Intervista a Adriano Teso: quale futuro ci aspetta?

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Cammino per la strada nel gelo di un pomeriggio di febbraio: piove, ho freddo. Devo intervistare Adriano Teso: provo a pensare a qualche domanda che possa apparire meno stupida di quanto la differenza di esperienza tra di noi farebbe presagire. Rassegnato, ripasso il personaggio navigando in rete: leggo “Presidente del Gruppo IVM, leader nel settore di vernici per il legno”. Un noto imprenditore. Ma anche un politico, e per giunta di spessore: “Già candidato sindaco di Milano, parlamentare con Forza Italia, Sottosegretario di Stato per Lavoro e Previdenza sociale”. Ecco, io a uno così cosa chiedo? Ci tengo a far bella figura. Beh, almeno evitare una figuraccia.
Adriano Teso mi accoglie con garbo. Mi può concedere un’ora del suo tempo: si scusa, perché poi sarà costretto a tornare a casa per cena. Gentile. Anche i grandi imprenditori tornano a casa per cena come gli altri? E poi, chi se lo immaginava che fossero anche gentili?
Ci accomodiamo nel suo studio, e lui sembra contento: anzi, sembra quasi impaziente di parlare, discutere, confrontarsi. Persino con me. Wow, e io che mi preoccupavo. In fondo, a volte, basta chiedere. Questa è la nostra chiacchierata. Naturalmente le mie domande le ho aggiustate per comodità di lettura: dal vivo, sono certo di averle poste assai più confusamente. Per fortuna, gli imprenditori sanno anche essere pazienti.

Leggo un brano trovato in rete: «Siamo in un Paese che da oltre 20 anni ha piena occupazione. Non c’è un italiano che ricerchi un posto di lavoro, uno qualsiasi, non il lavoro dei propri sogni, che non lo trovi» Adriano Teso, 2008. Onorevole, cos’è cambiato?

Beh, diverse cose. Primo: lo Stato continua a mettere ostacoli alla creazione di impresa, inoltre sono arrivati molti stranieri che hanno preso i lavori che gli italiani non vogliono più. Il crollo generale dell’economia del 2008 ha avuto diverse cause: non ci si rendeva conto delle conseguenze della globalizzazione- pur rimanendo quest’ultima un’ottima cosa per il consumatore e per la concorrenza. Ecco, qualche regola bisognava darla. Perché portava a confrontare mercati con condizioni di lavoro e gestione imprenditoriali completamente diverse, e con una rapidità che all’epoca nessuno poteva immaginare. Tramite internet, ma anche attraverso una logistica che sta facendo cose rapidissime: ad esempio, stanno ultimando una linea ferroviaria Mortara-Cina. Con 150 ore di treno le merci arrivano dall’altra parte del mondo, e l’Italia, ahimé, è un po’ ferma. La Germania ha 32 compagnie ferroviarie in concorrenza, noi una sola e per di più non in concorrenza. E i porti? La nostra gestione è rimasta a quando c’erano i camalli. Il fatto, poi, che il governo dica e pensi di agevolare l’impresa o di fare cose a favore dell’impresa…No. Non devono occuparsi delle imprese, ma togliere ostacoli e procedure che ci sono: poi che vengano a controllare, caspita. Semplicemente che lo Stato faccia marcia indietro, del resto se ne occupa il mercato. E che faccia le cose fatte bene: che la giustizia funzioni. Le imprese possono lavorare bene a patto che si corra ad armi pari: siamo alle olimpiadi, non possiamo correre con gli scarponi e gli altri con le scarpe da corsa.

Una marcia indietro statale, dunque, e più spazio alla libera impresa. Entrando nello specifico: procedure, burocrazia e…tasse?

