LA PRESUNZIONE DELLA PSICANALISI ATTRAVERSO LE PAROLE DI GALIMBERTI E SOROS

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La dittatura e i guasti della psicanalisi
E’ stato trasmesso da Raiuno nel caldissimo luglio del 2019 un film di straordinaria eleganza sulla cantante francese Dalida (i francesi, si sa, sono maestri di eleganza), morta suicida a Parigi nel 1987 con un’overdose di barbiturici: “Non riesco più a sopportare la vita. Perdonatemi”, così si congedò nel suo biglietto. La pellicola non risolve l’enigma che sta alla base del misterioso “passaggio all’atto” suicidario – come lo chiamano gli esperti – di questa straordinaria artista con uno slancio vitale apparentemente inscalfibile, ma… lo sfiora quant’è vero Iddio. A un certo punto, infatti, anche se pur un momento brevissimo, compare sullo schermo lo psicanalista freudiano della fragilissima e potentissima Dalida (come lo sono del resto moltissimi artisti), mentre la cantante è sdraiata sul lettino a farsi psicoanalizzare. Ecco dove “il diavolo si annida nei dettagli” (a parere di chi scrive): Dalida è stata istigata al suicidio dalla famigerata psicoanalisi freudiana, perché aveva perso una ad una le sue magiche difese artistiche dal suo aguzzino analista che – come tutti i freudiani presuntuosi di questo mondo – aveva preteso di trovare “razionalisticamente” il dominio causa/effetto nei comportamenti analizzati della nostra Luigi Tenco al femminile:
orbene, l’impostazione freudiana nella cura analitica degli artisti i quali agiscono, creano le loro opere senza pensare, senza sapere perché lo fanno, è potenzialmente un vulnus mortale (al cantante, al pittore, al business man di turno); si tratta all’evidenza di una specialissima categoria di esseri umani che non è inquadrabile nella riduzionistica interpretazione piccolo-borghese del “Cogito ergo sum” – “Penso dunque sono” dell’illuministico sapere.
Dietro l’opera d’arte – che sia una canzone, un quadro o la fondazione di un partito politico – non c’è il pensiero, anzi: c’è il pensiero divergente nel senso più ampio della parola, che potrebbe celare in taluni casi un nucleo duro di schizofrenia quale primum movens.
Lo aiutava a capire perfettamente il filosofo psichiatra Karl Jaspers nei suoi studi patobiografici: “Lo spirito creativo dell’artista è al di là dell’opposizione tra bene e male, e che come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla così di fronte alla forza vitale di un’opera non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita”. Affermazione totalmente “respinta”, invece, dal presuntuoso razionalista illuminista di stampo piccolo-borghese Sigmund Freud fanatico sostenitore della Ratio: “Non ci sono istanze al di sopra della ragione”, e dunque ne discende che il paziente-artista quando è in analisi viene sottoposto ad una razionalizzazione omicidiaria delle sue difese.
Chi scrive, per rendere credibile la propria tesi, si appoggia alla formidabile requisitoria di Umberto Galimberti nel suo libro “Psiche e techne – L’uomo nell’età della tecnica”, che aiuta a capire molto bene perché Dalida si è tolta la vita in giovane età nello stupore generale (54 anni), un testo per il cui carattere di decisività accademica Galimberti dovrebbe ricevere la nomina a senatore a vita per altissimi meriti culturali; quello del professor Galimberti è un memorabile atto d’accusa alla psicoanalisi freudiana, che si eleva a disciplina scientifica senza averne i requisiti per una fede ideologica nel Totalitarismo della Ragione, poiché – come tutte le ideologie – tende all’obiettivo folle dell’equilibrio: Galimberti raccoglie così l’eredità di Oscar Wilde, per il quale era vero che “Chi va sotto la superficie lo fa a proprio rischio e pericolo”:

