Lettera aperta a Mario Draghi – IL PNRR DIVENTERA’ UN FLOP, COME DENUNCIA L’ESPRESSO: Se Draghi non fa deficit spending

Data:


“Preferisco avere all’incirca ragione, che precisamente torto”
John Maynard Keynes

“Se diamo retta agli esperti non facciamo niente”
Gianni Agnelli a Piero Ottone

“La realtà ci sta franando addosso. L’aumento del costo dell’energia, con l’incertezza su quello
che accadrà in Ucraina, sta togliendo fiato e speranze all’economia italiana”
Vittorio Macioce, “Lo scudo di Draghi si sta frantumando” il Giornale.it

Caro Presidente Draghi, le scrivo una lettera mentre il Paese Italia sta imboccando un declino pericoloso tra Lux et Tenebris: è vero, ha perfettamente ragione l’Ingegnere Carlo De Benedetti intervistato lunedì sera del 31 gennaio 2022 dalla Lilli Gruber a “Otto e Mezzo” su La 7, tra l’altro in ottima forma che ne mette ancor più in risalto il cosmopolitismo tra i provinciali (il mio cuore batte da sempre per Cdb): temperamento ipomaniacale, il finanziere ha dichiarato al massimo del suo èlan vital tra finanza e giornali nella risposta alla domanda molto puntuale della Gruber: “… Ci sono tante esigenze in campo, adesso: dice Sallusti, la democrazia prevede il dissenso e quindi i partiti politici in un anno elettorale più che senso di responsabilità devono dimostrare lealtà al loro elettorato. Ma questo che cosa ci porterà secondo lei nei prossimi mesi: più stabilità, meno stabilità; che cosa prevede lei, visto anche che il quadro economico – oggi il dato del 6,5% di crescita nel 2021 è molto positivo – ma ci sono appunto molte incognite che ci aspettano e sono con noi, dall’inflazione alla messa a terra del Pnrr alla pandemia che ancora non è finita”.
“… I partiti hanno dichiarato il loro fallimento, però devono prepararsi contemporaneamente a una campagna elettorale che ha una data ben precisa e non spostabile.
Io credo che ci sarà un terremoto nel panorama politico, e questo terremoto io non sono in grado di dire come uscirà…”.
“Mi scusi, Ingegnere, quando lei dice che prevede un terremoto, chi verrà travolto da questo terremoto e come si concretizzerà?”.
“… Non mi permetto di dare suggerimenti a Draghi, posso solo fare degli auspici. Draghi deve andare avanti spedito e deciso sulle priorità del Paese, avendo un atteggiamento fermissimo nei confronti dei partiti”.
“Sono contento e ringrazio il Presidente Mattarella per aver accettato questo sforzo, ci ha guadagnato il Paese. Draghi sconfitto? Non ha capito che questo Parlamento non lo avrebbe mai votato: la paura di andare a casa era troppo grande e poi perché i primi della classe non sono mai amati da quelli che stanno nella graduatoria più bassa”.
“Quindi Draghi in generale fa troppo il primo della classe, lei pensa?”
“No, no. Lo è, non è che lo fa”.