Prendiamo un piccolo-medio imprenditore. Con le prime 6 o 7 tasse, uno può pagare anche l’80%. Cosa che non accade in nessun altro paese al mondo. Che significa? Non permettere alle aziende di investire in ricerca, nella crescita, e per retribuire meglio i collaboratori. Ormai il collaboratore ha un costo aziendale di 100 e un ricavo (in percentuale) di 38-39. In qualsiasi altro paese, con i fondi pensione coperti ci sono 20 punti di differenza. L’italiano non si rende conto: fa pochi confronti e vive più o meno ai massimi livelli. Il resto del mondo è completamente diverso. Con un costo del lavoro a 1 euro all’ora, o 120 dollari al mese. Parametri inaccettabili, ma bisogna sapere che altrove è così. Il nostro primo dovere è mantenere l’occupazione, ma se noi non procuriamo ricchezza con cosa le paghiamo le merci? Pensi alle infrastrutture, alla sicurezza ambientale, ai porti o alle ferrovie: lì c’è lavoro per i prossimi 50 anni. Si è allungata l’età media: assistenza, modo di vivere, la gestione del risparmio. “Job act” o no, legge Fornero o meno: chi mantiene la gente che va in pensione? O si lavora di più, o si lavora meglio e si risparmia di più.

Questi problemi esistono e gli strumenti ci sono. Ma se guardiamo i numeri, i conti dello Stato sono terribili. C’è chi dice: bellissimi discorsi, ma politiche che alleggeriscano il costo del lavoro e abbassino la tassazione avrebbero una ricaduta su conti pubblici. Cosa pensa delle aziende private che, anche tramite piani di “Csr”, investono in infrastrutture? Se abbiamo un debito pubblico elevato, non pensa che una maggiore iniziativa dell’industria privata nel pubblico potrebbe aiutare?

Non lo auspicherei. Noi singoli cittadini, che lavoriamo per vivere bene, ci rendiamo conto che assieme si vive meglio. Da qui, lo Stato. Che ha alcuni compiti precisi: la difesa, ad esempio, ma anche dare alcune regole generali, che vanno rispettate, come la gestione dei monopoli naturali. Quelle cose che sono di nessuno o tutti: non puoi costruire due ferrovie una di fianco all’altra, la cosa va regolata. Con concessioni, però, scalabili; e devono essere contendibili. Uno stato non può dare a vita una concessione ad una persona. In Italia ogni tanto qualche dubbio viene. Un’impresa faccia impresa, rispetti le regole. Piuttosto, laddove serve, sceglierei dei dazi compensativi. Ci sono Stati che costruiscono grattacieli con canne di bambù, inquinano, sfruttano ragazzini di 12 anni: noi diciamo che si può vivere bene senza adottare quel modo di lavorare, per noi è l’antichità, e a noi rispettare le regole costa questo. I tuoi prodotti fanno concorrenza ai nostri? Le vostre regole sono incivili, quindi pareggiamo la differenza con dazi.

Forse Xi Jinping non sarebbe d’accordo con lei. Recentemente il ministro dell’Economia Padoan, in un’intervista, ha messo in guardia l’Europa dagli effetti del protezionismo Usa… A questo proposito, come vede la politica protezionistica di Trump?

La vedo come un dovere. La politica economica è una mediazione. Mi occupo anche di conti pubblici e aziendali: da noi, con 40 ore di lavoro, rispettando le regole di sicurezza e con 4-5 settimane di ferie, si può vivere bene. Se evitiamo di mantenere chi ruba e chi si porta via i soldi senza creare vero valore aggiunto. Non è egoismo: connettendoci possiamo migliorare a casa di entrambi. Vediamo quali sono gli accordi: accetto le tue merci, ma non per lasciare a casa le mie persone. Ti mando alcune cose, tu ne mandi altre, specializzandoci maggiormente si vive meglio da entrambe le parti. Non sono egoista nel senso cattivo del termine: ma prima penso alla mia famiglia, alla mia nazione, alla mia comunità. Non posso pensare a 8 miliardi di persone danneggiando gli italiani: delle regole dobbiamo darcele. Del resto, non possiamo nemmeno tirarci dietro “alcuni figli di papà”: a Roma non trovano camerieri italiani, nei campi da poco qualche giovane sta riprendendo a lavorare. Se tutti vogliono fare il presidente di qualcosa possono farlo, ma devono sapere che l’asticella è alta, vengono fuori solo i più bravi. Come ad esempio Bill Gates: è tra i più ricchi al mondo, e fa socialità pagando le tasse. E la fa anche lo Stato rispettando le regole. Ogni giorno il vero padrone della nostra azienda è il cliente: che sceglie me o un altro per precisi motivi, se noi domani non rispondiamo alle sue esigenze va da un qualcun altro.

