Sotto il design niente

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Perché il design da disciplina a cavallo tra ingegneria e architettura si è trasformato in una macchina da feste? Forse perché fagocitato dal mondo della moda?

Che c’è di Design nelle migliaia di articoli pubblicati dai giornali durante la settimana del design milanese appena conclusa? Niente, proprio niente. Il perché è molto chiaro e rende evidente la parabola (mancina) in cui il design è precipitato.
Dunque… Il disegno industriale è l’erede novecentesco delle ottocentesche arti applicate. Nate nell’ambiente del socialismo utopistico e filantropico ottocentesco, le arti applicate presero, nel Novecento, almeno un paio di direzioni: quella del mobile d’autore, creazione d’arte per gli interni dell’alta borghesia industriale e, più tardi, quella del disegno industriale, creazione d’autore per la produzione seriale di massa. Entrambe, in quanto creazioni basate sull’ideazione progettuale e fondate sul disegno, hanno fatto parte della disciplina architettonica, come vere e proprie materie con i loro statuti teorici e critici, insegnate nelle università e nei politecnici.
Il disegno industriale, in particolare, eccellenza del Dopoguerra dei grandi maestri italiani – i Castiglioni, Zanuso, Magistretti… – si risolse come una disciplina a cavallo tra progettazione architettonica e ingegneria, sottoposta a un severo vaglio critico, da Bruno Zevi e gli altri.
Ebbene, cosa c’è di tutto questo nella gioiosa macchina da feste della settimana milanese dedicata al disegno industriale? Più o meno niente. Si balla, si beve, ci si vede, si tocca… E sotto questo, naturalmente, il nulla dell’ipercapitalismo mediatico, acritico, effimero come un twitt. Si potrebbe sostenere che lo stupefacente (il drogato, in un certo senso) ha sostituito, scientemente, la fredda produzione razionale sottoposta al vaglio critico. E che la massa (fisica, sudata) della doxa abbia prevalso come cartina al tornasole a qualsiasi bla bla dell’esperto.
Ma io credo che non ci troviamo di fronte a una tale consapevolezza (critica), bensì al semplice fatto che il mondo del design è stato fagocitato da quello della moda e dai suoi meccanismi. Che sono il proliferare di uffici stampa intenti a costruire consenso intorno a creatori (i creativi) di oggetti effimeri, finalizzati solo ed esclusivamente ad apparire sui “media”. Per propagandare questi protagonisti, non serve più la critica architettonica. Anzi, il critico d’arte e d’architettura è dannoso; meglio un po’ di “quote rosa” in transumanza dalla moda che intervistano il designer più figo, che fanno fotografare l’oggetto più trendy, che stabiliscono il colore della stagione autunno-inverno… E che, naturalmente, esaltano gli stilisti che – in quanto titolari dello stile – sono diventati anche creatori di oggetti. Vestiti, profumi, sedie e design di alberghi e aeroplani. Così avviene la costruzione del consenso, l’entropico bla bla, i supplemneti di ottanta pagine, gli speciali, i superspeciali, i video, i twitter, i comici sul palco a presentare gli oggetti. Il tutto senza sapere e capire nulla. Al servizio dell’industria più potente che è quella con la comunicazione più potente. A danno della creatività di chi agisce in solitudine, come un cane sciolto fuori dal coro, e della credibilità dei giornali, che hanno contribuito a distruggere le basi del Made-in-Italy. Ora va tutto bene. Tra qualche anno non lamentiamoci se cinesi, russi ecc ecc… imporranno i loro oggetti.

Brux

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