Tuttavia non è sufficiente – per quanto rilevante – essere il primo della classe, ed è comunque meglio essere “primus inter pares”, piuttosto che arrogantemente presentarsi come “primus super pares”; perché si deve poi rinunciare all’Ideologia nell’azione di governo rifiutando il famigerato “concetto di equilibrio” tanto inviso a George Soros, e Lei, Presidente Draghi, commette semplicemente un errore nel non fare il deficit spending (ancorchè a breve termine) facendo quasi lo stesso errore di Milton Friedman all’interno del discorso del 14 dicembre 2020 al Gruppo dei Trenta a Bruxelles che è stato l’anticamera del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza.
Citerò prima Friedman nell’”errore di margine” che commise nel suo libro “La tirannia dello status quo” pubblicato nel 1984 con la moglie – giudicato comunque inferiore, per mancata sistematizzazione del pensiero dottrinale esposto, alla deprecata Teoria Generale dell’Occupazione di 500 pagine dell’avversario John Maynard Keynes –, e che lei reitera nelle sue Considerazioni del marzo 2020 pubblicate sul Financial Times e poi tra il 2021 e il 2022: bocciando tout court il deficit spending – l’unica differenza tra lei e Friedman ancorchè non di poco conto, è
che se l’economista americano lo bocciò in blocco come “provvedimento socialista”, lei subordina invece la spesa pubblica al Mercato (resta il fatto che entrambi la bocciate): –, e poi opererò il contestuale parallelismo tra “l’errore intenzionale nell’argomentazione” svolto da Friedman con alcuni passaggi del menzionato discorso programmatico al Group of Thirty; senza omettere di ricordare ai lettori che Giuseppe Conte, rifiutando in maniera idiosincrasica l’aiuto dal Fondo Salva-Stati in piena emergenza pandemica, creò le condizioni per il suo stesso rovesciamento che senza il contributo del “gambler” Matteo Renzi non sarebbe mai avvenuto: Conte era anti-keynesiano, e la gente ignora che intorno alle idee si generano conflitti: il suo predecessore, Presidente Draghi, diceva ignorando i fondamentali: “Se ci prestano i soldi sotto forma di prestito, li dobbiamo poi restituire”; Conte ignorava – reo confesso – il principio keynesiano che alberga nella stessa Commissione Ue per cui i soldi a debito riattivano i consumi, e la ricchezza generata torna indietro sotto forma di “do ut des” alla Trojka:

“3. Le cause e i rimedi: spesa pubblica, imposte, deficit (da “La tirannia dello status quo” di Milton Friedman, ndr)
“Pongo l’economia tra le prime e più importanti virtù, e il debito pubblico come il pericolo più temibile… Per preservare la nostra indipendenza, non dobbiamo lasciare che i nostri governanti ci carichino di debito pubblico… dobbiamo scegliere tra economia e libertà o confusione e schiavitù… Se incorriamo in questi debiti, dobbiamo essere tassati in quello che mangiamo e beviamo, nelle nostre sussistenze come nelle comodità, nel lavoro e nello svago… Se possiamo impedire al governo di sperperare il lavoro dei cittadini, con la pretesa di prendersi cura di loro, essi ne saranno lieti”.
Thomas Jefferson (Milton Friedman Tax Follies of 1970, in Newsweek aprile 1970, ndr)
Abbiamo documentato, per quanto riguarda i cinquant’anni passati (1930, 1980, ndr), il drastico incremento dell’intervento pubblico, in particolare del governo federale. Questo capitolo analizza le cause di tale incremento e suggerisce i modi per invertire la tendenza.
Interessi costituiti e politiche a senso unico sono spesso invocati per spiegare la crescita dell’intervento pubblico. Un programma pubblico, soprattutto a livello federale, quasi sempre conferisce benefici sostanziali a un gruppo relativamente piccolo mentre nello stesso tempo distribuisce i costi ampiamente (e quindi in misura non avvertibile) sulla popolazione nel suo complesso. Di conseguenza, i pochi hanno un forte incentivo a organizzarsi in gruppi di pressione per far approvare il provvedimento; i molti non si preoccupano neppure di informarsi in proposito, e ancor meno dedicano denaro e tempo per opporvisi. Un legislatore convinto che, in definitiva, il provvedimento danneggi il pubblico, si trova prigioniero di una situazione impossibile. Un voto contro un tale provvedimento suscita un’opposizione concentrata da parte dei pochi che se ne ripromettono un beneficio ma, nella migliore delle ipotesi, otterrà solo un debole e generico appoggio dai molti che ne sostengono il costo.
Come membro del Congresso, Philip Gramm ha detto:
“Ogni volta che voti su qualsiasi argomento, tutti coloro che sono interessati al provvedimento controllano quello che fai e mandano lettere a casa per raccontare alla gente se Phil Gramm si adopera per i vecchi, i bisognosi, i malati, i ciclisti e così via. Ciò è perfettamente legittimo.
Il problema è che non c’è nessuno a controllare se non sarebbe preferibile votare contro il provvedimento…
In queste circostanze, pretendere un comportamento fiscalmente responsabile significa chiedere a delle persone più di quanto non chieda Dio stesso.
Almeno so che, quando vado in cielo – a prendere la Bibbia alla lettera – se ho fatto il bravo, quello che ho fatto sarà scritto nel Libro d’oro.
Qui non se ne saprà mai nulla”. (ancora Friedman non lo poteva sapere, ma nel 1999 l’economista e politico statunitense Philip “Phil” Gramm abrogherà il Glass Steagall Act varato da Roosevelt sulla separazione tranchant tra banche d’investimento e banche commerciali con la legalizzazione ex post dello “shadow banking” che sarà all’origine della Grande Crisi del 2007-2008 e la moglie Wendy Gramm entrò “… a far parte del Consiglio di direzione della Enron, poi rovinosamente
fallita” come si legge su Wikipedia: Jeffrey Keith Skilling, ex Chief executive officer di Enron Corporation, fu tra i finanziatori della campagna elettorale di Bush senior, è stato condannato a 24 anni e 4 mesi di carcere e lo stesso Milton Friedman è stato assunto a libro paga come consulente di Augusto Pinochet nelle università in Cile prima e dopo il golpe dell’11 settembre 1973, con l’istigazione al suicidio di Salvador Allende.
“Le idee hanno conseguenze”: alcune idee hanno come conseguenze la bancarotta fraudolenta della Enron e il colpo di Stato, ndr).
Continuava Friedman: “Benchè corretta, questa spiegazione (di Gramm, ndr) non va abbastanza a fondo. Dopo tutto, lo stesso incentivo a premere sui legislatori esisteva per i gruppi di interesse sia prima sia dopo il 1933, e tuttavia la crescita della sfera pubblica prima del 1933 fu modesta, dopo il 1933 esplosiva. Come i precedenti capitoli hanno dimostrato, il catalizzatore per la crescita esplosiva della spesa pubblica fu il trasferimento di potere dai governi statali e locali al governo federale.
Anche questo poteva avvenire prima del 1933, ma non fu così. Perché?”

