MIKHAIL KHODORKOVSKY E ROMAN ABRAMOVIC A CONFRONTO: UNO DEI DUE MORIRA’, Il mandante della morte di Alexey Navalny è lo stesso che si trova dietro la distruzione della diga di Kakhovka

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“La Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”
Winston Churchill

La gente ignora che la teoria è parte della realtà, e che le idee influenzano i comportamenti. “Le idee hanno conseguenze”: Friedrich Hayek dixit, che si convinse di essere nobile mettendo Von davanti al cognome. E infatti … Nel bellissimo documentario “Citizen K” di Alex Gibney, UK/US del 2019 e mandato in visione su Atlantide dal grande giornalista scomparso Andrea Purgatori dedicato allo strano caso di Mikhail Khodorkovsky (si legge proprio così nella scheda di presentazione di Atlantide), l’ex oligarca imprigionato da Putin racconta di se stesso un fatto decisivo, e ignorato dai più; così iniziò la sua carriera da business man tanto veloce quanto rovinosa: “… Trovai un libro intitolato “Le banche commerciali nei paesi capitalisti”; un libro favoloso. Descriveva molto dettagliatamente, ma con semplicità, il funzionamento di un sistema bancario; pensai, ehi mi piace; ehi, come faccio a creare una banca?”. Quando il tridimensionale Khodorkovsky racconta in favore delle telecamere ad Alex Gibney tale momento di svolta nella sua vita, il suo volto è come illuminato d’immenso, addirittura scoppia a ridere ricordandolo con nostalgia, e tutta l’ingenuità di quest’uomo insondabile e inafferrabile si rivela in un colpo solo. L’ingenuità di un visionario o di una “personalità Sei”: direbbe il raffinato psicoterapeuta Riccardo Dalle Luche. Che cosa vuol dire “personalità Sei”? E’ lo psicopatico – da Charles Darwin a Sigmund Freud, passando per lo stesso Steve Jobs – che tende a riprogettare continuamente la realtà, poiché con la realtà si identifica vedendo il mondo attraverso il prisma dei suoi interessi personali; il mondo è in funzione dello psicopatico che tende a plasmarlo a sua immagine e somiglianza, e tutti gli ostacoli che si disseminano lungo il suo percorso vengono eliminati – ricorrendo talora all’opzione dell’omicidio –, se disturbano la Weltanschauung: la visione del mondo (uso una parola che il professor Dalle Luche respinge dal suo repertorio di addetto ai lavori), ma che piaceva da matti a Piero Ottone. Tra giornalisti e accademici notoriamente non corre buon sangue… Ma torniamo a Khodorkovsky, che è una vera ossessione per chi scrive.
Scusatemi l’autocitazione che è un difetto dal punto di vista estetico, ma nel precedente pezzo “Mikhail Khodorkovsky, più maledetto che criminale. L’ex oligarca è schiacciato sul “punto di equilibrio” tra Roman Abramovic e Vladimir Putin” del giugno 2023, affermavo quanto segue: “La distruzione della diga sul Dnepr rischio Vajont, come ha titolato “la Repubblica” di Maurizio Molinari non è opera di Vladimir Putin, che ha ore le ore contate nella Fiera della vanità: ormai è come un topo in un angolo, per chiedergli il copyright. E chi scrive, che ha avuto un ruolo nella “covert action” che ha contribuito al mandato d’arresto nei suoi confronti, curiosamente ora si trova a difenderlo (sic!): si, avete capito bene. Putin non c’entra niente con questa storia (avevo scritto ormai sei mesi fa, ndr); così come non c’entrava niente con l’attentato alla palazzina a Mosca nel 1999 che costò la vita a 3000 persone uccise nel sonno, in modo da assicurargli l’ascesa al Cremlino da oscuro direttore dei servizi di sicurezza federali: era un’idea diabolica di Boris Berezovskij, per avere un’arma di ricatto nei suoi confronti…”.

