Putin è il nuovo Hitler?

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stefano
Per gli ucraini che lo ritraggono con i baffetti del Fuhrer sicuramente lo è. Ma anche per Putin, i suoi avversari attuali, in Ucraina, sono tutti hitleriani convinti, tutti dalla Tymoshenko a Tyahnybok sono “nazisti”.
Hitler è ormai diventato sinonimo di “cattivo”, indipendentemente da quale fosse la sua ideologia. Certo, quella miscela esplosiva di romanticismo, nietzschanesimo, socialismo, darwinismo sociale, eugenetica, anti-giudaismo, occultismo neo-pagano e razzismo che costituivano i mille volti del nazismo e del suo leader, difficilmente si ripeterà nel XXI Secolo. Putin, sicuramente, non può essere considerato un suo diretto discendente, perché, semmai, è di formazione marxista-leninista, ora si dice cristiano (ma lo sarà realmente diventato?), certamente non ha compreso che l’Urss è implosa a causa di suoi difetti strutturali e pensa di poter restaurare sia i suoi confini pre-1991, sia la sua posizione di seconda superpotenza mondiale. Meglio capirlo, se vogliamo affrontarlo.
Se Putin discende da qualcuno, questo è Jurij Andropov, direttore generale del KGB (e sotto di lui l’attuale presidente russo ha fatto carriera fino al grado di colonnello) dal 1967 al 1982, vero ispiratore della politica di Brezhnev sulla repressione del dissenso, sull’interventismo militare nel blocco socialista (per mantenere in piedi, con la forza, regimi allineati a Mosca) e sull’interventismo segreto all’estero per diffondere il comunismo in tutto il Terzo Mondo, sulla politica dei ricatti e della penetrazione delle élite, politiche e intellettuali, della sinistra in Europa.
Andropov, nel suo breve periodo di segretariato generale del Pcus, dal 1982 alla sua morte avvenuta nel febbraio del 1984, fu uno degli unici due leader sovietici (l’altro era Stalin) a ritenere pressoché inevitabile una guerra con il “blocco imperialista”. Nei suoi due anni di leadership sovietica non fece altro che preparare la guerra, sia materialmente (con la più grande mobilitazione sovietica in tempo di pace), sia psicologicamente, con una martellante campagna di propaganda anti-occidentale. In questa campagna, proprio come avviene oggi sulle Tv di Stato russe, gli occidentali venivano dipinti come “nazisti”. Alla Tv sovietica scorrevano le immagini di manifestazioni neonazi nella Germania occidentale, tutte palesemente finte. Sotto Andropov ci fu un revival incredibile di Stalin, osannato come salvatore della Patria dal nazismo. E i discorsi del defunto dittatore venivano frequentemente passati per radio, per convincere i sovietici che il nemico nazista era sempre pronto a lanciare una nuova Operazione Barbarossa, come nel 1941. Ricorda qualcosa? A giudicare dai servizi della Tv russa (e della stampa italiana che le dà credito) si trovano ben poche differenze da allora ad oggi. Secondo la Tv di Putin, i russi sono minacciati da un nuovo regime “nazista”, la notizia di questi giorni è che in Ucraina stanno nascendo “campi di addestramento neonazi per educare il popolo all’odio”. Basta crederci. E mandare le truppe a “proteggere” i russi. Nella propaganda di Andropov, così come in quella di Putin oggi, l’Occidente è sempre un luogo decadente e minaccioso. Quando i sovietici abbatterono (un po’ per errore, un po’ per rigidità dei militari) un aereo civile sudcoreano sui cieli dell’Urss orientale, gli studenti sovietici in trasferta negli Usa furono fatti tutti rientrare in fretta e furia, perché, a detta del Cremlino, avrebbero rischiato il linciaggio. Non vi fu alcun episodio di violenza contro di loro, ma secondo la Tv sovietica, sarebbero tutti morti per mano degli americani. Dell’Occidente, in Urss, si sapeva pochissimo. Quel che filtrava erano solo episodi di povertà, soprusi politici, corruzione, ingiustizie, razzismi, criminalità. Oggi non è molto cambiata la percezione russa dell’Occidente. Chi scrive se ne accorse più volte, di persona, vedendo russi ormai residenti in Italia da anni, stupirsi per l’assenza di polizia ad ogni angolo della strada o all’ingresso dei locali pubblici, l’assenza di una dura repressione in caso di manifestazioni e scioperi, l’assenza di un controllo politico della stampa: tutte cose viste come “pericolosi sintomi di caos” e non come una libertà di cui godere. Decenni di lavaggio del cervello hanno prodotto un uomo sovietico disciplinatissimo che non ha più bisogno di isolamento o censure: anche se è libero di viaggiare e lavorare all’estero, ragiona sempre in termini totalitari e vedrà sempre l’Ovest come un luogo minaccioso.
