LA LUCIDITA’ DI GIANNI BARBACETTO, MEDIOCREMENTE GENIALE

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“Come si può proporre di dedicare una strada o una targa a un condannato in via definitiva per numerosi reati, morto latitante all’estero?”
Gianni Barbacetto

No, il titolo di questo articolo non è una provocazione – come i lettori potrebbero pensare ad una prima impressione. Ma ci arriveremo per gradi. Il 5 novembre 2021 mi trovavo alla stazione di Roma Termini perché ero andato nella capitale il giorno stesso a tentare di occuparmi del salvataggio in extremis della villa di famiglia che mia madre rischia di perdere ed è costretta ad affittare – “Roma città eterna” –, e alle 3:30 – al termine d’un pranzo di colazione durato 2 ore – trovandomi nella stazione sono andato più che altro per ammazzare il tempo, a guardare la libreria Feltrinelli che in vent’anni non è mai cambiata: è curiosamente rimasta sempre la stessa.
C’è un errore – lo dico senza il trucco dei finti romanticismi melanconici, che giustamente irritano un maestro della penna come Filippo Ceccarelli – che ho commesso nella mia vita al prezzo di gravi conseguenze: il “monoideismo orientato” legato al pallino monotematico della passione politica, fin da ragazzino con il risultato catastrofico di avere distrutto la mia carriera scolastica terminata quando avevo 15 anni (sic!), e di avere in seguito slatentizzato il mio disturbo bipolare.
Pablo Picasso diceva: “Impara le regole come un professionista affinchè tu possa infrangerle come un artista”. Orbene, quand’ero in giro per la stazione di Roma Termini il 5 novembre riflettevo melanconicamente su questi fatti, ritenendo a conclusioni sincere – senza tentare di ingannare autoassolutoriamente me stesso – che per questo motivo all’età di 33 anni faccio più parte della categoria dei perdenti che dei vincenti: ma la vita è velocissima, ormai quello che è successo è successo “ca va sans dire”; anche se la letteratura è entrata a far parte della mia vita, meglio tardi che mai. Il punto è un altro, cari lettori. Dicevo in premessa: arrivato alla stazione di Roma Termini, sono andato a guardare la libreria e ho trovato l’ultimo saggio scritto da Gianni Barbacetto, poi acquistato “La beatificazione di Craxi – Le falsità e i luoghi comuni sul leader politico che continua a dividere gli italiani” edito da Chiarelettere: ciò che è incredibile è che Barbacetto, come diceva Giorgio Stracquadanio, è uno scrittore abbastanza mediocre che in trent’anni ha scritto sempre gli stessi articoli su Craxi, Berlusconi e Andreotti. No, non è una battuta: ha ripetuto lo stesso pezzo all’infinito, da monotematico uguale a se stesso, anche se con un’originalità che dalle righe sempre traspare ogni volta che Barbacetto lo si legge: qui francamente c’è del genio.
La genialità si nutre in un certo senso della mediocrità trasformata in opera d’arte.
Sarà per questa ragione, che l’autore di questo pezzo un po’ inutile e grigio ha deciso di acquistare l’ultimo sforzo dell’unilaterale Barbacetto: ma a questo mondo, non sappiamo perché facciamo quello che facciamo, che si tratti dell’acquisto di un libro o della seduzione di una donna, ecc…
Così – quasi contento, anche se ho dei problemi di salute in seguito al II vaccino Moderna – metto il mio acquisto nella borsetta che mi accompagna durante il viaggio di rientro verso la Liguria.
Rientrato nell’appartamento di Recco in via Massone, mi propongo finalmente di leggerlo, ma lascio perdere velocemente – perché l’astenia post vaccino, in contrapposizione alla vitalità maniacale della I dose, ha conseguenze fortissime sulla mia salute inducendomi a dormire in continuazione; il 7 novembre alle 5.00, svegliatomi dopo 13 ore di sonno, comincio tra le frustrazioni a pensare ai piedi rossi delle donne di 50/60 anni – frustrato soprattutto per non essere riuscito a leggere “La beatificazione di Craxi”. Ma la mediocrità eccita tantissimo, e piace anche alle signore che la godono attraverso l’idealizzazione della prestanza interventistica.