Così come la distruzione da “ecocidio” della diga sul fiume Dnipro – “un Vajont nell’Ucraina in guerra”, disse bene l’inviata Brunella Giovara – è opera di Roman Abramovic, che è l’erede di Boris Berezovskij (senza possedere del primo, però, la brillantezza) per avere un’arma di ricatto nei confronti di Mikhail Khodorkovsky nel caso in cui destituisca Putin e lo sostituisca al Cremlino.
Berezovskij, un infame oligarca che riciclava i soldi della mafia e ordinò anche l’avvelenamento di Alexander Livtinenko a Londra per incastrare Vladimir Putin, è morto tagliandosi la gola nella toilette di casa sua a Londra dopo che Putin si rifiutò di concedergli il perdono, funzionale al suo rientro in Russia. Aveva ormai perso tutti i suoi quattrini.
Orbene, Roman Abramovic – già espulso dalla Confederazione elvetica per sospetto riciclaggio di
denaro sporco e rifugiatosi a Istanbul in Turchia – sta tentando un’operazione diabolica: portare Khodorkovsky al potere con un colpo di Stato in Russia che è stato accelerato al massimo dalla distruzione antisociale della diga del Dnepr con danni incalcolabili e migliaia di morti (forse 40.000 morti in tutto), per tenere in pugno lo stesso Khodorkovsky: io ti faccio diventare Presidente della Russia, tu tuteli la mia roba. Cioè le sue ricchezze criminali che appartengono a Cosa Nostra russa, di cui Abramovic è il capo indiscusso; se Mikhail Borisovic è intelligentissimo e addirittura ingenuo – più spericolato che pericoloso (sic!) –, Roman è normale, senza un briciolo di originalità e pericoloso quanto Pablo Escobar; si tratta di uomini da “banalità del male”, per citare Hannah Arendt.
Per dare un’idea di chi è veramente l’antisociale Roman Abramovic, i cui beni ufficiali sono stati congelati da Boris Johnson con le sanzioni agli oligarchi per la guerra in Ucraina e la vendita del Chelsea Football Club in fretta e furia per problemi di liquidità, ho scoperto recentemente un fatto tremendo che intendo portare alla vostra attenzione; si, è proprio il caso di parlare della “banalità del male” nella vicenda di Roman Scarface. Dall’articolo pubblicato il 9 novembre 2023 “Mikel e il rapimento del padre, Abramovich mostrò quanto era potente: “Mando qualcuno a liberarlo?” a cura di Paolo Fiorenza su “Fanpage.it”, apprendo: “L’ex centrocampista del Chelsea e della nazionale nigeriana John Obi Mikel ha raccontato di quando suo padre fu sequestrato e di come l’allora proprietario dei Blues si era offerto di risolvere la questione alla sua maniera: “Lasciamelo e basta, se vuoi questa opzione, posso farlo”. Sono giorni drammatici per Luis Diaz, il cui padre è ancora in mano ai sequestratori in Colombia mentre vanno avanti le trattative ad oltranza per farlo liberare. Una vicenda terribile che ha fatto rivivere a John Obi Mikel quanto provato sulla propria pelle qualche anno fa: anche all’ex centrocampista del Chelsea e della nazionale nigeriana fu rapito il padre, addirittura due volte, e nella seconda circostanza Roman Abramovich – allora presidente dei Blues – fece intuire quanto fosse potente, non solo nel calcio, offrendosi di “mandare della gente” per liberare Mikel Sr. “Non preoccuparti. Lasciamelo e basta, se vuoi questa opzione, posso farlo”, disse il magnate russo (è l’offerta del Padrino, ndr). Mikel avrebbe dovuto giocare con la Nigeria contro l’Argentina nell’ultima partita della fase a gironi dei Mondiali del 2018, ma prima dell’inizio del match il centrocampista ricevette la notizia angosciante che suo padre, Pa Michael Obi, era stato rapito per la seconda volta, dopo un primo sequestro subito già nel 2011. “Mio padre è stato rapito mentre giocavo per la nazionale ai Mondiali del 2018 in Russia e stavamo per giocare contro l’Argentina – ha raccontato a Talksport. Due ore prima della partita ho ricevuto una telefonata da mio fratello che diceva che mio padre era stato rapito per la seconda volta in Nigeria”.