Socialità, pagare le tasse. Il tema è di grande attualità: una delle proposte più chiacchierate è quella della cosiddetta “Flat tax”. Tutti ne parlano, pochi entrano nel merito. Intanto: secondo lei sarebbe utile?

No. Chiariamo una cosa importante: non si può parlare di “Flat tax” come se fosse LA tassa. Ci sono 250 tasse, quindi bisogna parlare di pressione fiscale complessiva. Poi, bisogna capire come questa pressione viene regolata: ad esempio, quanto vogliamo che sia applicata sui beni di consumo (quindi l’IVA), quanto sul reddito, e quanto ci si debba concentrare sull’abolire un sacco di tasse, magari concentrandone alcune in una piccola patrimoniale. Tre tasse, basta. Il bollo auto? È una patrimoniale. Per di più una piccola patrimoniale, uno 0,8%, oltre ad eliminare moltissime piccole tasse ha il vantaggio per lo Stato di “incassare” tutti gli anni. Mentre ad esempio la tassa di successione ha cadenza di circa 30-40 anni. Mediamente, poi, ci sono furbizie di ogni genere per dribblare alcune incombenze… Ecco, una patrimoniale tutti gli anni avrebbe anche il vantaggio sociale di non permettere di vivere “gratis” per generazioni. Non si può più fare così. Bisognerebbe quindi calcolare la pressione fiscale su questi tre elementi: ci sta una pressione fiscale complessiva 40-42% massimo per un cittadino, non l’80 come accade per molti. Tornando all’ipotesi “Flat tax”: penso che bisognerebbe togliere le tasse sui redditi minimi, eliminando tanta di quella burocrazia che non finisce più. Una larga fascia che non paga le tasse, dunque. Poi, da un certo reddito in poi, due o tre fasce che chiaramente paghino le imposte. Chi guadagna di più paga di più: anche un grande economista come Antonio Martino parlava di 2 o 3 tasse complessive e non di una sola. Pensi a quanta burocrazia si elimina, ma tutto in maniera molto più trasparente. Con la tassazione generale ora si vanno a pagare pensioni da 20-30 mila euro al mese. Per fare un confronto, in Germania al massimo si arriva a 2500. Io Stato devo garantire una pensione dignitosa per chi ha lavorato e si è messo via i suoi soldi. Non devo occuparmi delle pensioni dei ricchi.

Una delle obiezioni più comuni, in tema “Flat tax”, è quella relativa alle coperture: chi la propone sostiene di “coprire” le minori entrate con un recupero sull’evasione, mentre chi la osteggia ribatte che, andando a sostituire l’Irpef, in realtà non sia così. Perché l’Irpef “agisce” in larga parte su lavoratori dipendenti e pensionati: che, numeri alla mano, hanno una percentuale di evasione vicina al 10%…