Mi sia consentita una digressione, presidente Draghi. Anche Milton Friedman, studioso di grande brillantezza, non rifuggiva dal mito dell’”eziologia” tanto cara a Sigmund Freud nel suo background da studioso di scienze sociali: ma esso è in quanto tale l’illusione ottica del monopolio della verità che affonda le sue radici nella “destra hegeliana” (Hegel): l’assolutismo della Ragione, ed è sempre un po’ stucchevole vederlo all’opera; Dominique Strauss Khan (vedi il film “Welcome to New York” di Abel Ferrara) la pensa come chi scrive: “Gli intellettuali hanno sempre una risposta a tutto”. Ma le cose accadono semplicemente perché devono accadere.

Continuava Friedman, con il suo freudismo piccolo-borghese: “Perché la spesa pubblica esplose negli anni ’30?

La principale ragione per cui i cambiamenti avvennero in quel momento sta nelle fondamentali modificazioni intervenute nell’opinione pubblica. Come dicemmo in Liberi di scegliere, lo spostamento avvenne “dalla fede nella responsabilità individuale, nel laissez faire, nel decentramento e nella limitazione dei pubblici poteri, alla fede nella responsabilità sociale e in uno stato centralizzato e potente… per proteggere gli individui dagli alti e bassi della sorte e controllare il funzionamento dell’economia nell’interesse generale”.
Dopo tutto, questa è una democrazia. Se il popolo disapprova ciò che il governo va facendo, può cambiare governo quando viene il momento delle elezioni: ogni due anni per l’elezione di tutta la Camera e di un terzo dei senatori, e ogni quattro anni per l’elezione del Presidente. Il cambiamento prodottosi nell’opinione pubblica nel 1933 apportò mutamenti nel personale che l’elettorato mandò a Washington.
Durante i sessantaquattro anni tra le prime elezioni presidenziali dopo la guerra civile e il 1933, i repubblicani controllarono la Casa Bianca per quarantotto anni, il Senato per cinquantadue anni e la Camera dei rappresentanti per quarantaquattro anni. A cominciare dal 1933 la situazione si è rovesciata. Durante i quarantotto anni dal 1933 al 1981, i democratici controllarono la Casa Bianca per trentadue anni, il Senato per quarantaquattro anni, la Camera dei rappresentanti per quarantaquattro anni.
Questo ribaltamento fu il clamoroso risultato del fondamentale cambiamento intervenuto nella volontà dei cittadini.
Di più, il mantenimento prolungato dello stesso modello dopo il 1933 dimostra che per molti anni dopo di allora i cittadini in generale furono soddisfatti di ciò che avevano ottenuto.
Un analogo mutamento nell’opinione pubblica si era già manifestato in Europa occidentale molto tempo prima del 1933. Diversi paesi promulgarono ampi provvedimenti diretti a fornire sicurezza dalla culla alla tomba: indennità di disoccupazione, assistenza medica socializzata, aiuti all’infanzia e così via”. Occorre subito un rectius all’affermazione di Friedman, che contiene un’imprecisione provocata dall’ideologia.