“La prima volta avevo parlato con i rapitori e mi avevano chiesto un sacco di soldi, che alla fine ho pagato prima che mio padre venisse rilasciato dopo 10 giorni. Ma la seconda volta è avvenuta mentre giocavo per la nazionale e ho ricevuto questa telefonata da mio fratello che diceva che papà era stato rapito di nuovo per la seconda volta – ha continuato Mikel – La prima volta è stata scioccante, ma la seconda lo è stata ancora di più, perché stavo per partecipare ad una delle partite più importanti della mia vita (ma, si sa, il successo è l’altra faccia del fallimento, ndr).

E’ stato assolutamente straziante – è proseguito il racconto del calciatore, oggi 36enne – Non riuscivo a lasciare la mia stanza. Non potevo dirlo a nessuno. Sono rimasto solo nella stanza per circa 30 minuti, pensando a cosa avrei fatto. Lo dico ai miei compagni? Oppure dovrei fare un annuncio? Ma stiamo per affrontare la partita più importante della nostra vita. Stiamo per giocare contro Lionel Messi e l’Argentina. Così ci ho pensato e ho deciso di stare zitto. Ho chiamato mia mamma e miei fratelli, tutti piangevano al telefono. Dicevano di no, che non avrei dovuto giocare perché non sarei stato in grado di farlo bene. Mi sono preso del tempo per conto mio e ho deciso che avrei giocato. Quindi non l’ho detto a nessuno. Sono andato in campo e ho giocato. Purtroppo non abbiamo vinto la partita e poi l’ho detto a tutti. Nello spogliatoio l’allenatore e alcuni giocatori
erano quasi in lacrime. Dicevano che avrei dovuto dirglielo e non avrei dovuto giocare”.

Mikel ha poi rivelato come l’allora proprietario del Chelsea, Roman Abramovich, lo avesse sostenuto e si fosse offerto di mandare delle persone per risolvere la situazione: “Il Chelsea è stato di grande supporto. Ricordo che Roman disse: “Vuoi che mando qualcuno? Perché so che se mando delle persone, posso far liberare tuo padre”. E io: “Come farai a farlo?”. Ha detto di non preoccuparmi: “Lasciamelo e basta, se vuoi questa opzione, posso farlo”. Posso identificarmi con Luis Diaz e quello che sta passando. Questo tipo di situazione è dove non hai assolutamente nulla da fare. Devi solo aspettare perché ti chiameranno. Chiederanno questo e chiederanno quello. Diranno: “Se non fai quello che vogliamo, spareremo a tuo padre. Lo uccideremo”. C’era mio padre al telefono che piangeva e diceva: “Puoi dargli quello che vogliono?, perché qui sono stato picchiato e ogni volta mi puntano una pistola in testa dicendo che mi uccideranno”. Ho pagato un sacco di soldi per far rilasciare mio padre” (il copyright è tratto dall’articolo di Paolo Fiorenza da “Fan page.it”, ndr).

A Palermo dicono: “Due piccioni con una fava”: fare il male, e proporsi di risolverlo. Soltanto la personalità antisociale non prova rimorso agendo in questo modo non socialmente accettato.
Anni fa, forse dieci, mia madre Bettina Bush Ottone e Fiorella Minervino in mare aperto a Portofino a bordo del motoscafo della storica dell’arte Minervino, per poco non investirono Abramovic che faceva il bagno (sic!): “Sembrava un marinaio”, disse mia madre; se l’avessero invece colpito magari uccidendolo, sarebbe stato un bene per tutti. Certe persone si possono fermare solo con la morte.

