SUPERBONUS SENZA KEYNES, COTTARELLI SENZA FANTASIA

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“Se diamo retta agli esperti non facciamo niente”
Gianni Agnelli

Lo Zeitgeist vive di vita propria, e l’autos nomos tanto esaltato ma, forse, sopravvalutato, è il caso di dire, ne è plasmato a sua immagine e somiglianza; Winston Churchill non ha sconfitto Adolf Hitler, ma era in sintonia con il fallimento dell’Appeasement e anche con l’isolamento del Terzo Reich; Lucky Luciano non ha fatto lo sbarco degli alleati, ma era compatibile con lo stesso; Alan Turing del Codice Enigma non ha fermato il Fuhrer, ma il suo contributo era funzionale alla vittoria degli Alleati; infine Giorgia Meloni non provocherà la più grande crisi dal 1929, ma la mancata ratifica del Mes è compatibile con lo shock dei mercati. Perché non ha firmato il Mes? Ma perché Putin ha aggredito l’Ucraina? La realtà è ambigua e complessa, e il nemico n.1 delle fondazioni per la Società Aperta Donald Trump lo ignora ostacolando il passaggio – che sarebbe dovuto avvenire quarant’anni fa – dalla Ragione alla Fallibilità radicale. Con quarant’anni di ritardo – anche grazie, sia detto di passata, alla cocciutaggine monomaniaca della signora di ferro Margaret Thatcher – il concetto di Riflessività entrerà nell’agenda delle Cancellerie occidentali, più nel senso di George Soros che di Karl Popper che dal primo è stato aggiornato. La III guerra mondiale è compatibile con l’inedita accettazione della versione della riflessività che non è universalmente valida, ma riconosce che la ragione è inferiore alla realtà. “Sono particolarmente diffidente nei confronti del concetto di equilibrio” è la frase manifesto della Weltanschauung di George Soros. Un uomo normale, come è vero dei temperamenti ipomaniaci. Era normale Freud, è normale il filantropo ungherese, che attribuisce a se stesso la disintegrazione dell’Urss, ma forse con il trucco del “pensiero bugiardo”: egli era in linea con la Glasnost e Perestrojka, che Gorbaciov s’è trovato bella e pronta. Né Gorbaciov, né Soros hanno distrutto l’Urss. Il disastro nella centrale idroelettrica sul lago di Suviana, nel Bolognese, così come il crollo del ponte di Baltimora sono sintomi della fine di un’epoca, che non è mai incruenta. L’affondamento del Titanic nel 1912 e il colpo di pistola sparato dall’arciduca Ferdinando d’Asburgo ufficializzavano la fine della Bella époque dalle “magnifiche sorti e progressive”. Si possono prevenire queste crisi? Sarà la sfida del futuro, e chi vivrà vedrà se la versione popperiana della riflessività – che non so fino a che punto sia distante dal “punto di equilibrio” – è compatibile con la diagnosi organicista di Oswald Spengler che illuminava d’immenso Piero Ottone: la fine della nostra civiltà. Penso che la fine dell’Occidente – ogni civiltà nasce, cresce, decade e muore – possa essere democratizzata dall’ideale della Società Aperta, ma non evitata. Determinismo e organicismo s’incontrano, azione e decadenza. Forse l’Intelligenza Artificiale è compatibile con la fine dell’umanità, realizzando nella distopia uno scenario che “Matrix” più di venti anni fa aveva previsto con erasmiana lucidità, ma “non s’allargamo” come dicono a Napoli; senz’altro Trump e Xi Jinping sono due facce della stessa medaglia: l’opposizione al passaggio dalla Ragione alla Fallibilità, inaugurando il superamento dell’Illuminismo. Ma il laissez-faire avrà una rinascita, una rinascita che passerà necessariamente, inevitabilmente per un trauma molto forte. Con il crollo delle Borse senza capitali.

