Keynes e Freud sono morti a Parigi

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Un’analisi psicologica dei fatti di Parigi: a fallire è lo Stato che, come il malato che non vuol guarire, ha permesso che, alla faccia delle regole di mercato, le banche più compromesse fossero aiutate anziché costrette a pagare per i propri errori

Si possono comprendere i drammatici fatti terroristici che hanno insanguinato Parigi con la denuncia del vero omicidio che è stato consumato in Occidente all’insaputa di quasi tutti: l’economista liberal-liberista John Maynard Keynes e il fondatore “turbo-realista” della modernissima psicanalisi Sigmund Freud sono stati assassinati dalla cosiddetta “society too big To fail” (la società troppo grande per fallire).
Narcisisticamente troppo grande per fallire. In un solo modo, ma dalla disastrosa efficacia e pura follia: il “moltiplicatore keynesiano al rovescio” che prevede, per dirla alla Nicola Walter Palmieri, la violazione di “tutte le regole del libero mercato le quali avrebbero imposto che le banche incompetenti fossero lasciate fallire, i loro direttori e azionisti lasciati con l’onere dei debiti e delle perdite, il campo lasciato libero a imprenditori nuovi sui quali non gravava la pregiudiziale di incompetenza e colpa” con la motivazione sottostante del disturbo narcisistico di personalità cloister I, cioè “siamo troppo importanti per fallire”, quando è plasticamente vero il contrario.
E’ incredibile a dirsi, ma l’unico intellettuale veramente libero in Italia a disvelare la suddetta follia è stato Nicola Palmieri, denunciando che il “neocomunismo” nei confronti dei derivati, mafia di Stato, è un’uscita aberrante dal “principio di realtà”; a futura memoria per la storiografia versus ideologia: “La procedura normale sarebbe stata di mandare a casa i quadri direttivi delle banche, lasciare che gli azionisti perdessero i loro investimenti (come è regola per il capitale di rischio: l’alea di perdita dell’investimento è la contropartita del potenziale di vincita). Lo Stato americano salvò persino la società American International Group, Inc., che non aveva finanziato nessuno. Fu pura follia…”.
Nel seguente passaggio del suo ragionamento sorretto da una micidiale razionalità cartesiana, l’avvocato Palmieri sottolinea che lo Stato non permette proprio la salvifica autoregolamentazione del mercato poiché questa contempla l’opzione del “fallimento accettabile” al posto della scellerata idea “there is no alternative” (non c’è alternativa) : “Beneficiarie dei fondi di salvataggio furono proprio le banche che avevano maggiormente contribuito a causare il danno, quelle che avrebbero dovuto risponderne. Ricevettero il premio per la loro riprovevole condotta. Le grandi banche avevano (e tuttora hanno) un forte incentivo a condurre i loro affari spericolatamente, in modo rischioso, erano (e sono) sicure che, in qualunque difficoltà si trovassero, lo Stato sarebbe venuto in loro aiuto con denaro del contribuente, e le avrebbe salvate dal fallimento come aveva fatto ripetutamente in passato perché, così pensavano con convinzione non contraddetta dai fatti, “lo Stato non può permettersi di farci fallire, perché siamo troppo grandi e il danno alla società di un nostro fallimento sarebbe incalcolabile e irrimediabile”. Erano forti dell’implicita aspettativa dell’aiuto di Stato”.
Qual è la conseguenza plastica della suddetta distorsione su base clinicamente freudiana del “minimo pulito concetto di economia di mercato”? La descrisse il 7 febbraio 2015 l’analista lacaniano Massimo Recalcati per aiutare a comprendere la genesi dell’offensiva terroristico-stragista dell’Isis verificatasi già a Parigi, anche se con la forzatura ideologistica di Marcuse e company: “Il fatto che l’Occidente non sia più in grado di ripensare consapevolmente le sue forme (alienate) di vita, ha spalancato la possibilità che la critica all’esistente abbia assunto le forme terribili di un ritorno regressivo all’ideologia totalitaria… E’ un insegnamento della psicoanalisi: quello che non viene elaborato simbolicamente ritorna nelle forme orribili e sanguinarie del reale…”. Per dirla alla Palmieri ri-aggiornato, lo Stato nevrotico-socialista dei Derivati che non si preoccupa di salvare i clienti delle banche, che non ha lasciato che “altre banche prendessero il posto di quelle “troppo sciatte e pericolose per continuare a esistere”, che ha violato la regola fondamentale della competitività, quella di non prestare aiuti (di Stato) alle banche insolventi e che non ha consentito al Mercato di aggiustarsi da solo (sic!), si ammala come il paziente che non vuole guarire, e con il rafforzamento della paranoia difensiva del polo identitario d’appartenenza, presta il fianco all’aggressione del “nemico esterno”. Cioè il terrorismo, appunto, come reazione folle alla rimozione delirante del cambiamento. E’ quasi la stanchezza bipolare dell’Occidente a chiedere il terrorismo in casa nostra. Perché, come ci ricorda Freud, “non siamo padroni a casa nostra”…

Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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