Facciamo un passo in avanti.
Viene fatta saltare la diga di Kakhovka il 5 giugno 2023, e la distruzione da “ecocidio” che è il fatto più grave dall’attentato alla palazzina a Mosca nel ’99 per ordine di Berezovskij, è causalmente collegata all’accelerazione parossistica del “quasi golpe” contro Putin. Una delle vittime della Fiera della Vanità: già screditato dal mandato d’arresto del Tribunale dell’Aya, egli non è difendibile.
Lo sa bene Mikhail Khodorkovsky, che non è né innocente né colpevole, ma è persona informata sui fatti (questo non ha nulla a che vedere con una presunta “notitia criminis”, anche se il miope Pino Arlacchi non lo capisce!). Facciamo un esempio chiarificatore: il ritardo nella liberazione degli ostaggi americani detenuti all’ambasciata di Teheran nel 1980 serviva a danneggiare Jimmy Carter per favorire Ronald Reagan in corsa alla Casa Bianca; ma Reagan non c’entrava nulla con questa “covert action” che era uno strumento di ricatto nei suoi confronti… Corsi e ricorsi storici.
Essere nella testa delle altre persone è impossibile, ma secondo chi scrive l’illusione di un uomo spietato con se stesso come Mikhail Borisovic è quella di rovesciare prima Putin, cercando poi di distruggere Abramovich nello stesso modo in cui il suo “carissimo nemico” Vladimir tentò di distruggere Berezovskij. E poi Berezovskij si suicidò.
Già, lo strano caso di Khodorkovsky come è stato detto prima…
Egli è un personaggio assolutamente unico nel suo genere, rara avis. Sospende le categorie dell’Illuminismo che sono date per universalmente accettate. Ripetiamolo: non è né innocente né colpevole rispetto ai crimini fiscali che gli sono stati contestati in un regolare processo; qui – per la tirannia dello spazio – si dirà soltanto che come avevo già scritto su Libertates “… La vicenda dell’ex direttore della Yukos – “Je ne suis plus un insider du pouvoir russe” – è paragonabile al film “Papillon”, ma al remake di Michael Noer, non alla versione primigenia e precisamente al momento dell’arresto di Henry Charrière…”.
Parigi, 1930. Il gambler Henry Charrière passato alla Storia come Papillon era al servizio della malavita organizzata nella capitale, in cui si era stabilito dal 1927 e dove aveva sposato Georgette Jeanne Fourel; lavorava per un criminale che era dedito al gioco d’azzardo e aveva torturato e ammazzato una persona, casualmente incontrata nel suo appartamento dallo stesso Charriére, il
giorno prima dell’arresto. Il principio della casualità; il giocatore non tiene conto del fatto che la casualità è inferiore per importanza al “principio di Archimede”, e si fa male…
Orbene, come si legge su Wikipedia, “… il 26 marzo 1930, un uomo di nome Roland Legrand, ufficialmente un macellaio ma ufficiosamente un magnaccia, venne ferito da un colpo di pistola allo stomaco alle 3:30 del mattino. Fu portato all’ospedale di Lariboisière, dove morì il 27 marzo alle 00:10, dopo aver dichiarato alla polizia il nome dell’omicida, “Papillon Roger”. Henry Charrière, cioè “Papillon Pouce-coupé”, venne arrestato il 7 aprile 1930 (mentre le guardie buttarono giù la porta dell’appartamento sua moglie “Nénette” gridava: “Papi! Papi!”, ndr). Charrière fu condannato per l’omicidio di Roland Legrand ai lavori forzati a vita, presso il carcere in Guyana il 28 ottobre 1931, omicidio per cui si è sempre dichiarato innocente.”. La sua resilienza alla disumanità del carcere nell’isola del Diavolo fu straordinaria, dopo aver realizzato una fuga al termine di anni di punizioni e isolamento senza pietas. Oggi sappiamo che il capo della malavita di Parigi aveva incastrato “Papillon”, facendolo arrestare per l’omicidio che egli stesso aveva ordito (sic!). Lo stesso discorso vale per Khodorkovsky, incastrato da Abramovich.