Incredibilmente, l’Italia per colpa di Benito Mussolini non ha conosciuto il “miracolo del deficit spending” a causa dell’ostilità del Corporativismo in pieno Fascismo a Roosevelt, anche se Bruno Vespa sembra non capirlo: infatti Piero Ottone, con il consueto cosmopolitismo, notava nel capitolo “KEYNES CONTRO MARX: VITTORIA DELLA MODERAZIONE” della sua opera magistrale “Vi racconto l’economia” a cura di Adele Visconti “Letture per la scuola Longanesi/Petrini”, che:
“… Nel ventennio mussoliniano, i cervelli furono impegnati a sviluppare il tema del corporativismo, senza accogliere i frutti delle esperienze straniere. I dittatori non amano gli economisti, perché credono di poter dirigere i fenomeni economici secondo i propri desideri e i propri capricci: lo si è visto con Mussolini, con Stalin, con Khrusciov. E Keynes era respinto dai fascisti perché, nonostante le innovazioni dottrinali, rimaneva un liberista, e riteneva che lo Stato dovesse intervenire “soltanto” quando le normali leggi economiche funzionavano in maniera poco soddisfacente; ma il liberismo, secondo il verdetto di Mussolini, era marcio e corrotto.
L’Italia rimase pertanto isolata dal mondo e perse anni preziosi…”; non solo, chi scrive si permette di aggiungere – con un certo stupore di fronte ai “latin heroes” –, che l’Italia da Mussolini fino a oggi passando per Moro e Fanfani, ha “saltato” Keynes senza avere nemmeno il Welfare State a differenza dell’Inghilterra (sic), e ai tempi del Covid – 19 non è più un problema: è un’emergenza;
Conte è il degno erede di Mussolini, ma lei, Presidente Draghi, che è superiore per forma mentis a Giuseppe Conte rischia di somigliargli, essendo innamorato del “concetto di equilibrio” – anche se dice di voler applicare la teoria della riflessività fondata da Soros.
Continuava Friedman: “In alcuni paesi, il cambiamento andò oltre e condusse anche alla crescente nazionalizzazione di industrie. Prima del 1933, un tale cambiamento di politica era del tutto estraneo al dibattito pubblico negli Stati Uniti. Esso era un argomento di discussione tra intellettuali nelle università e, in misura minore, tra giornalisti.
La Grande Depressione portò disoccupazione, code per il pane, fallimenti di imprese. Causò una perdita di fede nel sistema economico prevalente, che a sua volta condusse la maggior parte dei cittadini a unirsi agli intellettuali nell’assegnare allo stato un ruolo più grande. Il risultato fu il new Deal.
Allo zio Sam prendere sulle proprie spalle tutte le preoccupazioni e le responsabilità del suo popolo sembrò un’idea splendida. La fede in quell’idea restò forte per decenni. Ma dopo mezzo secolo, a mano a mano che la sfera pubblica si ingrandiva e crescevano i costi per i cittadini, la fede si indebolì.
Un governo forte e centralizzato è il risultato inevitabile di una compagine governativa che cerca di eseguire l’ampia gamma di funzioni che il pubblico gli ha assegnato negli ultimi decenni. Solo da un governo centralizzato ci si può aspettare un’azione efficace per mantenere il pieno impiego, prevenire la recessione, evitare l’inflazione. Nessun governo statale o locale può gestire tali problemi, che sono di dimensioni nazionali. Solo un governo forte potrebbe plausibilmente proteggere più di 200 milioni di cittadini dai rischi della vecchiaia, della malattia e della disoccupazione, per non parlare delle inondazioni e degli altri casi della sorte (oggi si chiama pandemia, ndr). Occorre un esercito di operatori sociali, amministratori, statistici – e chi più ne ha più ne metta – per porre un governo in grado di affrontare i problemi specifici di particolari individui o gruppi.
La verità è che nemmeno un governo forte e centralizzato può svolgere con successo queste
funzioni. Il fatto è stato dimostrato innumerevoli volte: nella forma più estrema, nei paesi comunisti come Russia e Cina, dove la dottrina marxista ipotizza che i cittadini si attengano al principio “da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” (sappiamo però che la Cina è un caso a parte, dove Zbgnew Brzezinsky venne accettato come consigliere dai successori di Mao, ndr). In quelle società il principio non ha mai funzionato: invece, i funzionari governativi sono diventati una “nuova classe” di autocrati privilegiati e hanno asservito le masse. Nel nostro paese tutti i programmi di assistenza sociale si sono rivelati portatori di effetti opposti a quelli che le persone benintenzionate che li hanno sostenuti si aspettavano.
Da sole, le buone intenzioni non bastano. I funzionari pubblici, non meno dei dipendenti delle imprese private, pongono i propri interessi al di sopra degli interessi degli altri.
Classificarli come “pubblici funzionari” (public servants) non modifica questo fatto.
All’indomani della Grande Depressione, il New Deal sembrò produrre risultati desiderabili.
Quando qualche provvedimento non raggiungeva il risultato atteso, divenne consueto dire che l’insuccesso era dovuto a insufficienza di fondi”.

