Ma che scuole abbiamo?


Aumentano sempre più da una parte le proteste delle imprese che non trovano lavoratori (nonostante un tasso di disoccupazione giovanile al 24,5%) e accusano il Reddito di cittadinanza di favorire l’ozio e il lavoro nero e dall’altra quelle dei lavoratori che rifiutano lavori con stipendi da fame (un archeologo, ad esempio, viene a guadagnare 6/700 euro netti al mese).
Ma le cause sono, forse, anche altre: una è senz’altro il fallimento del sistema di istruzione secondaria e universitaria in Italia.
Secondo i dati più recenti nei testi OCSE il 33% degli studenti italiani non raggiunge il livello 2 (low performer=difficoltà a maneggiare materiale un po’ complesso) e questo livello non viene raggiunto neppure dal 50% degli studenti degli istituti professionali: una media tra le più basse tra i paesi sviluppati.
Stessi risultati per le prove INVALSI: il 51% è insufficiente in matematica e il 44% in italiano e in Campania addirittura il 64,2% non raggiunge la sufficienza in italiano
I laureati italiani, poi, sono solo il 20% della popolazione tra i 25 e 60 anni rispetto al 33% della media europea (e sarebbe meglio tralasciare le medie di Usa, Canada, Giappone e Corea…)
Un risultato francamente disastroso, tanto più preoccupante se si considera che la scuola è la base per il futuro di una nazione.
Ma cosa manca alla scuola italiana (che solo pochi decenni fa aveva valori di eccellenza riconosciuti in tutto il mondo, non dobbiamo dimenticarlo):
indubbiamente i soldi. Uno Stato che spende decine di miliardi in bonus, sussidi e altro non riesce a investire nell’istruzione che il 3,9% del Pil contro una media europea del 4,9%…
Ma il vero problema è il merito: in un sistema che promuove alla maturità il 99% degli allievi l’appiattimento dei docenti è massimo. Si pagano alla stessa maniera docenti scarsi o poco impegnati e docenti capaci e interessati, che invece andrebbero premiati: chi lavora meglio dovrebbe guadagnare di più e fare maggiore carriera.
L’altro grande problema è la concorrenza: il nostro è un sistema rigido, con fondi determinati dal ministero e con scarsa autonomia dei dirigenti scolastici. Se i fondi venissero concessi direttamente alle famiglie, esse potrebbero mandare i propri figli nella scuola che preferiscono, creando così un’inevitabile concorrenza tra gli istituti stessi che verrebbero spinti a migliorarsi per ottenere più allievi (e quindi più fondi). Si tratterebbe dell’applicazione del famoso “buono scuola” di cui si parla da decenni.

di Angelo Gazzaniga

Sull'Autore

Presidente del Comitato Esecutivo di Libertates. Imprenditore nel campo della stampa e dell’editoria. Da sempre liberale, in lotta per la libertà e contro ogni totalitarismo e integralismo.

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