la sua verità, questi sono gli unici media “indipendenti”, ignorando il fatto (o sapendolo e approvandolo) che, almeno i media di Stato russi, agiscono solo in base alle direttive del Cremlino. E che solo in una democrazia liberale, dunque non in Russia, esistono media realmente indipendenti.
Della Siria non ci si occupa, però tutti si occupano dell’Isis, che fa ovviamente paura a chiunque. Ma la grande rimozione della Siria e della sua guerra civile, la più sanguinosa dall’inizio del XXI Secolo, non permette di capire cosa sia l’Isis (e nemmeno l’ondata di profughi dal Mediterraneo). Della Siria non si parla, ma in compenso si parla di Assad. E molto spesso e volentieri se ne parla bene, da parte degli stessi squadristi mediatici putiniani. Il dittatore siriano, che pur di non rinunciare al suo potere personale, con l’appoggio della Russia ha disintegrato il suo Paese in tre anni di guerra civile (forse si contano fino a 200mila morti, secondo le ultime stime) è spacciato dagli squadristi mediatici come il baluardo del cristianesimo nel Medio Oriente. Si dimentica o si trascura deliberatamente la persecuzione dei cristiani in Libano, voluta da Assad (padre) e i finanziamenti a movimenti integralisti islamici ad opera di Assad (figlio). Non leggendo mai nulla sulla guerra civile siriana, nessuno capisce come sia nato l’Isis. Ma proprio per questo si è data per buona la versione della storia fornita dal regime di Assad: “contro di me ci sono solo terroristi”. E così, chi osa parlare male di Assad viene accusato, dagli squadristi mediatici, di essere filo-Isis. Nessuno dice che la resistenza contro Assad, in origine, era composta da una maggioranza di laici e che anche i cristiani e i curdi ne facevano parte. Nessuno dice che l’Isis è nata dalla scissione di una costola estrema della resistenza anti-Assad. E nessuno si azzarda a dire che, paradossalmente, l’Isis è stata la meno colpita delle fazioni in lotta contro i governativi siriani, quella meno perseguitata. I governativi hanno dato loro una sorta di salvacondotto, finché il fenomeno non è dilagato. Perché? Perché l’Isis combatteva contro gli altri gruppi della resistenza anti-Assad, dunque era persino funzionale al regime. Ma per lo squadrista mediatico putiniano, queste distinzioni sono troppo sottili, lui preferisce urlarti in faccia “O stai con Assad o stai con l’Isis”. E poi, come nel caso della crisi ucraina, ti zittisce con teorie del complotto: l’Isis è creato dagli americani e ti mostra una foto che ritrae il senatore John McCain con alcuni signori barbuti. Quei signori non sono dell’Isis, sono altri esponenti laici della resistenza anti-Assad, ma nella foto che lo squadrista ti mostra c’è la didascalia (originata da una notizia falsa divulgata dalla Tv Al Manar, di Hezbollah): “John McCain incontra Al Baghdadi e altri fondatori dell’Isis”. E allora quella diventa la “verità”. Altri squadristi più hard core, ti dicono invece che l’Isis è stato creato dal Mossad. La stessa cosa che dicono anche gli integralisti islamici per giustificare i loro “fratelli musulmani che sbagliano”. Ma lo squadrista mediatico te lo dimostrerà dicendo che “lo dicono gli stessi israeliani” e ti farà leggere estratti estrapolati da un agente in pensione, che probabilmente intendeva tutt’altro. Oppure ti spara “Lo dice anche la Clinton” e ti fa leggere estratti estrapolati e mal tradotti di un’intervista in cui l’ex segretaria di Stato americana diceva tutt’altro: che gli Usa avrebbero dovuto intervenire prima e, non facendolo, hanno permesso all’Isis di nascere e crescere fra Siria e Iraq.
Purtroppo gli squadristi mediatici di destra ed estrema destra, iniziano ad allungare le mani anche su un terreno che finora era sacro: la Cina. Vuoi vedere che Piazza Tienanmen era un’operazione coperta della Cia? Vuoi vedere che gli studenti che hanno protestato pacificamente a Hong Kong, per chiedere democrazia e suffragio universale, sono pagati dagli americani? Questi dubbi iniziano a vedersi su siti e blog populisti e vengono argomentati con analogie cospirative: se il Maidan è “un’operazione coperta della Cia” e sempre l’America “ha creato l’Isis” per “destabilizzare il Medio Oriente”, allora anche Hong Kong, se si ribella, è un’operazione coperta della Cia. E’ una tesi ancora minoritaria (per fortuna), ma presto la vedremo impazzare su questi schermi, semmai la crisi di Hong Kong dovesse scoppiare di nuovo e con maggior vigore.