Intanto cito Gianni Barbacetto nella sua conclusione del menzionato libro “Il complotto della Cia (con confessione dell’autore)”:

“Quando arriva Mani pulite e Craxi, senza più voti in Italia, decide di scappare ad Hammamet, Sigonella diventa la spiegazione di tutto: gli Usa hanno voluto punire il leader socialista per lo sgarbo commesso nel 1985. Lo hanno fatto dando sostegno e informazioni a Di Pietro, forse anche attraverso la Cia, affinchè distruggesse Craxi e, con lui, la Prima Repubblica.
Con il risultato di aggiungere alla vendetta anche la soddisfazione di poter partecipare alla divisione dei tesori nazionali, quando nei primi anni Novanta vengono privatizzate le aziende di Stato.
Precisa Barbacetto: “Ebbene, a questo punto, chi scrive deve raccontare una vicenda che lo ha coinvolto di persona. Confesso. Anch’io ho fatto parte del “grande complotto” degli Stati Uniti, dunque della Cia, per sovvertire l’ordine costituzionale, uccidere la Prima Repubblica, punire ed esiliare Bettino Craxi. Ho dato anch’io il mio contributo, nel 1992, presentandomi più volte presso il consolato Usa di Milano. A vent’anni dalla morte del leader socialista, devo raccontare la verità.
Sì, è tornato di moda spiegare Mani pulite come complotto americano. Ha (ri) cominciato Bobo Craxi, il figlio di Bettino, dichiarando a “Repubblica”: “Alla fine della guerra fredda bisognava ristabilire un nuovo ordine, in economia e in politica. E siccome non erano più tempi di golpismo militare, si scelse l’arma del golpismo giudiziario. L’ordine, se così si può dire, venne da chi aveva vinto la Guerra fredda, dagli americani”.
Aggiungeva Marcello Sorgi nel suo libro, Presunto colpevole: “Che qualcosa ci sia stato, e il lavoro dei pm di Mani pulite abbia potuto essere monitorato dall’occhio attento degli osservatori Usa, è sicuro”. Ma monitorato o teleguidato? La seconda, dicono i craxisti ortodossi, che indicano come pupari il console generale degli Stati Uniti a Milano Peter Semler e l’ambasciatore a Roma Peter Secchia.
Lo suggerisce anche una scena del film di Gianni Amelio, Hammamet: quella in cui il nipotino di Craxi gioca sulla spiaggia e ricostruisce la scena di Sigonella con i soldatini americani che circondano un aeroplanino e i carabinieri italiani che circondano gli americani: Mani pulite esce come punizione degli Usa per Sigonella.
Ebbene, perdonerete il cronista che parla in prima persona, ma le confessioni si possono fare solo così. Io, dunque, nel 1992 in cui Mani pulite iniziò, fui chiamato al consolato americano di Milano e fui “intervistato” dai funzionari statunitensi. Allora ero un giovane giornalista appena assunto dal settimanale della Rizzoli “Il Mondo” e avevo da poco pubblicato, nel 1991, il mio primo libro, Milano degli scandali, scritto con Elio Veltri, edito da Laterza e con una bellissima prefazione di Stefano Rodotà. Nelle pagine di quel libro, erano raccontate storie di corruzione della Milano da bere e delineato il sistema che sarà da lì a poco chiamato Tangentopoli. Uno dei protagonisti era uno sconosciuto magistrato della Procura di Milano, di nome Antonio Di Pietro.