Jurij Andropov non aveva compreso che il declino economico e demografico sovietico (che iniziava a manifestarsi sin dagli anni ’70) fosse causa dei difetti strutturali del socialismo reale, come l’abolizione della proprietà privata, dei prezzi, dell’iniziativa individuale e della responsabilità personale. Ogni sintomo di decadenza era attribuito, vuoi al complotto straniero, vuoi alla “mancanza di disciplina” del popolo sovietico. Andropov affrontò entrambi, reprimendo duramente il dissenso, specialmente quello ebraico (internazionale per origine e parentela) e reprimendo tutti i “vizi”, dall’assenteismo (che divenne un reato punibile col carcere) all’omosessualità (che in Urss era reato). Putin, sostanzialmente, sta seguendo esattamente la stessa linea politica.
Insomma, Jurij Andropov fu l’ultimo vero leader sovietico. Dopo di lui ci fu il diluvio, targato Chernenko e Gorbachev, entrambi erroneamente considerati suoi discepoli e successori. Il suo vero e più coerente successore, invece, ce lo abbiamo sotto gli occhi ed è Putin. Ma proprio per questo, come non abbiamo capito Andropov allora, oggi non capiamo Putin. Andropov fu un uomo dalle mille sorprese. La stampa lo ritrasse subito come un “riformatore”, comunque come un “bravo leader”, semplicemente perché lo si vedeva come un uomo intelligente. Poi tutti rimasero sorpresi dalla sua dura repressione del dissenso e all’abbattimento dell’aereo sudcoreano: non c’era niente di strano, in realtà, bastava conoscere come ragionava il leader sovietico. Pochi volevano vedere o sentire quel che pensava e diceva apertamente sulla sua visione del mondo. Gli imprenditori si fidavano di lui e trattavano bene gli affari in Urss, meglio che sotto i suoi predecessori, semplicemente perché Andropov sapeva di tenere il coltello per il manico: anche allora, egli intendeva vincolare l’Europa occidentale al gas siberiano. E chiaramente faceva ponti d’oro agli uomini d’affari occidentali che facilitavano questo suo progetto di lungo periodo. Sempre Andropov, nel suo breve periodo di segretariato generale del Pcus, cercò di ricucire lo strappo con l’altra grande potenza comunista, la Cina. Sapeva che solo unendo la forza sovietica alle masse cinesi si sarebbe potuto dettar legge all’Occidente. Anche Putin, nell’era post-sovietica, sta cercando di creare un asse permanente Mosca-Pechino, esattamente per gli stessi motivi. Andropov non si limitava al rafforzamento del potere all’interno dell’Urss e alla conservazione dell’egemonia nel blocco socialista. Voleva espanderla in tutto il mondo, questa egemonia. E fu sotto la sua direzione del Kgb, che regimi e movimenti armati filo-sovietici presero il potere o scatenarono guerriglie in America Latina (Colombia, Salvador, Nicaragua, Grenada), in Africa (Etiopia, Angola, Mozambico), in Medio Oriente (Yemen del Sud, Libia, Iraq, Siria, l’Fplp palestinese), in Asia orientale (Vietnam, Laos, poi anche Cambogia dopo la parentesi di Pol Pot). Fu sempre sotto la sua direzione del Kgb che la Germania e l’Italia vissero la loro peggiore stagione terroristica, gli anni di piombo scatenati da formazioni clandestine che trovavano ascolto, appoggio, rifugio e sostegno in tutto il blocco socialista. Putin, oggi, non ha altrettanta presa ideologica su movimenti clandestini e rivoluzionari. Ma, pur nell’era post-sovietica, inizia a seguire le orme del maestro in America Latina (alleanza con Venezuela e Cuba, buoni rapporti con Nicaragua, Ecuador e Bolivia), Medio Oriente (alleanza salda con la Siria e sostegno all’Iran, prossima alleanza con l’Egitto), mirando a estendere quest’area di influenza, per costruirvi nuove basi militari, in chiave ovviamente anti-americana.
