In difesa di vitalizi e libertà di mandato

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Occorre far chiarezza su questi temi, altrimenti è solo populismo contro e non a favore della vera democrazia

Mentre infuria il fatuo strepito sull’abolizione dei “vitalizi” spettanti ai parlamentari va
ricordato ai neofiti della politica che il riconoscimento economico della rappresentanza
politica fu introdotta nel 1912-1913 in coincidenza con il suffragio universale, proprio per
consentire ai non abbienti di svolgere decorosamente la funzione politica, altrimenti
riservata a una casta. Abusi, sperperi e ruberie vanno certo aboliti, ma salvaguardando le
prerogative dei parlamentari, inclusa la remunerazione, uno dei perni della loro
indipendenza (è abnorme, semmai, che gli “eletti” debbano versare una mensilità al “datore
dell’elezione”, del quale si riconoscono succubi). Del tutto improprio è misurare l’efficacia
dell’esercizio della carica con la presenza in aula, come qualcuno improvvidamente ha
proposto. Anziché sedere accalcati e sudaticci negli scomodissimi scranni di Palazzo
Madama e di Montecitorio, deputati e senatori hanno molti validi modi e tante altre sedi per
professare la missione loro assegnata con l’elezione: visitando il Paese, ascoltandone i
cittadini, studiando…. Basta si rileggano le opere di misericordia spirituale e corporale, che
precedono la Carta del 1948. Meno sedute, ma più concludenti. Meno “riforme”, meno
“leggi” (anzi, vanno sfoltite) e più concentrazione sugli impegni vitali del Paese: Esteri
(Alfano è ancora sempre lì…), Difesa (evitando pessime figure e soprattutto il ridicolo
mandando missioni militari a caso in giro per il mondo), Istruzione (quando avremo un
ministro adeguato alla carica un tempo ricoperta da Benedetto Croce e da Giovanni
Gentile?).
L’ordinamento costituzionale oggi subisce una ulteriore grave aggressione, che va denunciata e
respinta con chiarezza. L’art. 67 della Carta recita: “Ogni membro del Parlamento
rappresenta la Nazione (maiuscolo) ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Così era nato il Parlamento del regno di Sardegna nel 1848 (unica monarchia
rappresentativa in Italia, con buona pace di neoborbonici e altri nostalgici degli staterelli
preunitari, incluso quello del papa-re) e così esso visse sino al 1939, quando la Camera
elettiva fu sostituita con quella dei Fasci e delle Corporazioni, formata esclusivamente di
tesserati del PNF, a differenza di quelle elette nel 1929 e 1934, che salvavano l’apparenza
con la rappresentanza di istituti e sodalizi non formalmente “fascisti”, dalla Lega Navale al
Touring Club Italiano…
La libertà dal “vincolo di mandato” è il sale della vita politica. Esso non trovò spazio nei
partiti totalitari, usi a screditare i dissenzienti come traditori, radiati ed esposti al pubblico
ludibrio. Fu la sorte riservata dal Partito comunista d’Italia, succubo di Stalin a Mosca, a chi
non si allineava alle cangianti direttive del “Capo”(i più sfortunati vennero ammazzati o
destinati a morire di fatica e di stenti nei gulag). Oggi la libertà dal vincolo di mandato è
negata dal Movimento Cinque Stelle, i cui vertici pretendono di assegnare patenti di
moralità politica non solo al proprio interno ma addirittura all’Italia intera. Questa arroganza
va respinta con fermezza. Fa tutt’uno con quella della dottoressa Rosy Bindi, che vorrebbe
subordinare la “presentabilità” alle urne a criteri privi di basi giuridiche (per esempio
l’appartenenza o meno ad associazioni non proibite, quali le Comunità massoniche) e a suoi
pregiudizi personali.
La bizzarra pretesa di vincolare al “Capopartito” anziché alla Nazione l’esercizio della funzione parlamentare paradossalmente viene avanzata anche nelle file di partitelli nati da
scissioni. Anche sotto questo profilo la XVII^ legislatura lascia un’eredità avvilente. Essa si
chiuse con la nascita di un cartello (i Liberi e Uguali) capitanato dai presidenti delle due
Camere: un precedente destinato a pesare sulle istituzioni. La loro sortita è così screditante
che si preferisce esorcizzarla, nel silenzio dei costituzionalisti. Però c’è, rimarrà e peserà.

di Aldo A. Mola

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Aldo Mola
Aldo Alessandro Mola (Cuneo, 1943) dal 1967 ha pubblicato saggi e volumi sulla storia del Partito d'Azione e di Giustizia e Libertà, della massoneria e della monarchia in Italia. Direttore del Centro Giovanni Giolitti (Dronero- Cavour) ha coordinato Il Parlamento italiano, 1861-1994 ( Nuova Cei, 24 voll.). Il suo Giolitti, lo statista della Nuova Italia è nei “Classici della Storia Mondadori”. Tra le opere recenti, Italia, un paese speciale (4 voll.)

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