Negli anni precedenti avevo contribuito a fondare il mensile “Società civile”, voce dell’omonimo circolo milanese inventato nel 1985 da Nando dalla Chiesa, che quel sistema raccontava da anni, sbeffeggiato dai socialisti che ci chiamavano “moralisti”, “giacobini”, “sfascisti”. Proprio su questi temi – la corruzione, il sistema dei partiti, il circolo Società civile, la nascita di Mani pulite – fui “intervistato” in consolato (se non ricordo male, da Sharon Mercurio, che poi divenne viceambasciatrice in Norvegia) dopo essere stato contattato da Giuseppe Borgioli, che lavorava per il consolato e che mi spiegò che quello delle “interviste” era un metodo normalmente usato dalla diplomazia Usa per raccogliere opinioni sulla vita politica e culturale del paese. In maniera trasparente, senza le buste gonfie di dollari che Giuliano Ferrara racconta di aver ricevuto dalla Cia.
Poi mi fu proposto di partecipare ai viaggi di studio negli Stati Uniti tradizionalmente orgabizzati dall’Usis (United States Information Service). Nulla di segreto: partì, nell’ottobre del 1992, un gruppo di persone tra cui il sociologo Nando dalla Chiesa, il magistrato Antonio Di Pietro e il suo più stretto collaboratore, il capitano dei capitani Roberto Zuliani. Visite e incontri istituzionali tra Washington e New York, Miami e Los Angeles. Per me la proposta del viaggio cadde, forse anche perché il mio secondo libro, Il grande vecchio, raccontava le stragi italiane sottolineando il ruolo degli Stati Uniti nella strategia della tensione. Complotto, dunque? Piuttosto, legittimo monitoraggio di un fenomeno che stava cambiando la società italiana. Per aver visto da vicino com’è nata, so che Mani pulite è stata un’indagine giudiziaria avviata dopo innumerevoli tentativi dei magistrati italiani di perseguire, com’è loro dovere, la corruzione politica. Ci avevano provato più volte negli anni precedenti, ma erano sempre stati fermati, perché il sistema politico era forte e riusciva a controllare anche pezzi del sistema giudiziario, specialmente a Roma, il “porto delle nebbie”.
E perché, nel mondo diviso in blocchi, il sistema dei partiti organizzato attorno alla Dc era improcessabile per motivi geopolitici.
Nel 1992 saltano i tappi. La Guerra fredda è finita, il blocco sovietico è imploso e gli Stati Uniti, che dal dopoguerra avevano sempre condizionato in modo pesante, in nome dell’anticomunismo, il nostro paese, osservano ciò che succede, forse cercano di condizionarlo, ma lasciano sostanzialmente l’Italia al suo destino. A determinare la fine di Craxi e degli altri leader della Prima Repubblica non è stata, dunque, la Cia, ma la loro voracità. La linea 3 della metropolitana milanese costa 192 miliardi di lire al chilometro, contro i 45 della metropolitana di Amburgo. Il passante ferroviario di Milano costa 1000 miliardi a chilometro, quello di Zurigo 50. L’ampliamento dello stadio San Siro costa oltre 180 miliardi, quello di Barcellona 45. Complotto della Cia?…”.

Ps – Nominare senatore a vita Gianni Barbacetto per alti meriti culturali, uno dei più accaniti oppositori della Duomo Connection e della Milano da bere, un po’ mediocre un po’ originale, è una cosa possibile e doverosa, e qualcuno deve avanzare la proposta al capo dello Stato Sergio Mattarella.
Io, che ho finito di scrivere questo pezzo “fragile” la domenica piovosa del 7 novembre, domani 8 novembre prenderò come al solito un caffè presso il bar Massone e sarò stimolato ad andare alla toilette nell’appartamento di Recco dove abito. Ma non avrò la carta igienica.
Alle 5.00 del mattino sentirò – come sempre – il netturbino che pulisce la strada, divorato vivo dalla melanconia e dall’astenia (mai avessi fatto il vaccino).
La vita ha un lato di tragedia, ed è la tragedia del limite.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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