L’Alitalia è già fallita, ecco la prova

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Tanti piccoli elementi, tante piccole storie si trasformano in una prova

Un giorno del mese scorso, un italiano residente a New York con sua moglie decide, per ritornare in Italia, di prendere un volo Alitalia e di regalarsi un posto in classe non proprio economica.
Ma, una volta arrivato all’aeroporto, scopre che l’aereo è di tipo diverso e che quindi occorre far buon viso a cattivo gioco e sorbirsi tutto il viaggio in classe economica.
Arrivato a Roma compila i moduli per il rimborso (che secondo la migliore tradizione burocratica vanno completati a mano su carta) e attende fiducioso.
Dopo un mese arrivano a casa gli assegni del rimborso (700 euro a testa), che si premura di inviare in banca per l’incasso. Ma ecco la seconda e ben più grave scoperta: gli assegni sono a vuoto, cioè scoperti. Cosa che, se è grave in Italia, è considerata sinonimo di fallimento negli Stati Uniti. Richiesta di spiegazioni alla compagnia, ma il sito annuncia il ricevimento della mail senza dare risposta e il call center afferma che non è compito loro seguire i rimborsi.
Risultato: ennesima figuraccia dell’Alitalia che affronta la concorrenza sempre più serrata nei voli transatlantici tenendo un comportamento arrogante e per di più inspiegabile nei confronti dei propri clienti.
Che significa tutto questo? Che un’azienda è fallita non solo quando è in crisi di liquidità o per improvvisi rovesci negli affari, ma anche quando dimostra di non essere in grado di tener testa alla concorrenza in ogni suo aspetto, comportandosi in maniera sciatta, caotica e, peggio, arrogante nei confronti dei propri clienti, di coloro cioè che la fanno vivere.
Ecco quello che dimostra sempre più di essere l’Alitalia: un’azienda fallita in cui continuiamo (noi cittadini) a gettare miliardi inutilmente. Se ne prenda finalmente atto, si lasci andare l’Alitalia al suo destino e si impieghino questi soldi, piuttosto, per far rinascere un’azienda nuova ed efficiente: i casi Swissair e Banco Ambrosiano siano d’insegnamento.
NB la storia è vera e occorsa a Federico Rampini, corrispondente de “la Repubblica” a New York

di Guidoriccio da Fogliano

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