Nei programmi non c’è scritto nulla di preciso, al momento va tutto per slogan: che ci sia necessità di semplificare la tassazione e ridurre la pressione fiscale è ormai chiaro. In questi anni i governi si sono portati a casa un sacco di soldi con provvedimenti come il ticket di revisione dell’auto, il bollo sui passaporti, le tasse sull’energia. Ma dico, uno parla della “Flat tax”? Bisogna parlare di pressione fiscale complessiva. Chiunque governerà, di certo farà qualcosa come riforma fiscale, che deve partire in contemporanea con un taglio di costi. Nessuno dice qual è il vero debito pubblico, che non è di 2.300 miliardi, ma di circa 5.000. E i debiti delle regioni? Non sono forse “pubblico”? Altri elementi: tutte le nazioni con cui ci confrontiamo hanno un fondo pensione coperto, noi invece… Per dirne un’altra, siamo l’unico paese civile che paga i fornitori ad oltre un anno, gli altri hanno tempi attorno ai 30 giorni. Siamo sostanzialmente in “Pre-default”: o si comincia a mandare in galera chi ruba, chi favorisce gli amici degli amici, chi compra alberi al doppio della cifra che costano… In azienda, uno così lo licenzi. Abbiamo bisogno che la giustizia funzioni. E che ci siano direttori di ministero che sappiano operare bene: quando uno è al governo, può fare. E se le persone non funzionano, si cambiano.

D’accordo. Ma allora com’è possibile che negli ultimi decenni nessun governo sia riuscito ad invertire nettamente la tendenza? E parliamo di schieramenti anche politicamente opposti tra loro…

Qualche storico la spiega così, e io ci credo: da sempre, nella storia del mondo, chi ha il potere tende a prendere sempre più potere. Portarsi a casa soldi per sé e per gli amici. Per la prima volta in 5000 anni di storia l’Italia (e una piccola parte del mondo) non ha una guerra (sul proprio territorio) da oltre 70 anni: attenzione, non mi auspico una guerra, che è un avvenimento terribile. Però, così come dopo ogni guerra si assisteva ad una sorta di “tabula rasa” da cui si ripartiva, anche oggi ci sarebbe il bisogno che qualcuno “azzeri”. L’Inghilterra in qualche modo ha avuto la Thatcher. Gli Usa, in maniera meno incisiva, hanno avuto Regan. Noi non li abbiamo avuti, né si vedono all’orizzonte. Ci vogliono persone senza scheletri negli armadi che vogliano accostarsi alla politica: perché sennò va in politica gente che non ha un mestiere o cerca un “posticino” da 15.000 euro al mese. Una larghissima fetta dei parlamentari non sa leggere un bilancio o distinguere “finanza” da “economia”. Nessuno si è messo a gridare contro questi Bitcoin che sono il niente e spesso nascondono truffe: ho visto un giapponese che inchinandosi si scusava per non poter restituire 600 milioni in Bitcoin che sono spariti. Parliamo piuttosto di economia reale, chi produce un reale valore aggiunto: l’industria, ma anche i giornalisti, il turismo, lo spettacolo. Tutti però devono ricevere qualcosa: un mucchio di finanza non è vera creazione di ricchezza, ma solo trasferimento di qualcosa. In mezzo ci sono tanti costi e spesso qualche imbroglio o nessun valore aggiunto.

Economia reale e buona politica. Tra poche settimane si vota: di certo, ci sarà bisogno che qualcuno, dopo il 4 marzo, governi questo paese. Chi, secondo lei?

Noi siamo il frutto della selezione darwiniana della specie: io, come qualsiasi altro, penso a me stesso e a sopravvivere. Il mondo è andato avanti capendo che a “mettersi con altri” si aveva qualcosa di più e di meglio: quindi la famiglia, la comunità. Poi uno si specializza: io da solo non avrei inventato la ruota, ma assieme stiamo meglio e miglioriamo. Ma ci sono sempre io al centro del mondo: per questo, sul lavoro io non voglio pagarti se non ricevo qualcosa, o in generale non si colloquia con gente che non restituisce niente in cambio. È una mediazione che deve dare qualcosa sia a uno sia all’altro: chi andrà al potere governerà il 100% degli italiani, quindi dovrà necessariamente essere una mediazione. Non mi scandalizzo affatto quando sento di accordi possibili tra le varie parti: bisogna governare per trovare la soluzione migliore, non governare uno a scapito dell’altro. Tranne dei farabutti, a scapito di quelli sì.

di Andrea Carucci

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