Orbene, Presidente Draghi: qui c’è l’errore intenzionale nell’argomentazione che è un mistero insolubile e che accumuna tanto Keynes quanto Friedman (più forte, o forse solo più fortunato del primo); si può morire, senza ammettere questo sbaglio (come è successo a John Maynard Keynes tra gli altri): la realtà si vendica su chi presume di avere ragione tout court.
Senza il New Deal l’America sarebbe stata travolta dalla miseria e dalla povertà, ed è “una realtà oggettiva” (come direbbe Soros) ma – per non ammetterlo – Milton Friedman osservò che “il New Deal sembrò produrre risultati desiderabili”: è più vero che se fosse vero!
Inoltre, i programmi in deficit di assistenza sociale si sono rivelati fallimentari a lungo termine; nel breve erano una questione di vita o di morte (sic!).
Non è dunque la stessa cosa, presidente Draghi.
Non è forse vero che la gente stava incominciando a morire di fame?
Non è forse vero che, come spiegato con la consueta brillantezza da Massimo Giannini a “Otto e mezzo” versus Franco Bernabè, l’Italia è a rischio povertà oggi, tra il Covid 19 e la crisi ucraina?
Se Friedman si fosse trovato al posto di Herbert Hoover, l’America avrebbe conosciuto la povertà – anche se questo è un ragionamento “controfattuale”; per citare George Soros “Se il Colosseo fosse in Antartide, sarebbe pieno di pinguini”.

Cercherò di essere ancora più concreto: Piero Ottone ne “Keynes contro Marx: vittoria della moderazione” che offre una chiave di lettura alternativa ai Chicago Boys, rilevava quanto segue:

“… Che cos’era stata la crisi del 1929, infatti, se non il grande fallimento dell’iniziativa privata?
E allora bisognava promuovere l’intervento dei poteri pubblici.
Ogni tipo di intervento statale sarebbe stato utile per superare la depressione.
Keynes amava i paradossi. Il governo, se avesse pagato i disoccupati per scavare buchi nelle strade, e poi per riempirli, avrebbe fatto cosa utile; il denaro messo in circolazione per eseguire tali lavori avrebbe attivato i consumi, e il sistema economico avrebbe trovato il suo punto di equilibrio a un livello superiore di occupazione (ma il “punto di equilibrio” è il Grande Fallimento della Ragione che va sostituita con l’Era della Fallibilità, ndr). I paesi colpiti da un terremoto, continuava Keynes, erano fortunati, perché la ricostruzione metteva in moto un processo produttivo che creava maggiore ricchezza. Certo, gli investimenti pubblici miranti a creare opere utili, quali strade, ponti, scuole, sarebbero stati preferibili; ma Keynes, per scandalizzare i suoi avversari, faceva un ragionamento divertente, che ripeto qui a esclusivo uso e consumo di chi predilige i sottili paradossi: la fortuna dell’antico Egitto era la passione dei faraoni per le piramidi, perché l’utilità delle opere pubbliche decresce a mano a mano che esse si moltiplicano, ed è chiaro che una seconda ferrovia Milano – Torino sarà meno utile della prima, ma essendo le piramidi tutte ugualmente inutili, la seconda varrà esattamente come la prima, e la terza quanto la seconda…
Ma la grande crisi fu superata all’improvviso, e in modo integrale, quando scoppiò la guerra, e gli Stati furono costretti dalle necessità belliche a spendere follemente, adottando in pratica le teorie di Keynes.
Dopo la guerra avrebbero imparato a continuare la politica di grandi spese pubbliche, e la prosperità che ne è derivata è la più solenne smentita degli avversari di questo grande economista.
A questo punto dobbiamo anche completare l’affermazione, che si fa comunemente, secondo cui lo Stato in Italia “spende troppo”. E’ vero che il livello di spesa è troppo alto; ma ciò è aggravato dal fatto che lo Stato “spende male”: facendo buchi nelle strade invece che ponti e porti…”.

Spendere male – e in Italia spendere male vuol dire dare finanziamenti agevolati ai Caltagirone e Rovelli, e/o salvare Mps con i soldi dei contribuenti, o ancora minacciare un banchiere se non elargisce i “no performing loans” a Salvatore Ligresti che è stato tra i peggiori imprenditori della storia nostrana –, non significa fare deficit spending, ma questo dibattito non finirà mai.
In America però, dove i Larry Summers e i Bernanke sono condizionati dallo stampo Chicago, è stato scelto il quantitative easing rispetto al deficit spending con il Piano Tarp da 700 trilioni di dollari: segno che anche in America c’è la “tirannia dello status quo” – nel considerare Keynes superato dai fatti –, ma il risultato assai discutibile è di aver salvato l’azzardo morale del “Too big to fail” anziché di aver redistribuito la ricchezza.
Tutte le mode sono caratterizzate dallo schiacciamento sul “punto di equilibrio”, ma la opening society si muove in direzione della de ideologizzazione dei processi decisionali dei policy makers:
solo così l’Occidente potrà salvarsi.
Lei, Presidente Draghi, boccia il principio del deficit spending come se lo stesso avesse una parte in cui “spende male” nei seguenti passaggi del discorso al Gruppo dei Trenta, che verranno qua menzionati. E’ il motivo che sta alla base del suo successo politico come candidato alla successione di Giuseppe Conte e che ha un complesso d’inferiorità verso di lei, ma è anche il suo stesso limite – tant’è vero che sarebbe più corretto dire che lei è il successore di Sir Josiah Stamp piuttosto che l’erede di John Maynard Keynes:

Era il 14 dicembre del 2020, quando Lei – nello stesso stato d’animo di Vincent Van Gogh – che nel dicembre del 1888 propose la “comunità gialla” degli artisti a Paul Gauguin – dichiarò quanto segue:
“… I 10 principi fondamentali – Raccomandiamo una serie di principi fondamentali che rientrano in tre grandi aree di interesse: Concentrarsi sulla salute a lungo termine delle imprese. La durata della pandemia ci costringe a concentrarci su questioni strutturali e solvibilità, piuttosto che acquistare tempo concentrandoci sulla liquidità.