Keynes? Speranze tradite. Si domanda il raffinato biografo Robert Skidelsky nella sua opera magistrale “Keynes. Speranze tradite: 1883-1920”, che cosa ha scritto Keynes? Che cosa avrebbe detto se non fosse morto? Che cosa ci ha lasciato? Esegesi e pseudo-esegesi delle opere di un uomo inferiore al polytropos massiccio delle sue attività, inflessibile con se stesso e poco democratico con gli altri, com’è vero dei Grandi. Ha scritto Soros: “Probabilmente, se fosse rimasto in vita avrebbe modificato la sua ricetta”, ma è certo che morì prematuramente, stroncato da un infarto, perché negava che la sua ricetta, la sua intuizione geniale non era universalmente valida; il “diniego” era compatibile con la Teoria Generale dell’Occupazione, ma anche con la sua rovina. Morire di genialità? L’eredità principale di Keynes, non l’unica – non si può omettere di citare “Treatise on probability”, Trattato sulla probabilità e anche “Le conseguenze economiche della pace”, definito da Skidelsky un libro importantissimo, un instant book nella sua accusa al Trattato di Versailles – è la spesa in disavanzo. Ma non l’ha inventata Keynes, che da Immanuel Kant ereditò l’autocondizionamento dei “paralogismi”. La spesa in disavanzo è nella realtà.
Ma la considerazione di chi scrive è “a-scientifica”, caro Guidoriccio da Fogliano (che mi accusi di violentare la logica, e di scrivere confusamente). Cerco di avvalorare “probatoriamente” la mia dimostrazione, che però non contiene il carattere di probatio scientifica facendo mia la versione della riflessività; del resto, la teoria della riflessività non gode di statuto scientifico.
Il deficit spending esiste, e la sua scoperta è illuminante. Si trova nelle “realtà oggettive” che superano per importanza quelle soggettive. Alla fine dell’Illuminismo, non è proprio banale ragionare in questi termini… Scrive Giuseppe Colombo su “la Repubblica” di mercoledì 10 aprile: “La curva del debito torna a salire. Appena sette mesi fa, il governo aveva disegnato una linea quasi retta, ma comunque leggermente in discesa. Ora invece la penna si fa nervosa e cambia direzione. Il “bubbone” esplode dentro il Def approvato ieri (9 aprile, ndr) dal Consiglio dei Ministri: nel quadro tendenziale, l’asticella del rapporto debito/Pil salirà quest’anno al 137,8%, dal 147,3% del 2023. Poi ancora su, l’anno prossimo, al 138,9%. Per ritrovare la flessione bisognerà aspettare il 2027, quando calerà di due decimali, al 139,6%, ma rispetto al picco del 139,8% del 2026.
La giustificazione è pronta: il Superbonus. La tira in ballo Giancarlo Giorgetti, quando nella conferenza stampa che segue il Cdm è costretto a rivelare il vulnus di un Documento di economia e finanza “light”, senza l’impatto delle misure perché lo scenario programmatico non c’è. “Povero”, il Def perché non dà soldi alla manovra. “L’andamento del debito – tuona il ministro dell’Economia – è ampiamente condizionato dal riflesso dei pagamenti per cassa dei crediti del Superbonus che ha un impatto devastante”.
Ma non è forse vero che Giancarlo Giorgetti, ministro per un Def povero, è inferiore alla spesa in disavanzo che s’abbatte su di lui? Siamo nelle potenze celesti di cui al Johann Wolfgang Goethe.
Ancora, la spesa in disavanzo è superiore per importanza alla ragione:

“Ad abbattersi sui conti pubblici è una valanga da 219 miliardi, il totale dei crediti relativi ai bonus edilizi oggetto di cessione e sconto in fattura da quando sono nati allo scorso 4 aprile. Solo il Superbonus è costato fino ad ora ben 160,3 miliardi. Giorgetti mette già in conto una nuova stretta perché quelle adottate fino ad oggi non hanno fermato l’emorragia. Invoca maggiori controlli: “Quello che non cessa adesso – promette – è la verifica e il controllo della bontà di questi debiti” che hanno portato ad annullare e sequestrare circa 16 miliardi. Ma il titolare del Tesoro sa anche, e lo dice, che l’eventuale riclassificazione dei crediti da parte di Eurostat, a giugno, può solo appesantire il conto: lo “scarico” sul debito è già in corso. Eccola la strategia della destra al governo: perpetuare l’alibi del Superbonus…”.
Perpetuare l’alibi del Superbonus al Gattopardo per non attuare la spesa a debito. Pre-keynesiani, invece che keynesiani. Ancora, scrive sempre il fenomenale Giuseppe Colombo: “… Se il debito angoscia, la crescita genera un moderato ottimismo, ma solo per quest’anno: il governo decide di tagliare le stime rispetto al quadro programmatico dello scorso settembre, ma colloca comunque il Pil all’1%, un valore superiore a quello degli analisti…”.
Non è questa la “smoking gun” che le “realtà oggettive” sovrastano il Def senza soldi?
La meravigliosa Valentina Conte, che fa a gara con Brunella Giovara – ma tra giornalisti e artisti non c’è differenza – scrive:
“La terza legge di Bilancio del governo Meloni per il 2025 sarà molto complicata. Già solo per confermare le misure che scadono quest’anno, tra bonus e una tantum, si viaggia verso 23 miliardi. Senza considerare le spese indifferibili, quelle militari e il sostegno delle missioni all’estero. Non potendo fare deficit extra, a meno di trattative molto fortunate con Bruxelles, Palazzo Chigi dovrà scegliere cosa sacrificare e dove prendere i soldi che servono. Due fondi
promettono riserve da cui attingere: fisco e poveri. Lì per ora ci sono 7 miliardi: 4 miliardi dai decreti di attuazione della delega fiscale e 3 miliardi di avanzo dal taglio del Reddito di cittadinanza, visto che le nuove misure non stanno tirando come previsto. Un terzo “tesoretto” potrebbe spuntare dalle pensioni. Senza interventi, dal primo gennaio torna l’indicizzazione all’inflazione più favorevole ai pensionati, quella calcolata per scaglioni, impostata da Prodi e ripresa da Draghi. Il governo potrebbe fare ancora cassa, dopo i 10 miliardi netti tolti alla rivalutazione nel triennio 2023-2025. (tornare alla scala mobile è un’utopia, ma la scala mobile è nelle “realtà oggettive”, ndr). Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, nel presentare ieri (9 aprile 2024, ndr) il Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei Ministri, ha fatto capire che forse stringerà ancora le maglie al Superbonus. E che andrà “avanti ulteriormente sui tagli di spesa”. Come pure dal testo del Def si capiranno le “politiche invariate” che l’esecutivo vuole rinnovare anche il prossimo anno. Di sicuro il doppio taglio al cuneo e all’Irpef…”.
Spunta Keynes dal rimosso della politica economica senza visione – vera cifra della Melonomics – del Governo; un governo che fa i conti a sua insaputa con questo grande sconosciuto che è il concetto di riflessività, che nega il principio di realtà: ecco le “realtà oggettive” vendicarsi, e per di più keynesianamente; non resta che negarle con il trucco dell’ideologia: “… Per il resto il governo scommette anche sugli introiti dalla Global miminum tax e dal concordato preventivo biennale. Insomma, su 16 miliardi per le tre misure top ad oggi ce ne sono sulla carta circa la metà. Aspettando eventuali tagli sulle pensioni. Ma l’elenco dei bonus in scadenza 31 dicembre è molto più lungo. E alcuni sono cruciali per la narrazione del governo. La carta alimentare “Dedicata a te” del ministro Lollobrigida (600 milioni). Il bonus mamme lavoratrici con due figli, della premier Meloni (368 milioni). La garanzia per i mutui prima casa per i giovani (282 milioni). Gli sgravi sui premi di produttività e il welfare aziendale della ministra Calderone (483 milioni). La riduzione del canone Rai a 70 euro del ministro Salvini (430 milioni). I crediti di imposta per le Zes del sud del ministro Fitto (1,8 miliardi). Il pacchetto pensioni con Quota 103, Opzione Donna, Ape sociale e l’aumento delle minime, caro a Lega e FI (630 milioni). Senza parlare di Sugar e Plastic tax. Servono 325 milioni per azzerarle dal primo luglio fino a dicembre e poi altri 650 milioni strutturali all’anno. Il primo luglio finiscono anche gli sgravi per straordinari e notturni del settore turistico, voluti dalla ministra Santanchè: 81 milioni da trovare subito per salvare Ferragosto e Natale. Infine il pacchetto dei bonus edilizi, diversi dal Superbonus. Il 31 dicembre scadono bonus mobili, giardini, sismabonus, ecobonus tradizionale. Cosa farà il governo?” (il copyright è di Valentina Conte).
Il governo negherà la spesa in disavanzo, “usque ad nauseam”. E nel frattempo, arriverà il crollo dei mercati a ufficializzare la fine della New Economy. Se la hybris è l’altra faccia della nemesis, Giorgia senza keynesismo rassegnerà le dimissioni nelle mani di Sergio Mattarella. E Carlo Cottarelli guiderà un governo di transizione, come Caronte che guida le anime. Ordoliberale fino alla morte, Cottarelli – che identifica se stesso con l’Italia – scrive una requisitoria quasi dal tratto isterico che, detto francamente, è una requisitoria senz’anima, ma anche un rimedio peggiore del male. “Le idee hanno conseguenze”: diceva Friedrich Hayek; ricordiamo che l’ordoliberale nega la realtà con il trucco dell’ideologia. “Non siamo padroni a casa nostra”: Sigmund Freud.
Ma la realtà esiste. Carlo Cottarelli, il one track mind o un tecnico senza fantasia, non è né a favore né contro John Maynard Keynes, ma è “post-keynesiano”. Di fatto è contro Keynes, rimuovendolo dal quadro.
L’Italia è già nelle mani di Matteo Salvini. Ma sia benedetta la pandemia, perché Keynes è tornato solo grazie alla sua “distruzione creatrice”. Sorge una domanda: ma la Mano Invisibile e il Maligno fanno patta?

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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