“17. Il soggetto e l’azione
L’azione è la vera e propria realtà. Ciò che è Io – è mediante l’azione. Novalis, Frammenti (1795 – 1800):
1. Il primato dell’azione e l’arretratezza della psicologia
La psicologia che conosciamo dice Io e parla del soggetto, una costruzione della riflessione, quindi qualcosa di secondario, di cui non si ha esperienza se non postuma, dopo che l’azione è avvenuta e ha lasciato sul campo quel deposito della memoria che la cultura cristiana ha coltivato con la nozione di animale e la cultura moderna con la nozione di coscienza.
Figlia di questi lasciti culturali, la psicologia, nella sua pigrizia intellettuale, ancora non ha avvertito, nonostante le pratiche sperimentali con cui pretende di legittimarsi come scienza, che l’Io, il soggetto, l’anima, la coscienza sono dei derivati dell’azione, nel senso in cui ne parla Novalis quando dice: “l’azione è la vera e propria realtà… Ciò che è Io – è mediante l’azione.
Finchè la psicologia a indirizzo scientifico-naturalistico non dimetterà il suo vano tentativo di cercare di comprendere l’uomo a partire dall’esperimento sull’animale, e finchè la psicologia a indirizzo fenomenologico-ermeneutico, in tutte le sue varianti psicodinamiche, cognitiviste, comportamentiste, sistemiche, sociologiche, continuerà nei suoi sforzi volti ad afferrare l’essenza dell’uomo a partire dai condizionamenti della cultura cristiano-idealistica che parlano di “anima” e di “coscienza”, gli approdi saranno per l’una l’etologia e per l’altra il soggettivismo ingenuo, in quanto all’una sfugge che l’uomo è abissalmente distante dall’animale perché privo di quel connotato primario che è l’istinto, all’altra che l’anima e la coscienza sono il residuato dell’azione, ciò che resta dopo che l’azione ha già creato l’uomo e il mondo (non prima!, ndr).
Occorre a questo punto fondare una psicologia dell’azione capace di evitare da un lato lo sguardo riduttivo sull’uomo, tipico della psicologia scientifico-naturalistica che pensa l’uomo a partire dall’animale, dall’altro lo sguardo reattivo sull’uomo come accade alla psicologia fenomenologico-ermeneutica che non accosta l’uomo a partire dalla sua esperienza immediata della realtà attraverso l’azione, ma dalla sua esperienza seconda e quindi reattiva che è la riflessione sull’azione…”.

Freud, nella sua “tirannia leninista”, era terrorizzato dal fatto che potesse essere messa in discussione la centralità dell’ossessione del Pensiero, che è anche il fondamentalismo della Risposta a ogni domanda (quando non c’è probabilmente una sola risposta a tutte le domande):
“La psicologia dell’azione ha in Schopenhauer e Nietsche i suoi maggiori rappresentanti che la storia della psicologia esclude dalla propria fortificazione. Aggirandola è possibile sentire l’eco lontana di H. von Kleist, Novalis, J. G. Herder che nell’età dei lumi, quindi nell’epoca del pensiero reattivo, non concedono alla ragione di farsi rappresentante dell’anima, mentre più vicine giungono le voci di L. Klages, Th. Lessing, M. Scheler, H. Bergson, H. Plessner, A. Gehlen, le cui intuizioni sono state troppo rapidamente liquidate in una generica e spesso derisa “filosofia della vita”, quando invece il loro tentativo era di evitare che il pensiero imbrigliasse la vita, o che la vita sconvolgesse il pensiero perdendosi con esso. Di questi autori si potrebbe dire quello che G. Deleuze dice di Nietzsche quando lo scorge alla ricerca di quell’“unità che rende l’aneddoto della vita un aforisma del pensiero, e rende una valutazione del pensiero una nuova prospettiva di vita”.

Il filosofo George Soros, contestatore ne “La società aperta” della presunzione narcisistica degli illuministi di “tenere separate e distinte le categorie della ragione e della realtà”, era in accordo a distanza con “l’elogio della conoscenza imperfetta” in chiave anti-freudiana fatto da Galimberti:

“… La possibilità che l’equilibrio non venga mai raggiunto non invalida necessariamente la costruzione logica; ma è certo che presentando un equilibrio ipotetico come un modello di realtà si introduce una notevole distorsione. La geometria e l’astronomia sono sistemi assiomatici perfettamente validi, ma hanno dato origine a false interpretazioni della realtà, come la convinzione che la Terra fosse piatta o fosse il centro dell’universo (e sappiamo cosa è accaduto a coloro che misero in dubbio tali verità)…”.
La presunta scientificità del presupposto soggettivistico della psicoanalisi freudiana o – se si preferisce – del “marxismo psicoanalitico” affonda le sue radici nella “superbia luciferina” dell’Illuminismo: “… La teoria economica classica è figlia dell’Illuminismo. Sappiamo come l’Illuminismo tentasse di stabilire l’autorità della ragione trattando la realtà come qualcosa che se ne stava inerte in attesa di essere interpretata. La ragione poteva quindi ricavare conoscenza formulando enunciati corrispondenti ai fatti. Il prodotto scientifico più rilevante dell’Illuminismo era la fisica newtoniana, e la teoria economica tentò di emularla.
L’equilibrio era un concetto newtoniano, e lo abbracciò.
Se il pensiero poteva essere separato dalla realtà, allora anche la domanda, che è un fattore per lo più soggettivo, poteva essere separata dall’offerta, che è principalmente un fattore oggettivo.
L’aggregazione dei comportamenti di diversi partecipanti presentava delle difficoltà, ma esse si potevano superare postulando una conoscenza perfetta. Questa supposizione era in armonia con una visione illuministica del mondo, ma non reggeva a un esame critico…”.
Ciò è vero anche della psicanalisi a “vocazione kantiana”, che tanto nel passato quanto nel presente postula l’utopica conoscenza perfetta del mondo che è prerogativa dei fanatici.
Non c’è alcun dubbio, infatti, che anche Sigmund Freud – un moralista frustrato che sognava la Città di Dio veluti si Deus non daretur, “abbia tentato di stabilire l’autorità della ragione trattando la realtà come qualcosa che se ne stava inerte di attesa di essere interpretata, postulando la conoscenza perfetta” che è sic et simpliciter inaccessibile – per parafrasare Soros.
Vediamo in conclusione come Umberto Galimberti si muova nella stessa direzione tracciata dall’apologeta della “filosofia pratica” George Soros, a proposito della ricerca fanatica dell’equilibrio nella psicologia:

“2. Azione e alienazione. Il presupposto soggettivistico di Marx e Freud
C’è un senso in cui è possibile dire che, nonostante gli sforzi compiuti in questo secolo di emanciparsi dalla filosofia, la psicologia non ha mai messo in questione il primato del soggetto che il cogito di Cartesio e l’Io penso di Kant avevano inaugurato. Nonostante nessuna osservazione scientifica e nessuna verifica sperimentale siano in grado di suffragare la tesi secondo cui l’azione è successiva e dipende dalla decisione dell’Io, la psicologia continua a muoversi in questa tradizione di pensiero e, nelle sue produzioni, a ribadire questa posizione al di là di tutte le possibili obiezioni e le prove contro.
Continuava Galimberti con l’“ideale della società aperta” di Soros: “E’ vero che un settore della psicologia: la psicoanalisi, constata che molto spesso l’azione è promossa da motivi inconsci che sfuggono al controllo dell’Io, per cui l’Io è alienato, ent-fremdt, estraneo alle proprie azioni, ma questa estraneità è considerata provvisoria, nel senso che il progresso della civiltà su larga scala, o la cura analitica nel caso particolare, hanno come scopo quello di superare l’alienazione, e di condurre l’Io al pieno possesso delle sue azioni, come vuole la formula freudiana secondo la quale: “La psicoanalisi è uno strumento inteso a rendere possibile la conquista progressiva dell’Es da parte dell’Io” perché occorre: “Rafforzare l’Io, renderlo più indipendente dal Super-io, ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. E’ un’opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuiderzee”…”.
Una frase come questa è totalmente in linea con il manifesto totalitario dello stesso Freud:
“Non esistono istanze al di sopra della ragione”.
Tradotto: si tratta di ideologia bella e buona, che non contempla la Libertà degli uomini ma ne teorizza la “schiavitù illuminata” in continuità con i Lumi:

“Il concetto di alienazione, di Entfremdung, o, se si preferisce, di estraneità, pensa l’azione come un inconscio estranearsi dell’Io, la cui libertà sarebbe compromessa se l’Io non riuscisse a riappropriarsi della sua estraneazione. Qui Freud pensa come Marx, per il quale quando i prodotti dell’attività lavorativa si autonomizzano, essi dominano la vita degli uomini piuttosto che essere dominati. La rivoluzione ipotizzata da Marx e la cura analitica ideata da Freud si giustificano solo nella prospettiva di restituire all’Io (al lavoratore, all’uomo) la disponibilità delle sue azioni, il recupero della sua parte alienata. Se questo è vero, marxismo e psicoanalisi sono, ciascuno nel suo campo d’applicazione, fedeli esecutori del programma idealistico dove la libertà dell’Io è nella riappropriazione di quella autonomia che era andata perduta nell’alienazione”.
Nelle sue conclusioni, Galimberti meriterebbe come già scritto la nomina a senatore a vita per aver disvelato la “psico-dittatura” di Freud che ammazza i pazienti:
“La formula idealistica è passata dalla filosofia alla psicologia e alla sociologia, assegnando a questi ambiti il loro compito: ridare al soggetto il potere di disporre dei prodotti della sua autonoma attività in cui si era estraneato (alienato), e quindi ricomprendere l’azione nella soggettività. Neppure il sospetto che la libertà si dà proprio nell’alienazione, nell’estrinsecarsi dell’azione da cui la soggettività dipende, non essendo il soggetto altro che l’interiorizzazione dei risultati conseguiti dall’azione. Ma allora, se l’azione è la condizione d’esistenza di quell’essere manchevole che, come scrive Gehlen: “è costretto ad essere attivo per poter vivere l’indomani”, la psicologia potrà dire qualcosa di sensato sull’uomo solo partendo dall’azione e non dalla soggettività che è un prodotto dell’azione”. Ps – Azione versus riflessione: questa dovrebbe essere la parola d’ordine. Ma la psicologia, rimane presuntuosa. Sappiamo così poco di questo mondo, e come ricordava il liberale Piero Ostellino ne Lo Stato Canaglia “soltanto il moralista frustrato sogna la Città di Dio”.
Il guaio è quando si diventa prigionieri del suo sogno.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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