Concentrarsi sull’uso più produttivo delle risorse.
In questa fase è fondamentale che le politiche pubbliche siano orientate verso una forte ripresa economica. Questo è uno dei motivi per sfruttare le capacità del settore privato laddove esistono, per sfruttare le scarse risorse pubbliche e per valutare la redditività delle imprese.
Concentrarsi sulla prevenzione dei danni collaterali. L’esempio principale è evitare conseguenze indesiderate per la stabilità finanziaria, incluso il mantenimento della capacità del sistema finanziario di sostenere l’erogazione di prestiti e la ripresa.
I policymakers dovrebbero fare affidamento su dieci principi fondamentali per contribuire a mettere in pratica queste tre aree di interesse:
1) Agire con urgenza per affrontare la crescente crisi di solvibilità delle imprese. Questa crisi
minaccia una prolungata stagnazione economica e danni per famiglie e danni per famiglie e lavoratori, se precipita in un’ondata di fallimenti o nella creazione di massa di imprese zombie.
2) Indirizzare con attenzione il sostegno pubblico per ottimizzare l’uso delle risorse.
I policymakers devono considerare come allocare le risorse scarse e come facilitare un adeguato assorbimento delle perdite da parte degli attuali stakeholder. L’aiuto indiscriminato comporta il rischio di imporre un onere significativo ai contribuenti (mi permetta, presidente Draghi, ma qui c’è “l’errore di margine”, in quanto lei contestava al presidente Conte di non promuovere la spesa in deficit ignorandone i consigli ad andare in questa direzione e l’opposizione pregiudiziale dell’ “avvocato del popolo” al Fondo Salva Stati poi noto come Recovery Fund lo dimostra, ndr).
Non tutte le aziende in difficoltà dovrebbero ricevere un sostegno pubblico. Le risorse non dovrebbero essere sprecate per aziende che sono destinate al fallimento o che non ne hanno bisogno.
3) Adattarsi alla nuova realtà, invece di cercare di preservare lo status quo. Il settore imprenditoriale che esce da questa crisi non dovrebbe apparire esattamente come prima a causa degli effetti permanenti della crisi. I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni necessarie o auspicabili e gli aggiustamenti nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creatrice” poiché alcune aziende chiudono e ne aprono di nuove, e dato che alcuni lavoratori hanno bisogno di spostarsi tra aziende e settori, attraverso un’adeguata assistenza e riqualificazione.
4) Le forze di mercato dovrebbero generalmente essere autorizzate a operare, ma i governi dovrebbero intervenire per affrontare i fallimenti del mercato che creano costi sociali sostanziali.
5) Sfruttare l’esperienza del settore privato per ottimizzare l’allocazione delle risorse.
L’efficiente funzionamento dei mercati può aiutare ad allocare le risorse (e i costi). I governi sono
sono solitamente meno capaci di scegliere vincitori e vinti e di strutturare iniezioni di finanziamenti
che allineano adeguatamente gli incentivi (è lo stesso pensiero di Milton Friedman, ndr).
Quando si combinano competenze e risorse del settore pubblico e privato, spesso la soluzione ottimale sarà fornire incentivi statali per incoraggiare o incanalare gli investimenti del settore privato.
6) Bilanciare attentamente la combinazione di obiettivi nazionali più ampi con misure di sostegno alle imprese. Molti paesi sono interessati a utilizzare le loro risposte politiche per accelerare i
cambiamenti strategici, come il green o la digitalizzazione. Si tratta di una scelta legittima, ma richiede un attento bilanciamento della volontà di orientare il processo di cambiamento rispetto alla necessità di imporre vincoli eccessivi alle imprese in difficoltà o un’allocazione troppo ristretta del sostegno a pochi settori o imprese.
7) Ridurre al minimo il rischio e massimizzare il potenziale ritorno per i contribuenti.
Le misure di sostegno del governo dovrebbero limitare i rischi per i contribuenti, ad esempio attraverso la distribuzione graduale dei finanziamenti, e comportare alcuni vantaggi diretti, ad esempio attraverso una quota dei profitti futuri.
8) Essere consapevoli dell’azzardo morale senza compromettere gli obiettivi. Laddove le imprese sono entrate nella crisi con un indebitamento eccessivo, c’è il pericolo di “salvare” i proprietari e manager che si erano presi troppo rischi, il che può anche produrre problemi di azzardo morale attraverso l’aspettativa di salvataggi futuri (come è accaduto con il “too big to fail” dei salvataggi bancari di Timothy Geihner a seguito della Grande Crisi del 2008, ndr).
Allo stesso tempo, i governi dovrebbero evitare un’eccessiva attenzione sull’attribuzione di colpe:
un tale approccio potrebbe danneggiare le misure essenziali di sostegno alle imprese necessarie per il bene della società.
9) Trovare il giusto tempismo nella predisposizione e nella durata degli interventi.
I polcymakers dovrebbero muoversi rapidamente, ma disegnare i loro programmi in modo da riflettere l’incertezza della crisi, oltre a mitigare tendenze politiche e burocratiche di rendere i programmi temporanei permanenti (Lei, Presidente Draghi, fonda la sua deduzione sul lungo termine con il risultato di prevenire i programmi temporanei invece che farli! E qui, il diavolo si annida nei dettagli, ndr).
10) Anticipare potenziali ricadute sul settore finanziario per preservarne la forza e consentire a esso di guidare la ripresa.

