Partito degli astenuti: emergenza o opportunità? ll caso Emilia: due milioni in cerca di un leader

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Dalle regionali in Emilia Romagna spunta un solo vincitore: il partito degli astensionisti: un pericolo per la democrazia o uno stimolo a cambiare?

Appena tre giorni dopo i risultati elettorali dell’Emilia-Romagna, il tema dell’astensionismo di massa è già finito sotto traccia nei radar della cosiddetta grande politica. Dopo il primo panico, Matteo Renzi ha richiamato il popolo PD nei ranghi, annunciando al mondo che la partecipazione è un problema secondario. Conseguenza logica: intanto prendiamo le poltrone, il resto si vedrà.
È bene allora ricapitolare i fatti:
a) In Emilia Romagna ha votato solo il 37,7 % degli elettori, cifra mai vista, con la conseguenza che il restante 62,3 % (più di due milioni di cittadini) costituisce l’unica, vera maggioranza politica di una Regione che ancora pochi anni fa esprimeva il massimo livello di partecipazione del Paese. Altro che problema secondario: non è forse un segnale drammatico sulle sorti della democrazia italiana?
I cittadini, con la sola forza di un sentiment di massa, in una domenica hanno totalmente delegittimato i partiti attraverso l’unico strumento rimasto per farsi sentire, senza ricorrere agli scontri di piazza: non andare a votare. In questo senso si può parlare del partito degli astenuti come di una alternativa radicale con potenzialità politiche enormi, che forse non a caso ha preso forma in una regione che per tradizione e ad alto tasso di fedeltà ideologica.
– È fuorviante affermare, come fa la sinistra Pd, che a non votare sarebbero stati i lavoratori contro il Job Act e la politica economica del governo Renzi: se fosse vero, Sel non saprebbe più dove mettere i voti. In realtà ad aver disertato le urne è il centro del corpo sociale dell’Emilia-Romagna, quello che ai tempi d’oro costituiva il ceto medio allargato. Parliamo dell’esercito delle partite Iva, dei giovani e meno giovani senza prospettive, di artigiani, imprenditori, professionisti oppressi dalle tasse, in preda all’incertezza, indignati per una Regione che ha continuato ad alimentare un modello parassitario aumentando il carico fiscale e l’elefantiasi burocratica. Il colpo di grazia lo hanno dato la condanna di Vasco Errani per l’affare Terremerse, ragione per la quale l’Emilia è tornata al voto in anticipo, e soprattutto lo scandalo dei rimborsi spesa che vede indagati la maggioranza dei vecchi consiglieri regionali, e fra questi 18 del Pd chiamati a rispondere da soli della metà dei due milioni di euro contestati dalla Procura di Bologna. I contribuenti hanno pagato persino un dildo da notti calienti, il cui scontrino era finito nel rimborso di una consigliera Pd, peraltro risultata incolpevole.
Insomma, lo schifo ha preso il sopravvento ed ha assunto la forma di un movimento – l’astensionismo determinato e consapevole – per ora passivo, ma che potrebbe diventare un protagonista del cambiamento.

– Inutile pensare che si tornerà indietro: in questo senso il calcolo di Renzi è drammaticamente sbagliato, è un modo per infilare la polvere sotto il tappeto. Niente sarà come prima, e questi partiti sono destinati a precipitare ancora più in basso.

– Intanto le distorsioni sono evidenti e rasentano il paradosso. Il Pd emiliano-romagnolo ha ottenuto 535 mila voti, un minimo storico, eppure ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi nell’Assemblea Legislativa, pur avendo lasciato per strada più di trecentomila voti rispetto al 2010, 450 mila sulle politiche 2013 e addirittura 680 mila rispetto alle europee di primavera. A conti fatti Stefano Bonaccini governerà l’Emilia Romagna in nome di una minoranza che vale solo il 18% dei cittadini iscritti alle liste elettorali.
Il quadro appare ancor più significativo a Reggio Emilia, osservatorio interessante in quanto terra-icona dell’ antica egemonia comunista, ora coniugata col dossettismo: qui l’astensione ha travolto dighe che aveva resistito alla caduta del muro di Berlino, e la cifra dei votanti è addirittura sotto la media regionale.

Basti pensare al 27% dei votanti di Brescello, paese di Don Camillo e Peppone, ma oggi anche della cosca di ndrangheta dei Grande Aracri: addirittura dieci punti in meno della media. In provincia di Reggio il PD ha ottenuto 67 mila voti, mentre nel 2013 ne aveva 128 mila e nel 2010 115 mila.
Non parliamo di Forza Italia, ridotta al lumicino: aveva undici consiglieri nell’Assemblea legislativa, ora sono due. La base azzurra si è dissolta nel nuovo partito delle astensioni, ed è in cerca di una nuova casa.
Anche Salvini e i suoi, che si godono un successo oltre le previsioni più rosee (sono il secondo partito) non si facciano eccessive illusioni: la Lega in Emilia-Romagna ha conquistato 233 mila suffragi, ma quattro anni fa ne aveva 288 mila. Si potrebbe andare avanti per pagine e pagine. Comunque sembra passato un secolo rispetto agli anni del duello Prodi-Berlusconi.
In sostanza, un paio di milioni di elettori, quelli che col non-voto hanno decretato l’affossamento dei partiti, aspettano solo un segnale per scendere in campo. Non si faranno certo convincere da operazioni di facciata. Cercano una speranze, valori, certezze e soprattutto un progetto politico spendibile all’insegna della legalità,dell’onestà e della trasparenza.Aspettano un leader e una formazione di tipo nuovo che li tratti da cittadini e non da sudditi.

Pierluigi Ghiggini

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