Nella padella di Donald forse ci staremo bene

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caputo
Quale giudizio sulla politica estera di Trump da parte di un esperto (ed ex sottosegretario agli Esteri)?

Se fossi cittadino americano, dai tempi d Eisenhower avrei sempre votato repubblicano, anche nel 1964 per Barry Goldwater. Stavolta ero davvero incerto. Visto il calibro dei due candidati, Hillary odiosa e falsa, Trump inesperto e troppo impulsivo, me ne sarei stato probabilmente a casa. Ciò nonostante, quando verso le tre del mattino del 9 novembre, a risultati ancora incerti, è arrivato un tweet della Clinton che suonava come l’ammissione della prossima sconfitta, ho tirato un sospiro di sollievo. Meglio rimanere nella padella che finire nella brace.
Adesso che nella padella ci siamo, spero che il fuoco si abbassi gradualmente e che avremo una presidenza “normale”, cioè che non provochi sconquassi in giro per il mondo e tenga tranquilli anche gli americani delle città, che a stragrande maggioranza hanno votato per Hillary (a Manhattam, l’89%, nella capitale Washington addirittura il 98!).
Alcun cose del vago programma emerso dai comizi di Trump mi piacciono decisamente:

  • Il trasferimento della ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, un vero schiaffo in faccia all’UNESCO che ha avuto l’improntitudine di negare ogni legame degli ebrei con la seconda. Questa scelta, accompagnata alla fine dell’opposizione agli insediamenti ebraici oltre la linea verde, cambierà in meglio i termini del conflitto israeliano-palestinese.
  • La decisione di strappare (forse sarà meglio rinegoziare) il pessimo accordo concluso da Obama per rallentare la corsa dell’Iran vero la bomba atomica.
  • La richiesta ai Paesi della NATO di contribuire maggiormente alla difesa dell’Occidente. Non siamo più negli anni Cinquanta, quando l’America era la grande protettrice e molti Paesi europei erano in braghe di tela, ed è assurdo che loro spendano per la Difesa il 4% del PIL e l’Italia soltanto uno (solo Francia e Gran Bretagna osservano il minimo del 2% richiesto dall’alleanza. Lo stesso discorso vale per Giappone e Corea del Sud, che sono abbastanza ricchi per difendersi da soli: e se anche si costruissero un loro arsenale atomico per tenere a bada la Cina, non sarebbe la fine del mondo.
  • Un atteggiamento più aperto verso la Russia, con cui nessuno ha davvero interesse a riprendere la guerra fredda del secolo scorso. Certo, non bisogna fare accordi al ribasso, che incoraggino Mosca ad ulteriori provocazioni, ma credo sia ora di riconoscere che l’annessione della Crimea è irreversibile, e che mantenere in eterno il regime delle sanzioni non è nell’interesse di nessuno.
  • Un rallentamento della corsa verso le energie rinnovabili e l’abbandono di carbone e idrocarburi per salvare il pianeta dai gas serra. Io ho sempre pensato che le colpe dell’uomo nel riscaldamento del pianeta siano per lo meno esagerate e che sconvolgere le nostre economie per questo, in un momento come questo, sia insensato
  • Un atteggiamento più rigido nei confronti dell’Islam, un po’ nello spirito del “conflitto di civiltà” pronosticato vent’anni or sono da Samuel Huntington. Certo, bisogna calibrarlo bene. Non ha senso vietare l’ingresso negli USA a tutti i musulmani, né mettere tutti quelli che hanno il passaporto americano sotto sorveglianza, come si fece coi giapponesi nella seconda guerra mondiale. Ma sono contento che la lotta all’ISIS (e anche a quel che resta di Al Qaeda) sia diventata la priorità numero uno della politica estera americana, e che si farà particolare attenzione a coloro che arrivano dai Paesi islamici in cui è presente il terrorismo (ahimè, quasi tutti).

Altri aspetti del programma di Trump mi piacciono meno, come l’ostilità verso la globalizzazione e la minaccia di denunciare trattati che hanno grandemente aiutato il commercio mondiale. Ma, prima di esprimere giudizi, vediamolo all’opera. Può anche darsi che, alla fin fine, nella padella ci troveremo bene.

di Livio Caputo

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