Decisioni politiche dovrebbero evitare azioni che indebolirebbero in modo significativo il settore finanziario, come costringere le banche a concedere crediti in sofferenza per sostenere l’economia…”. Ecco a voi il fallimento del Quantitative Easing, per ammissione di chi se ne intende!

Questo importantissimo discorso che passerà alla Storia è “eziologicamente” collegato al quasi fallimento del sistema sanitario nazionale, che ora si trova al bordo del precipizio come documenta bene l’Espresso.
Milioni di giovani sono a spasso, e intere aree del Paese – non più soltanto del Mezzogiorno – rischiano di saltare nel giro di pochi mesi.
Se la teoria è collegata alla pratica, il Pnrr ne è la logica conseguenza che della Weltanschauung di Mario si nutre giorno dopo giorno.
Orbene, siamo di dronte ad una Waterloo, e non basta il sostegno passivo dell’Europa che non farà un altro Recovery Fund per spinta d’inerzia, whatever it takes.
Nel dossier “Sanità, il sistema collassa” pubblicato su L’Espresso del 30 gennaio 2022 a cura di Gloria Riva, si legge che:
“Dal Piemonte alla Calabria mancano 17 mila medici e 350 mila infermieri per raggiungere gli standard di Germania e Francia… A RISCHIO IL FUTURO DEL PNRR – Si sbaglia chi spera di sfruttare i 20 miliardi europei del Pnrr destinati alla sanità per dare ossigeno al boccheggiante Servizio sanitario. Quei soldi non potranno essere usati per assumere medici e infermieri, al contrario la metà dei fondi dovrà essere usata per realizzare 1.288 case della comunità, 602 centrali operative territoriali per l’assistenza domiciliare e 381 ospedali di comunità per le cure di lunga degenza, mentre la restante parte servirà soprattutto per digitalizzazione, innovazione e ricerca. Per evitare che i nuovi edifici si trasformino in inutili cattedrali nel deserto sarà necessario assumere altri 30. 485 infermieri entro cinque anni. Ma non è dato sapere come sarà possibile formarli, visto che il ministero non ha sufficienti risorse e l’afflusso di stranieri è bloccato”.

Il ministero non ha sufficienti risorse poiché il Pnrr è destinato soltanto ai fallimenti di mercato, e non perché “non ci sono i soldi”, cioè il solito refrain: il problema è l’ideologia al posto della realtà.
Continua la Gloria Riva: “In futuro gli investimenti programmati del Pnrr genereranno maggiori oneri correnti, basti pensare alle retribuzioni che dovranno essere garantite al personale neo assunto per riempire i nuovi edifici e per mettere in atto le cure domiciliari”, avverte il professor Spandonaro del Crea, che intravede, quale unica soluzione, un massiccio investimento sulla digitalizzazione della sanità e una totale rivoluzione di ruoli e compiti per renderla più flessibile. “Occorre ricordare che il 64% delle risorse europee per gli investimenti pluriennali sono prestiti e, come tali, creano debito”, avverte. Quindi, se gli investimenti programmati non garantiranno una maggiore efficienza del sistema, il precario equilibrio finanziario salterà nuovamente e sarà necessario intervenire con nuovi tagli. Quindi meno medici, meno infermieri e meno certezza di una cura per i cittadini”.

Presidente Draghi, le rivolgo un appello: sia semplicemente keynesiano.
Non neokeynesiano.
La perfezione non è di questo mondo, e non è nemmeno di chi scrive.
Non commetta anche lei, come Benito Mussolini, l’errore di “saltare” Keynes.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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