TASSA SULLE BANCHE: DALLA PADELLA ALLA BRACE

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Dopo il decreto sugli extraprofitti delle banche decaduto ancor prima di nascere ecco un’altra idea per colpire gli utili delle banche.
È quella di stabilire ex lege la differenza massima tra i tassi passivi (quelli praticati dalle banche alle imprese) e quelli attivi (quelli riconosciuti a chi deposita presso di loro i fondi).
In questo modo aumenta il tasso di interesse attivo riconosciuto ai depositanti, il che automaticamente genera maggiori introiti allo Stato attraverso il capital gain.
Naturalmente si riducono le tasse pagate dalle banche (che hanno meno utili), ma vi sarebbero comunque maggiori introiti per i depositanti (i cittadini).
Ragionamento più che valido ma che nasconde una visione tutt’altro che liberale: “punire” gli utili ritenuti eccessivi in base a un decreto che ne stabilisce il livello “giusto” e soprattutto incentivare i risparmiatori a lasciare i propri soldi in banca (dove guadagneranno maggiori interessi) quando invece andrebbero incentivati a investire direttamente nelle attività produttive acquistando azioni od obbligazioni di imprese.
Perché uno dei problemi delle imprese italiane è proprio l’eccessivo indebitamento nei confronti del sistema bancario: in Italia le aziende cercano denaro non sul mercato (emettendo azioni od obbligazioni come in USA ad esempio) ma attraverso prestiti bancari spesso più onerosi e meno gestibili.

di Angelo Gazzaniga

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Angelo Gazzaniga
Presidente del Comitato Esecutivo di Libertates. Imprenditore nel campo della stampa e dell’editoria. Da sempre liberale, in lotta per la libertà e contro ogni totalitarismo e integralismo.

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