Non solo: dalla scheda di Wikipedia su Khodorkovsky, si apprende un fatto veramente curioso: mentre era in carcere in Siberia a scontare la sua pena a 10 anni di prigione con lavori forzati e un processo in corso per l’omicidio del sindaco di San Pietroburgo Vladimir Petukov, il detenuto Alexander Kuchma lo aggredì violentemente tagliandogli la faccia con un coltello, perché – a suo dire – il detenuto Khodorkovsky lo aveva molestato (l’omosessualità dell’ex oligarca è nota); orbene, anche da tale episodio spiacevole che fa parte del “curriculum borderline” dell’ex direttore del colosso petrolifero Yukos si comprende ad una lettura attenta che non era né innocente né colpevole (sic!). Leggere per credere: “… Il 13 aprile 2006, Khodorkovsky è stato aggredito dal detenuto Alexander Kuchma mentre dormiva dopo un’accesa conversazione. Kuchma tagliò la faccia di Khodorkovsky con un coltello e disse che era una risposta alle avances sessuali dell’uomo d’affari. I media occidentali hanno accusato le autorità russe di cercare di minimizzare l’incidente. Nel gennaio 2009, lo stesso prigioniero ha intentato una causa per 500.000 rubli (circa $ 15.000) contro Khodorkovsky, accusandolo di molestie omosessuali. Kuchma ha detto in un’intervista che è stato costretto ad attaccare Khodorkovsky da due ufficiali, picchiato e minacciato di morte per commettere l’attacco. Nel 2011 Kuchma ha ammesso che gli era stato detto di attaccare Khodorkovsky “da persone sconosciute che erano venute nella colonia della prigione e lo avevano picchiato e minacciato (ma nel frattempo è stato pagato da Khodorkovsky, ndr)…”.Vedete lo strano caso di Khodorkovsky? Con “Citizen K” sono sospese le categorie del Bene e del Male proprie dell’Illuminismo ma che affondano le radici nel Cristianesimo, poiché “Citizen K” va aldilà del Bene e del Male e si trova schiacciato sul “punto di equilibrio” tra l’uno e l’altro. Alla domanda: ma è buono o è cattivo? Secondo me ed altri analisti, il carcere lo ha migliorato rendendolo più umano; certo è estraneo tout court alla cattiveria bastarda di Roman Abramovic. Tanto normale quanto bastardo.
Questi stessi traumi sono compatibili con la fondazione del movimento “Open Russia” che è una costola della “Opening Society”, basato sul principio della riflessività tanto caro a George Soros all’interno della “Fallibilità radicale”. Infine, scusatemi la lunghezza: l’ambigua intervista del 15 giugno 2023 di Sky Tg 24 con un’avvenente giornalista in studio alla presenza di Paolo Garimberti, è causalmente collegata alla distruzione della diga di Kachovka di dieci giorni prima; alla domanda: “Che cosa sta succedendo in Russia non si capisce bene. Ce lo può spiegare lei?”, Khodorkovsky risponde: “Probabilmente Putin non lascerà il potere da vivo e la sua caduta se ci sarà avverrà con la forza”. Lo dice l’uomo che è imputato per l’omicidio di Vladimir Petukov.
“Ogni battaglia è vinta prima di essere cominciata”: Sun Zu, L’arte della guerra. Ma rovesciato Putin, sarà Abramovic a presentare il conto a Mikhail. Uno dei due è destinato a morire. Indovinate chi? L’ex oligarca è caratterizzato da uno spettro autistico ad alto funzionamento e da una personalità culturalmente povera con il senso della missione, come mostrano gli scritti politici da lui pubblicati dalla colonia penale. Egli è afflitto dalla “sindrome di hybris”, vero giano bifronte.
Quel che è interessante, è che della sua vita gli importa poco.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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