Di Andropov si volevano vedere solo i lati positivi, ma si trascurava quella che era la sua natura ideologica di fondo: era uno stalinista convinto. E come tale, appunto, riteneva la guerra con l’Occidente pressoché inevitabile, pensava a “quando” sarebbe scoppiata, non al “se”. Mai come nei primi anni ’80 abbiamo rischiato lo scoppio di un conflitto generale. Ogni segno, ogni minimo allarme, ogni evento che rientrava negli schemi paranoici del Kgb sovietico, era inserito in un’enorme matrice, chiamata “RYAN” (acronimo russo di: attacco missilistico di sorpresa) che misurava il grado di pericolosità delle nazioni della Nato. Se quel calcolo fosse arrivato al culmine, se il Kgb avesse decretato che il pericolo fosse ormai maturo, l’esercito sovietico sarebbe partito all’attacco dell’Europa, preventivamente, eventualmente usando anche armi nucleari. Questa realtà testimoniata da Oleg Gordievskij (ufficiale disertore del Kgb) e da molti altri testimoni oculari, è stata sempre ignorata dalla nostra opinione pubblica, così come dalla stragrande maggioranza degli storici dell’Unione Sovietica. I documenti relativi a quel periodo e all’attività dei servizi segreti sovietici non sono mai stati declassificati in Russia. E una sorta di tacito accordo fra la Nato e l’Unione Sovietica ha fatto sì che si mettesse una grossa pietra sopra a tutti gli aspetti più imbarazzanti del passato. Fra cui anche la “paura della guerra” dei primi anni ’80. Una volta riunificata la Germania, il nuovo governo trovò piani dettagliati per l’invasione dell’Ovest, città occidentali ricostruite in scala 1:1 per le esercitazioni, montagne di munizioni, targhe stradali già pronte per sostituire gli eroi sovietici ai nomi delle vie e delle piazze occidentali, materiale ferroviario adatto a funzionare in Europa occidentale e persino parte delle liste nere delle persone da eliminare fisicamente una volta completata la conquista della Germania Ovest. Di tutto questo non si è mai più parlato. Del pericolo che abbiamo corso allora, quando potevamo svegliarci una mattina e ritrovarci invasi, non sappiamo ancora nulla. E quel pochissimo che sappiamo, preferiamo relegarlo nei buchi neri della memoria. Il problema è: quanto è ancora stalinista l’attuale presidente russo? Il discepolo di Andropov ha dedicato risorse ingenti per la modernizzazione delle forze armate, sia nucleari che convenzionali. Oggi ha la prima forza nucleare (per numero e grado di aggiornamento tecnologico) e il più numeroso esercito del mondo. In Georgia nel 2008 e in Ucraina in queste settimane, ha dimostrato di voler usare la violenza militare in modo impulsivo, ai limiti dell’azzardo e di avere gran confidenza nelle proprie forze armate. La dottrina militare russa, sin dal 1993, prevede la protezione, non solo dei cittadini russi in Russia, ma anche dei cittadini stranieri di lingua russa all’estero. Queste grandi enclave russofone sono presenti anche in territorio Nato, in particolare in Estonia e Lettonia. Anche Putin considera inevitabile una guerra con l’Occidente? Probabilmente sì. Tutte le mosse che ha compiuto, soprattutto in questo suo secondo mandato, lo fanno quantomeno ipotizzare. È per questo che dobbiamo essere cauti ma decisi, affrontare Putin con gli stessi metodi di durezza con cui Reagan affrontò Andropov nei primi anni ’80.
Il nostro problema, però, è che non abbiamo una memoria storica. Tuttora non abbiamo capito Andropov. Non vogliamo ricordare quelle che erano le sue vere intenzioni. Non sappiamo ancora quando e se avesse voluto metterle in pratica. Abbiamo voluto rimuovere gli ultimi vent’anni di storia sovietica. Oggi, a maggior ragione, non capiamo Putin. E l’ignoranza storica provoca solo grottesche caricature ideologiche, con una destra che ammira il novello Andropov scambiandolo per un baluardo del cristianesimo. E una sinistra, stalinista fino all’altro ieri, che lo accusa di essere un nuovo Hitler.

Stefano Magni

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