Possano le tue scelte riflettere le tue speranze, non le tue paure (Nelson Mandela)

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Perché dei giovani voteranno si

Il 4 dicembre gli italiani sono chiamati a pronunciarsi con un Sì o con un No sul referendum costituzionale, voluto dal premier Matteo Renzi e dalla ministra per le riforme costituzionali Maria Elena Boschi. Si tratta di un’occasione fondamentale per cambiare l’Italia e per regalarle nuove opportunità per un futuro che troppo a lungo è stata costretta ad attendere, mentre il resto del mondo correva. Un’opportunità da non perdere. Si tratta di una riforma che ha seguito tutto l’iter democratico previsto, con 731 giorni di discussione, di cui 346 al senato e 385 alla camera, tre letture per entrambi i rami del parlamento e sei approvazioni, e che arriva fino a noi con un quesito semplice e chiaro. È una riforma che non trovo perfetta in ogni suo punto, ma ritengo che quello del 4 dicembre sia un treno da non perdere, perché non ne passerà presto un altro e l’Italia non può più aspettare. Poteva essere migliore, ma il meglio è nemico del bene.
Il 4 dicembre serve un Sì per superare il bicameralismo paritario, definito da Costantino Mortati – costituente, nonché uno dei più importanti costituzionalisti italiani – un “inutile doppione”, che va a costituire quella che è un’anomalia tutta italiana in Europa e che se superato permetterebbe di avere tempo più rapidi e iter legislativi che siano al passo dei tempi in cui viviamo. Un Sì per avere una camera che rappresenti le istanze e i valori dei territori, sul modello tedesco, che rappresenta nel mondo un punto di riferimento in termini di democrazia. Un Sì per contenere i costi della politica e per abolire un organo inutile come quello del CNEL. Un Sì per rendere più partecipativa la democrazia italiana, con l’obbligo per il Parlamento di discutere e decidere sui disegni di legge di iniziativa popolare proposti da 150mila elettori. Ma, soprattutto, un Sì per riformare il Titolo V della Costituzione, una necessità imperante sin dalla riforma del 2001, voluta proprio dal centrosinistra, che ha sortito l’effetto collaterale di generare confusione nella divisione delle competenze tra Stato e Regioni. L’autonomia data alle Regioni si è dimostrata controproducente ed è alla base di molti, troppi sprechi, che vanno ad inficiare le casse dello Stato e di conseguenza anche i servizi offerti ai cittadini. La libertà delle Regioni in fatto di competenze concorrenti si riflette nell’aumento esponenziale nei conflitti d’attribuzione, nelle cause tra Stato e Regioni arrivate alla Corte Costituzionale, verificatosi proprio dal 2001. Con la riforma costituzionale, le competenze sarebbero ripartite in modo più preciso ed efficace, con l’introduzione della clausola di supremazia, che farebbe sì che l’interesse nazionale e comunitario fosse messo davanti a quello delle singole Regioni. Con il Sì al referendum sarebbe inoltre definitivamente depennata la parola “province” dalla Costituzione, una misura attesa da anni. La riforma del titolo V della Costituzione è quindi importante per combattere un regionalismo assolutamente inefficiente, per avere delle politiche uniche in fatto di energia, turismo e sanità, veri asset strategici che vanno programmati secondo una logica di integrazione e di lungo indirizzo, per un Paese che deve ricominciare a guardare al domani con la speranza di poter avere ancora un ruolo importante in Europa e nel Mondo. Ne gioverebbero anche le imprese e gli investitori privati, che da sempre chiedono più equilibrio, un perimetro ben delineato nel quale muoversi con criterio. Non basterà solo questo Sì per cambiare il Paese, ma è un inizio.

di Massimo Borraccetti, Filippo Tentardini

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