E’ fantastico vedere come tutti questi squadristi mediatici usino gli stessi argomenti, gli stessi esempi, mostrino le stesse foto, facciano le stesse citazioni virgolettate. Sembrano compatti, addestrati, inquadrati da una spettacolare macchina della propaganda, più efficiente ancora di quella nazista o comunista, perché non ha nemmeno bisogno di scuole di partito. Eppure non lo sono. Sono veramente spontanei. Il perché di questa moda è difficile da capire. Una spiegazione scontata è la crisi economica: sono persone colpite (economicamente, o anche solo moralmente) dalla più lunga crisi economica mai vissuta e se la prendono con le democrazie occidentali. Dunque danno retta ai loro nemici. Una spiegazione meno scontata è l’egemonia marxista nella cultura, che prosegue anche dopo la fine dei partiti marxisti e riguarda anche persone che marxiste non lo sono mai state. Però, è il marxismo che asserisce che prima arrivano gli interessi materiali (struttura) e su di essi si costruiscono le ideologie (sovrastruttura). Siamo talmente abituati a imparare a leggere il mondo in questa chiave che, anche oggi, tendiamo a vedere lotte su interessi economici dietro ad ogni conflitto, anche se non abbiamo mai voluto leggere il Manifesto. E oggi ci sono due macro-fenomeni che stuzzicano l’attenzione della mente marxista: la crisi economica statunitense e la shale gas revolution, che potrebbe rivoluzionare il mercato energetico trasformando gli Usa nel primo esportatore di gas al mondo, soppiantando la Russia. Il marxista inconsapevole, a questo punto, crede di aver capito tutto: l’America in crisi vuole vendere il suo gas in esclusiva, per potersi riprendere, ma prima deve distruggere i suoi competitor, a partire dalla Russia e dai rivali mediorientali. Il marxista inconsapevole non si mette neppure a cercare prove, per dimostrare quel che dice. Lui “sa”, che dietro alla rivoluzione del Maidan, alle primavere arabe e alla guerra civile siriana, ci sono macchinazioni statunitensi per destabilizzare il mondo. Non gli interessa nemmeno sapere cosa pensassero i ribelli siriani, per quali ideali politici e religiosi combattessero, da cosa sia nata l’esasperazione contro il regime di Assad, né vuol sapere chi siano i ribelli ucraini del Maidan, o per quale motivo abbiano sfidato un presidente corrotto per mesi e mesi, in piazza, a venti gradi sotto zero e beccandosi pallottole e manganellate. Per il marxista inconsapevole c’è solo lo shale gas. Tutti gli altri sono “marionette”.
Purtroppo, in questo periodo, c’è chi ha saputo trasformare il nostro malumore e il nostro subconscio marxista in una campagna mediatica coi fiocchi. Ed è la Russia. Da Mosca partono tutte le informazioni che servono, destinate a chiunque non vuole più credere ai “grandi media”. Il Cremlino ha investito 310 milioni di dollari quest’anno e ne investirà 400 l’anno prossimo su Russia Tv e Ria Novosti triplica il suo budget arrivando a 170 milioni di dollari. I dirigenti del Cremlino mirano a pompare la loro comunicazione multilingue destinata all’estero. In Italia possono contare su amici sicuri, che diffondono in italiano, senza discutere, tutte le loro notizie e le loro versioni dei fatti. E’ la versione di Mosca quella che spaccia Assad come baluardo del cristianesimo e riduce il conflitto siriano a uno schematico “con l’Isis o col dittatore”. E’ sempre la versione di Mosca quella che vede il Maidan come un’operazione coperta della Cia. E’ solo la televisione di Stato russa (nemmeno quella cinese) che interpreta la pacifica dimostrazione dei democratici di Hong Kong come un altro tentativo di destabilizzazione della Cia. Infine, è dai centri studi russi che parte la teoria della “destabilizzazione globale” americana, motivata dallo shale gas. Vladimir Putin ne ha parlato, personalmente, anche nella conferenza al Club Valdai, lo scorso 24 ottobre. Non è una teoria del complotto: è una politica più che esplicita. Per Vladimir Putin è normale parlare di “guerra dell’informazione”. Addirittura ha decorato i suoi giornalisti di punta per il servizio reso allo Stato. Più palese di così non si può. Ciò che impressiona maggiormente è, semmai, come così tanti, in Italia, ci siano cascati. Ciò che impressiona, se possibile, ancora di più, è che a cascarci siano quasi esclusivamente gli anticomunisti. Che, se solo avessero un minimo di cultura storica, saprebbero riconoscere il tipo di leggende e disinformazione diffuse dal Kgb, la vecchia “disinformacija”. Ora sono soprattutto gli anticomunisti a giocare il ruolo di squadristi della disinformacija. Vincitori di mezzo secolo di guerra fredda, ora vogliono la rivincita: dell’Urss.

Stefano Magni

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