Il piagnisteo delle Istituzioni

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Una cosa è necessaria in un Paese civile e democratico: la chiarezza e la certezza del diritto

Il nostro ineffabile Ministro dell’Interno si è presentato in Parlamento sul caso Cucchi, facendo il ruggito del topo.
La Polizia è al di sopra di ogni sospetto, ma è meglio tagliarle unghie. Le nuove disposizioni sono chiarissime. In caso d’incidenti, deve intervenire senza l’uso delle armi, senza l’uso dei manganelli e, poi, ma solo dopo che vi fossero inesorabilmente costretti, gli Agenti li potranno usare. Ma, attenzione, senza colpire organi vitali e comunque, non si può sparare a chi fugge, magari dopo che ti ha dato una coltellata.
Come faccia un agente di polizia, nel corso di un tumulto o di un’aggressione, a mirare nel posto giusto, questo Alfano non lo dice. Come farà la Polizia, con queste nuove regole, a contenere una folla di dimostranti inferociti e, spesso, armati di spranghe o consimili strumenti contundenti, lo sa solo Alfano.
Tutto ciò viene fuori dopo il caso di Stefano Cucchi.
Il giovane Cucchi è stato una tragedia nazionale, specie quando la giustizia ha deciso che gli infermieri, i medici e gli agenti della Polizia Penitenziaria non erano responsabili delle lesioni e della morte del povero Cucchi, mandandoli assolti.
La famiglia è insorta, il Procuratore Capo della Repubblica ha dato un colpo al cerchio ed uno alla botte, fiducia alla Polizia ma speranza in un’altra sentenza più giusta, il Presidente del Senato si è messo a piangere in televisione davanti allo scempio che la giustizia ha fatto di un pover’uomo e della sua sconsolata famiglia.
I giornali si sono tuffati su questa incredibile sentenza, tutte le associazioni di svariato colore e d’infinita misericordia buonista si sono strappate i capelli ed il Cucchi è diventato il martire del malaffare, equamente diviso tra Polizia e Giustizia.
Intendiamoci: la morte di un uomo in carcere è sempre cosa molto grave, qualunque siano l’uomo, la sua età, le sue colpe, reali o presunte, il suo passato, le sue opinioni. Che il Cucchi fosse gravemente ferito ed in fin di vita, nessuna sentenza lo può smentire. Che siano stati gli uomini della Penitenziaria a ridurlo in quello stato, la giustizia dice di no. E allora, chi è stato? La giustizia tace. E questo non va bene.​
La famiglia chiede una nuova sentenza. Tutti invocano una nuova sentenza. Il colpevole deve essere trovato. Mi sembra giusto.
Però, c’è un altro risvolto della questione che non trapela da nessuna parte. La famiglia Cucchi ha ottenuto dalle assicurazioni della Asl un risarcimento di un milione e passa di Euro per la morte del suo ragazzo. Non l’hanno ancora incassato e, certo la sentenza dei giudici non l’aiuta ad incassare tanto facilmente. Questo spiega molte cose, magari non le lacrime fasulle di Grasso, ma l’insistenza della famiglia ad avere una sentenza di condanna di qualcuno.
Il piagnisteo degli imbecilli e la furia dei rivoluzionari anti sistema, cui si accoda la circolare di Alfano sul comportamento della Polizia, si accoppia all’altro trambusto dopo i fatti di Napoli, quando un ragazzo di diciott’anni è stato colpito a morte, per un errore fatale, da un agente di Polizia. Si è mobilitata un’intera città contro la polizia, unitamente alla grande stampa di regime, quasi con le barricate.
Nessuno si è mai chiesto che ci faceva un ragazzo, alle tre di notte, in sella ad una motocicletta, senza casco, tra uno spacciatore ed un pregiudicato, non fermatisi all’alt della polizia.
Nel disordine morale della società italiana tutti hanno ragione e tutti hanno torto, secondo la convenienza politica. Le sentenze vanno rispettate, come s’è fatto per Berlusconi, oppure si può auspicare che cambino, come lamentosamente chiede il Presidente del Senato?
Dove sono i diritti della persona?
Dov’è il mantenimento essenziale dell’ordine pubblico? Nei manganelli contro chi pacificamente manifesta per mantenere il proprio posto di lavoro, come è accaduto a Roma dieci giorni fa?
La legge Severino è retroattiva o no? Per Berlusconi sì, per il Sindaco di Napoli, De Magistris no.​
I Sindaci delle principali città italiane registrano le unioni civili. I Prefetti ne ordinano la cancellazione. La legge attuale, visto che il Parlamento si diletta di tutt’altro, è violata o no? Se è violata, i Sindaci vanno sospesi. E chi ha il coraggio di farlo? Alfano?
Stiamo tornando indietro, al Seicento, con le grida manzoniane, le bande dei bravi al soldo del signorotto di turno, l’incertezza del diritto, lo sfascio di ogni istituzione e, tra l’altro, il rischio strisciante d’una pestilenza.
Altro che rinnovare l’Italia! Dovrà passare almeno un secolo prima che i guasti del Paese si rattoppino, sempre che non si scenda ancor di più nei labirinti dell’inferno.

Stelio W. Venceslai

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